Storie pazze e incredibili di scienziati che hanno cambiato la realtà
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Storie pazze e incredibili di scienziati che hanno cambiato la realtà

Dall'invenzione del cianuro alla fisica quantistica nel saggio Quando abbiamo smesso di capire il mondo di Benjamin Labatut

Il Benjamín Labatut di Quando abbiamo smesso di capire il mondo (Adelphi, 180 pagine, 18 euro) è un quarantenne olandese che abita dai 14 anni in Cile, e scrive novelle più o meno ibride. Debutta qui da noi con una raccolta di brevi testi crossover – come si direbbe per la musica – che mescolano realtà e fantasia.

I suoi racconti colti, e in apparenza votati al paradosso, proiettano la storia della scienza, con le sue conquiste, i suoi scacchi, le sue beffe, nella storia minuta degli uomini o in quella dalla S maiuscola. Svelando, a sorpresa, un lato molto oscuro: ecco uno dei temi principali del suo libro.

Per esempio. Nelle venti pagine di Blu di Prussia Labatut parte da Göring tossicodipendente di un analgesico per svelare l'anima doppia, venefica e preziosa, di un pigmento per celebri dipinti. Spazia poi dai tempi degli alchimisti a quelli degli scienziati, annotando i progressi della chimica che si intersecano in scoperte per la pace e scoperte per la guerra (ma non sono poi le stesse?). Labatut ha buon gioco nel trattare del gas che ulcera gli uomini nelle trincee di Ypres durante il primo conflitto mondiale o dell'azoto benefico, il "cibo estratto dall'aria", la cui vicenda ci fa finire però dove si era cominciato, a capofitto nel Reich dello Zyklon B.

Tra parentesi. Uno dei passi più riusciti riguarda la caduta del nazismo e l'insicurezza dei gerarchi nazisti riguardo l'efficacia mortale delle pillole al cianuro di cui sono stati abbondantemente riforniti. In quest'occasione, Labatut "entra" nella testa di Hitler narrando il test del veleno su Blondi, l'amata femmina di pastore tedesco che lo ha accompagnato nel bunker e che mai sarebbe stata abbabdonata a mani nemiche: la somministrazione del cianuro però non sarebbe stata fatta di persona dal Führer ma da uno dei suoi medici personali.

Comunque. Influenzato dalle complicate partiture del tedesco W. G. Sebald (ricordate Austerliz, sempre edito da Adelphi?), ma meno vertiginoso e letterario, Labatut offre pagine spesso drammatiche sempre problematiche anche negli scritti di "fiction scientifica" che seguono: dove tutto cioè può subire il filtro dell'immaginazione dello scrittore, meno le scoperte inoppugnabili di cui tratta.

Altro esempio. Troviamo, nel secondo testo, un Albert Einstein basito quando, nel Natale del 1915, riceve una busta dalle trincee: lo sconosciuto astronomo Karl Schwarzschild gli spedisce la soluzione alle equazione della teoria della relatività generale. Ripercorreremo a ritroso la vita tormentata e segnata da un'ossessione tutta scientifica del soldato Schwarzschild: fino a quando, moribondo su una barella, in apparente delirio, mormora di un sole nero che si sarebbe affacciato all'orizzonte. Chissà quale…

Ma è forse il lungo e sfaccettato scritto che da il titolo al volume (almeno nella versione italiana) il testo più bello e complesso. Parte con un grido a un convegno di Monaco nel 1926: "Gli elettroni non sono onde e non possiamo visualizzare il mondo subatomico" protesta con vemenza Heisenberg rivolgendosi a Schrödinger, autore della nota equazione.

Seguiremo a ritroso proprio Karl Heisenberg, piagato da un'allergia, che cerca pace (si fa per dire) e ispirazione sull'isola di Helgoland (do you remember Carlo Rovelli?).

L'atomo come un piccolo sole attorno a cui orbitano gli elettroni. Macché: imbeccato da Bohr, Heisenberg, provato nel corpo, in delirio quasi mistico, torna dalla sua vacanza da inferno con pronta la teoria della fisica quantistica e ipotesi che Einstein definisce "stregonesche" nella loro "diabolica oscurità".

Ecco il secondo tema delle pagine di Labatut: smettere di capire il mondo come lo si è capito fino ad adesso e avventurarsi verso una forma di comprensione nuova, senza mai dimenticarne il rischio.

Nelle pagine del narratore cileno (scrive in spagnolo) è adombrata costantemente una domanda: la scienza, quella che ha la matematica nel motore, puntando al "cuore del cuore" del mondo, ha forse già preparato la nostra distruzione? In fondo, secondo il famoso detto di Grothendieck, che qui cade quanto mai a proposito, gli atomi di Hiroshima e Nagasaki non furono divisi dalle dita unte di un generale ma da un gruppo di fisici con un pugno di equazioni.

Buona lettura, con un'ultima avvertenza: le pagine più ispirate del libro sono quelle che attengono ai due conflitti mondiali, il cui ricordo è un memento mori particolarmente insistito e che confermano Labatut scrittore buono per tutti i palati, non solo per i golosi di verità scientifiche.

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Luca Martini