​Franz Di Cioccio  Patrick Djivas Premiata Forneria Marconi.
Orazio Truglio
Musica

PFM: «Per noi il tempo si è fermato»

Dopo 50 anni di dischi e 6 mila concerti (di cui mille all'estero) la Premiata Forneria Marconi esce con un nuovo album ispirato a un leggendario romanzo di Philip K. Dick. Per l'occasione i due membri storici della band si raccontano a Panorama con aneddoti inediti. «Come quella volta a Londra quando abbiamo suonato - in privato - per la Regina Madre».

«Blade Runner è il film di fantascienza che più di ogni altro ha immaginato il nostro presente. Basta guardarsi intorno per comprendere che viviamo su un pianeta di uomini connessi con tutto tranne che con se stessi» raccontano Franz Di Cioccio e Patrick Djivas, colonne portanti della Premiata Forneria Marconi. Cinquant'anni di dischi, 6 mila concerti e un nuovo album ispirato al film di Ridley Scott e al leggendario romanzo di Philip Dick del 1968, Ma gli androidi sognano pecore elettriche?

«Viviamo immersi in connessioni e dati, in un arcipelago di algoritmi, in un mare di giga. E i social sono il lato oscuro di tutta questa storia perché i ragazzi di oggi non hanno sufficiente esperienza di vita per gestire questi mezzi. Che reprimono la fantasia, ci legano al mondo virtuale anche quando abbiamo spento il pc, entrano nei sogni» dicono i due rocker.

Sono questi i temi che attraversano le canzoni del nuovo concept album, Ho sognato pecore elettriche, pubblicato in due versioni, con testi in italiano e in inglese, a sottolineare ancora una volta il respiro internazionale della Pfm (special guest del disco, Ian Anderson dei Jethro Tull e l'ex Genesis Steve Hackett), la prima band italiana a scalare le classifiche internazionali negli anni Settanta. Una carriera irripetibile, da funamboli del pentagramma, tra rock, jazz, musica classica e raffinati arrangiamenti per le canzoni di Fabrizio De André. «Tutti pensavano che avremmo sommerso i brani di Fabrizio sotto migliaia di watt, invece sapevamo benissimo come trattarli perché abbiamo imparato a suonare ascoltando centinaia di dischi di tutti i generi musicali, dal jazz al fado portoghese» precisa Djivas.

«Io, come batterista» racconta Di Cioccio «sono cresciuto suonando una sera con la Pfm, tra virtuosismi e improvvisazioni fulminanti, e la sera dopo sul palco del Festival di Sanremo accompagnando con discrezione L'Equipe 84 e Lucio Dalla...». Oggi il rock italiano a livello internazionale ha il volto e il suono dei Måneskin: «Il senso del loro successo è aver riempito egregiamente il vuoto che c'era in ambito rock. Sono forti e meritano quello che stanno ottenendo. Scrivono belle canzoni, il cantante è bravo e il gruppo gira bene. Non trovo sorprendente che abbiano sfondato. Sono un po' di aria fresca in un contesto musicale stereotipato in cui le canzoni si fanno in casa con orizzonti artistici limitati e cercando di spendere il meno possibile».

Un consiglio per i Maneskin? «Il segreto per durare nel tempo è cambiare, non sedersi mai sulla stessa sedia. È la ragione per cui dopo cinquant'anni siamo ancora in giro» spiega Di Cioccio. «Noi ci siamo fatti strada nel mondo imponendo il nostro stile, che è sempre stato quello di improvvisare dal vivo, di non suonare mai due volte una canzone nello stesso modo» sottolinea.

Mille concerti fuori dall'Italia: dal Giappone al Messico, dal Central Park di New York alla Royal Albert Hall di Londra, dove all'improvviso vennero raggiunti sul palco dalla Regina Madre, la moglie di Giorgio VI (sua figlia è l'attuale sovrana, Elisabetta II). «Eravamo nel mezzo delle prove» ricorda Djivas «quando in una manciata di secondi tutti i tecnici e gli assistenti di palco inglesi, che non avevano esattamente un aspetto raccomandabile e intervallavano ogni tre parole con un "fuck", diventano seri e si mettono quasi sull'attenti… Scortata da una ventina di persone ci raggiunge in scena la Regina Madre che era a teatro per inaugurare una scuola di ballo. Gentilissima, ci saluta e inizia a chiederci di tutto sugli strumenti e sul nostro repertorio. Abbiamo anche suonato per lei un pezzo di Albinoni... Un momento epico e surreale al tempo stesso» rivela.

Nel curriculum della Pfm c'è anche un tour che ha cambiato per sempre il corso della musica live in Italia, quello con Fabrizio De André, il primo incontro artistico su un palcoscenico tra la poesia cantautorale e la versatilità di un gruppo capace di spaziare da un genere all'altro. Un capolavoro musicale e anche la fotografia di un'epoca, la fine degli anni Settanta, quando le platee erano composte da fan entusiasti ma anche da irriducibili contestatori.

«A Roma successe di tutto» raccontano. «Una parte del pubblico iniziò a fischiare e a insultare. Erano quelli di Autonomia operaia che consideravano Fabrizio un perbenista e un borghese perché a inizio carriera si era esibito alla Bussola, lo storico locale della Versilia. Gli urlavano "venduto", ma lui sapeva come affrontarli, dicendo che se avevano ragioni di dissenso erano liberi di esprimerle. Li placò, ma poi a sorpresa cambiò le parole della canzone che era stata interrotta dagli autonomi, Amico fragile, trasformando "E poi seduto in mezzo ai vostri arrivederci" in "E poi seduto in mezzo ai vostri… vaffanculo". Ovviamente, quel "vaffa…" a denti stretti fece ripartire come e più di prima le urla e gli insulti… Fabrizio era fatto così. A volte, dopo aver individuato un contestatore tra il pubblico, scendeva dal palco e andava ad affrontarlo personalmente...».

I più letti

avatar-icon

Gianni Poglio