Se nemmeno prima della pandemia eravamo spensierati, ora siamo preda di ansie, tensioni, timori. Per tutto: salute, lavoro, futuro… È la sindrome post traumatica, dicono gli esperti, che tocca ormai più di sette italiani su dieci, tutti alla ricerca di una possibile serenità.
«Lo stress è la tua reazione alle circostanze, non le circostanze stesse». Parola dello scrittore Brian Tracy, motivatore canadese di fama internazionale. Sarà, ma ormai noi italiani siamo un popolo di irrimediabili stressati. Secondo l’ultimo rapporto Censis prepandemia, a sentirci sotto stress sono sette italiani du dieci. Cifra enorme che, secondo gli esperti, dopo l’avvento del Covid sarebbe aumentata di decine di punti percentuali. Una società attanagliata da sfiducia e incertezza.
Si fa presto a dire stress, però. Gli psicologi parlano, più precisamente, di sindrome di adattamento, una reazione che si manifesta quando una persona percepisce uno squilibrio incolmabile tra le sollecitazioni ricevute e le risorse a disposizione. Un po’ come se dovessimo aggiustare una caldaia che sta per scoppiare, «percependoci» totalmente privi di una cassetta di idonei attrezzi.
Una tensione che può manifestarsi in ogni campo. L’ultimo esempio sotto gli occhi di tutti è il forfait dell’atleta Simone Biles alle ultime Olimpiadi di Tokyo, campionessa americana ritenuta la ginnasta più dotata di questa epoca. Un lutto in famiglia e il peso di una prestazione ai massimi livelli hanno creato in lei un cocktail emotivo micidiale.
La sportiva più premiata ai campionati del mondo (25 medaglie, di cui 19 d’Oro) ha fatto un clamoroso passo indietro, ritirandosi parzialmente dalla gara e ottenendo un Bronzo alla trave. Un buon risultato, ma certo non all’altezza dei fasti precedenti. «Fisicamente e mentalmente non ero nella giusta condizione. Quando salgo sul tappeto siamo solo io e i demoni che ho nella testa».
Le sue dichiarazioni sono diventate un caso mediatico. «Con il termine “demoni” si è riferita a improvvisi sensi di terrore che la ostacolano durante i suoi mirabili esercizi ginnici» spiega a Panorama Mauro Gatti, psicologo di squadre olimpiche e consulente dagli anni Settanta dell’Istituto di Scienza dello Sport del Coni. «Blocchi mentali che in linguaggio scientifico sono definiti twisties: pressioni legate anche agli sponsor, alla necessità di risultati di alto livello. Se da un motore vuoi sempre certe prestazioni, quel motore può andare su di giri. La soluzione è un buon team di supporto».
Lo stress da prestazione non tocca ovviamente solo l’agonismo. Scatta ogni volta che una persona si mette alla prova, in relazione ad altri soggetti. Nell’ultimo decennio il mondo del lavoro è diventato l’amplificatore ideale di queste tensioni: precariato e crisi economica ci hanno immersi in una condizione di permanente e soffocante competitività.
Secondo una ricerca di ADP, multinazionale esperta di gestione delle risorse umane, circa la metà dei lavoratori campionati (il 43 per cento), ha ammesso di aver vissuto una situazione di forte stress almeno una volta alla settimana. La fascia d’età maggiormente colpita è quella tra i 35 e i 54 anni. I più stressati? Bancari, pubblicitari, assicuratori e operatori della comunicazione. Per lavorare più serenamente una soluzione ci sarebbe. In Non si può lavorare così! il giornalista americano Tony Schwartz spiega come coltivare uno scopo nella propria professione funzioni da potente antistress. «Siamo abituati a cercare di fare carriera, ad anteporre guadagni e risultati misurabili, ma raramente ci viene insegnato a sviluppare uno scopo personale nel nostro lavoro» scrive Schwartz. «Il bisogno non solo di soldi, ma anche di un significato da attribuire al proprio impegno è una manifestazione della nostra innata fame di dar un senso alla vita».
Se qualunque tipo di impiego deve avere un valore «aggiunto» in cui metterci in gioco, non tutti però lo trovano. Il 53° rapporto Censis rivela che in Italia l’incertezza è lo stato d’animo dominante. E il clima degli ultimi anni non ha certo aiutato. Welfare rarefatto, rottura del cosiddetto «ascensore sociale», crollo delle rivalutazioni immobiliari e della vendita dei Bot (-61 per cento), che ormai offrono rendite infinitesimali. In più, il lavoro che non c’è.
Tutto questo avrebbe innescato una sindrome da stress post-traumatico nel 75 per cento della popolazione. Dati Eurispes dicono che negli ultimi due anni è cresciuto del 24 per cento il consumo di farmaci anti-ansia, stabilizzatori dell’umore e sonniferi rispetto al 2019. Ormai un italiano su cinque prende psicofarmaci. Secondo un altro rapporto Censis sul lavoro (marzo 2021) 9,4 milioni di italiani hanno paura di perdere il posto. Tre operai su quattro temono di ritrovarsi disoccupati. Ma l’87 per cento delle aziende rimane ottimista sulla ripresa. «Al cupo orizzonte dei lavoratori si contrappone l’ottimismo delle aziende» cita il rapporto. Soldi, lavoro, problemi in famiglia e di relazione sono benzina per la tensione psicologica. Se gli italiani non erano troppo sereni nemmeno prima della pandemia, il Covid ha assestato una mazzata.
«Lockdown, mancati contatti umani, le donne che si sentono tutte le responsabilità familiari sulle spalle, i figli in Dad, il lavoro da remoto. Tutto ciò ha creato un enorme stress negli ultimi tempi» afferma la psicoterapeuta Maria Rita Parsi. «Infine, un costante senso di angoscia di morte, che proviamo naturalmente da sempre e che la pandemia ha accentuato. La mascherina, per così dire, ha smascherato i nostri problemi di sanità, di scuola, di famiglie disfunzionali. Ci sono timori sull’efficacia dei vaccini, sfiducia nelle istituzioni, disagio lavorativo e economico, solitudine degli anziani. Siamo diventati più cattivi, il termine latino captivus significa proprio prigioniero. Prigionieri di un’informazione spesso assillante, di pregiudizi, di mancanza di affetti».
Non solo. L’attualità ci racconta di «incendi» che divampano ovunque, di una rinnovata paura del terrorismo. «La gente deve potersi affidare a guide competenti ed esperte, a partire dalla scuola, che deve diventare un centro culturale sempre aperto» continua Parsi. «Chiedere e offrire aiuto può fare la differenza e aumentare il senso di comunità».
Nel tentativo di riappropriarsi della propria quotidianità è cresciuta – oltre agli psicofarmaci e alla psicoterapia – anche la domanda di attività rilassanti come meditazione, sessioni di fitness (anche online), yoga, pilates o semplicemente un po’ di relax davanti a una serie tv. Per tenere a bada ansia e stress esistono anche braccialetti elettronici particolari da tenere al polso, che con particolari vibrazioni possono modificare – così promettono- la risposta del cervello alla situazione che innesca lo stato di tensione.
Se le soluzioni definitive forse non esistono, però, degli aiuti ci sono. E una volta toccato il fondo non si può che risalire. Anzi, si deve. D’altronde, come diceva Shakespeare, maestro insuperato di tragedie e terrori, ma anche di commedie e levità, «l’uomo che si agita fa scoppiare di risate gli angeli».