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Perché i prezzi dei grandi concerti sono diventati insostenibili per molti

Perché i prezzi dei grandi concerti sono diventati insostenibili per molti

Dal caro-energia alla carenza di manodopera, dal secondary ticketing all’aumento del cachet degli artisti, ecco le cause che hanno portato i prezzi dei biglietti a superare spesso i cento euro

Quanto siamo disposti a pagare per assistere al concerto del nostro artista preferito? A giudicare dalla velocità con la quale terminano online i biglietti per i grandi concerti, con cifre spesso al di sopra dei 100 euro, la risposta è molto, anzi, moltissimo, poichè la domanda è di gran lunga superiore all’offerta: «è il mercato, bellezza», qualcuno potrebbe affermare, con un pizzico di cinismo. Per questo il comparto della musica dal vivo, dopo lo stop forzato di quasi due anni a causa della pandemia, è in piena ripresa, con gli artisti (e, in seconda battuta, gli organizzatori) che beneficiano maggiormente dei prezzi degli agognati tagliandi ormai schizzati alle stelle, appesantiti anche da salati costi di commissione in prevendita. Il pop è una sottocategoria della popular music, ma di popolare c’è ormai ben poco in eventi ormai riservati quasi esclusivamente a persone benestanti, per le quali non è un problema spendere dai 100 ai 300 euro per assistere a uno spettacolo di musica dal vivo, un’arte che fino a qualche anno fa era considerata universale, ma che, ormai, è di fatto riservata a un numero ristretto di privilegiati.

Mentre la fruizione della musica si è sempre più smaterializzata dai tradizionali supporti fisici e corre veloce attraverso i servizi di streaming gratis o per pochi euro al mese in abbonamento, la musica dal vivo, in quanto esperienza di per sé irripetibile, non ha succedanei nel mercato e quindi può imporre essa stesso il suo prezzo, con costi che, inevitabilmente, creano una netta cesura tra chi ha buone disponibilità economiche e chi ne ha di limitate, con poche possibilità di sforare il budget mensile.

Per rendere il discorso più chiaro vi forniamo qui alcuni esempi emblematici: per assistere al concerto di Kendrick Lamar a Verona nel posto migliore (pacchetti vip esclusi) occorrono 253 euro, per Madonna a Milano 345 euro, per Peter Gabriel a Milano 200 euro, per Roger Waters a Bologna 150 euro, per Bruce Springsteen a Roma 150 euro, per i Coldplay a Napoli 172,5 euro, per i Depeche Mode a Milano 121 euro.

Obiezione legittima: puoi sempre prendere un biglietto nei settori più economici. A parte l’oggettiva difficoltà di acquistare online un biglietto per questa tipologia di concerto (una vera e propria caccia al tesoro sul filo dei secondi), il problema è che anche i biglietti più economici, in alcuni casi, come per Madonna, Coldplay e Kendrick Lamar, sfiorano quasi i 100 euro, cifra già proibitiva per molti. Ma come si è arrivati a questi rincari? Ovviamente, nell’aumento vertiginoso dei prezzi dei biglietti negli ultimi mesi, con rincari compresi tra il 20% e il 100% rispetto al periodo pre-Covid, ha pesato molto lo stop forzato per tutta la filiera del mondo dello spettacolo dal vivo. Si calcola che, nel biennio 2020-2022, in Italia il 30% delle maestranze del mondo della musica abbia cambiato mestiere per necessità economiche.

Per questo c’è una cronica carenza di operatori che montano i palchi, di fonici e di addetti al facchinaggio, che oggi costano molto di più agli organizzatori. In secondo luogo, la crisi energetica conseguente al conflitto in Ucraina ha fatto aumentare notevolmente i costi di energia e carburante per trasportare i palchi con il relativo materiale tecnico, con rincari spesso al di sopra della media dell’inflazione dei singoli paesi. La vetrina h24 dei social network ha favorito il ricorso, da parte degli artisti, a produzioni sempre più barocche e mastodontiche, con palchi sempre più grandi, giochi di luce degni di Las Vegas, effetti scenici e (nel caso della pop/dance) interi corpi di ballo con costumi sgargianti: tutti elementi con costi notevoli per la produzione e, quindi, per gli spettatori. Anche gli artisti, privati dei loro ricchi introiti per quasi un biennio, hanno aumentato di molto i loro ingaggi, che spesso sono raddoppiati, se non, in alcuni casi, perfino triplicati.

Appare del tutto evidente che, mentre nei primi due casi si può fare ben poco nel breve periodo, nell’ultimo gli stessi artisti (ci riferiamo in particolare a quelli che non hanno certo problemi a mettere insieme il pranzo con la cena) potrebbero ridurre le loro richieste, ma, se non lo fanno per una motivazione filantropica, è perché sanno che comunque c’è una domanda quasi illimitata di concerti, con centinaia di migliaia di fan in tutto il mondo disposti a mettere mano al portafoglio e spendere molto denaro pur di aggiudicarsi uno dei preziosi biglietti dei concerti. Considerate che, mediamente, la maggior parte degli incassi dei grandi concerti va direttamente all’artista, compresi musicisti, staff e accompagnatori (con percentuali che, in alcuni casi, sfiorano l’85% del ricavo dei biglietti), mentre è decisamente più bassa la quota riservata all’organizzatore dell’evento, che si assume per intero il rischio imprenditoriale e che deve pagare tutte le spese relative alle maestranze coinvolte nel concerto. Bisogna poi mettere in conto l’odioso fenomeno del “secondary ticketing”, ovvero i biglietti comprati a prezzo di costo e poi rimessi in circolazione a prezzi che possono arrivare fino a dieci volte tanto il prezzo facciale. Una pratica nata teoricamente per permettere la rivendita sul mercato del biglietto di un concerto al quale non possiamo più andare, ma che, di fatto, ha dato vita a un fervente mercato di bagarinaggio online attraverso l’acquisto, tramite bot, di una grossa quantità di biglietti che poi vengono rivenduti a prezzi maggiorati sui siti di secondary ticketing. L’introduzione del biglietto nominativo non ha in alcun modo fermato questo tipo di pratiche, tanto che basta fare alcune ricerche su internet per trovare i biglietti di qualsiasi concerto a prezzi esorbitanti. L’introduzione, in alcuni casi, del biglietto dinamico, il cui prezzo fluttua costantemente nel continuo incontro tra domanda e offerta (una pratica già diffusa per i biglietti dei voli aerei e in molti siti di e-commerce) non ha fatto altro che aumentare ulteriormente, a fronte di una domanda pressoché illimitata, i prezzi dei biglietti, tanto che c’è stata un’aspra polemica, negli Usa, per i prezzi dell’ultimo tour in Usa di Bruce Springsteen, dove, in alcuni casi, i tagliandi sono arrivati all’incredibile cifra di 5.000 dollari.

Un ulteriore elemento che va considerato è la concentrazione, in poche multinazionali, di quasi tutti i principali artisti italiani e internazionali. Quando la concorrenza è quasi inesistente, o comunque molto limitata, è normale che i prezzi tendano ad essere sempre più alti, soprattutto quando le stesse multinazionali che prendono accordi commerciali con gli artisti si occupano, attraverso società da loro controllate, anche della vendita e della distribuzione dei biglietti (nel 2010 Live Nation si è fusa con Ticketmaster, mentre dal 2007 Eventim ha acquistato TicketOne).

La situazione è favorita anche dagli annunci sempre più precoci dei concerti, che magari si svolgeranno tra un anno o addirittura oltre rispetto al giorno della messa in vendita dei biglietti. Una consuetudine che, da un lato, permette di fare cassa precocemente da parte delle multinazionali e che, dall’altro, comporta inevitabilmente numerosi scambi sul mercato del secondary ticketing, che incentivano ancor più la speculazione sui prezzi degli stessi. L’unico modo per mettere un freno al bagarinaggio online può essere o un intervento pubblico o su iniziativa degli artisti: difficile, in entrambi i casi. Nel 1995 i Pearl Jam, dopo aver saputo dai fan dei ricarichi sui prezzi dei biglietti da parte di Ticketmaster (la più grande società americana di vendita e distribuzione di biglietti), suonarono per un po’ solo in posti che utilizzavano altri servizi di biglietteria ma, tre anni dopo, si sono dovuti arrendere al fatto che era impossibile fare un tour su larga scala senza i biglietti di Ticketmaster.

Più recentemente i The Cure di Robert Smith hanno cercato di calmierare i prezzi dei loro biglietti in Usa, ma la stessa Ticketmaster ha aumentato i loro costi di commissione, che in alcuni casi erano identici o perfino superiori al prezzo del biglietto. In Italia gruppi come Verdena e Lo Stato Sociale, da sempre attenti ai loro fan, hanno chiesto e ottenuto di calmierare i prezzi dei biglietti dei loro concerti, senza, però, poter far nulla sui costi di commissione e sui biglietti acquistati al mercato secondario. Insomma, alla fine sono gli artisti quelli che hanno il maggior potere di ridurre il prezzo dei concerti riducendo semplicemente il loro cachet, ma è normale che, dopo due anni di attività quasi nulla, oggi la maggior parte dei cantanti e dei musicisti cerchi di monetizzare al massimo questo periodo di ritrovato entusiasmo per la musica live, con i tour rimandati per oltre un biennio (pensiamo a quello di Bruce Springsteen) che si vanno ad aggiungere a quelli annunciati da pochi mesi.

Ci aspetta una lunga estate di concerti con tanti grandi nomi e questo non può che farci piacere, vista la pausa forzata del biennio 2020-2022. Assistere a un concerto è un’esperienza culturale fondamentale per apprezzare i vari aspetti della musica suonata dal vivo, la sua dimensione naturale, in grado di creare un legame più saldo con l’artista e, quindi, con il suo repertorio (a vantaggio dei servizi di streaming e delle case discografiche). Il problema è che oggi, visti gli aumenti dei prezzi dei biglietti, la musica dal vivo non è più per tutti, ma solo per i fortunati per i quali non è un problema spendere oltre cento euro per un singolo concerto, lasciando così fuori una fetta consistente di società, esclusa da questo tipo di offerta culturale.

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