I guru di Wall Street lo chiamano «scent marketing» (il marketing degli odori)e serve a prendere per il naso il consumatore. Ignorano che, già nell’Esodo, Dio raccomanda a Mosè: «Prenditi degli aromi, della resina, della conchiglia odorosa, e ne farai un profumo composto secondo l’arte del profumiere, salato, puro, santo. Ne porrai nella tenda di convegno, dove io m’incontrerò con te. Esso sarà cosa santissima». La storia degli umani è anche una storia di odori, profumi, unguenti. E oggi l’olfatto sta diventando uno strumento di vendita. Cattura l’attenzione del cliente perché trasferisce emozioni e sblocca ricordanze remote al punto che, per farci comprare più cibo, si diffondono aromi di pani, per invogliarci ad acquistare un abito basta un aroma di lavanda o limone.
In America hanno stabilito che l’odore delle lacrime delle donne inibisce i maschi e il sudore mette in buona disposizione le signore, anche quelle sposate. Lo scent marketing è la firma olfattiva delle catene alberghiere, delle boutique, dei club esclusivi che si fanno confezionare dai maestri profumieri fragranze speciali da effondere attraverso diffusori d’ambiente, cere odorose, potpourri. Esattamente come si fa con i profumi da indossare.
Il giro d’affari in Europa vale 150 miliardi di euro, dalle parti nostre si stima che il profumo di questo business valga non meno di 6 miliardi. Niente di nuovo perché tra i primi a occuparsi di profumi per la casa e cercare di trarne profitto ingraziandosi i signori ci fu Leonardo da Vinci: alla corte degli Sforza si dedicò all’estrazione delle essenze dai fiori, al confezionamento di acque profumate, alla conservazione degli aromi. Chi portò nel mondo l’idea che un profumo firma uno stile personale e della casa fu Caterina de’ Medici che, quando se ne andò sposa bambina da Firenze in Francia, portò a Parigi con sé Renato Bianco, il suo maestro profumiere che lavorava con i monaci di Santa Maria Novella, abilissimi nella distillazione. Gioverà ricordare che Michele Savonarola, nonno di Girolamo, arso in piazza della Signoria sempre a Firenze, fu il primo trattatista dell’arte distillatoria. Caterina insegnò alle corti l’arte del profumo e a Grasse, dove c’erano le concerie, capirono che si può estrarre profumo utilizzando il grasso. Prerogativa che oggi designa quest’incantevole borgo provenzale a capitale mondiale del profumo.






Lo ha raccontato in maniera sublime il romanzo Profumo di Patrick Süskind dove l’ossessione degli aromi diventa ragione di vita e di molte morti. Se Marylin Monroe andava a letto indossando solo due gocce di Chanel n°5 (quella della stilista francese è stata la più notevole e recente rivoluzione in fatto di profumi) oggi non c’è casa dove non sia in bella mostra il diffusore d’essenze. I più ricercati vengono dalla Toscana. Dr. Vranjes ne produce di rari e carissimi. Il catalogo è importante, le confezioni sono opere d’arte, le essenze raccontano tutto il bello da odorare invece che da guardare. Ma basta chiudere gli occhi per sentirsi trasportati agli Uffizi, in Chianti, nelle selve del Casentino. Officina de’ Tornabuoni, anch’essa fiorentina, dal 1843 rinverdisce i fasti medicei con essenze naturali ricercatissime con cui profumare tessuti e ambienti. Sempre «gigliata» è la Spezieria di Santa Maria Novella dove sono all’opera i più famosi «nasi» del mondo che realizzano fragranze uniche seguendo l’antica tradizione rinascimentale nella preparazione. Poi ci sono le infinite declinazioni della ruralità toscana: da Essenza di Cortona (ha una profumazione al Nobile di Montepulciano di rara efficacia) a Bolgherello.
Una selezione particolare è quella delle «acque». La prima e più amata dai vip è Acqua di Parma: un catologo immenso che va delle candele profumate alle colonie da indossare passando per una declinazione amplissima di fragranze. Non è un caso se la città di Maria Luigia, con la violetta di Parma, è la capitale industriale europea della fabbricazione dei profumi.
Oggi non c’è territorio glamour – da Portofino all’Elba alla Costa Smeralda – che non abbia la sua acqua profumata.
Una storia emblematica del fascino del profumo è quella di Daniela Ciaffardoni. Ha cominciato con una piccola impresa di pulizie a Porto Sant’Elpidio, sul litorale adriatico marchigiano, poi ha seguito la sua passione: costruire profumi. Oggi Danhera (fusione del nome Daniela con Hera, la dea dei parti e della vita familiare nell’olimpo romano) è una delle maison più celebrate al mondo per le sue profumazioni d’ambiente e i «cosmetici» per la casa. Dalla sua appartenenza alla terra delle Marche, Daniela ha tratto una fragranza esclusiva: L’Infinito, sotto brevetto, che nasce da essenze naturalissime.
Racconta di sé Ciaffardoni: «Ho voluto dare corpo a un sogno con prodotti che nascono da intensa ricerca e tecnologia d’avanguardia. Se mi si chiede perché acquistare e diffondere un profumo d’ambiente la risposta è questa: per trasformare gesti quotidiani in un piacere intenso. Un mondo in cui scienza e bellezza dialogano in perfetta armonia per preservare il valore della nostra quotidianità».
Non è un caso che i profumatori d’ambiente abbiano sempre contenitori preziosissimi. Ci si sono dedicati i più importanti designer. Un esempio altissimo è quello delle maison milanesi. Culti è il profumiere delle più prestigiose catene alberghiere e delle case dei vip, atelier Fornasetti – le sue candele profumate sono piccoli capolavori – è l’evidente dimostrazione dell’unione tra fragranze e design, tra definizione dello spazio e l’abitare attraverso i profumi. Del pari, Locherber è considerato uno stilista del profumo perché è capace di interpretare la casa attraverso le sue essenze. Oggi sono tornate di gran moda anche le lampade catalitiche che diffondono fragranze. Tra le più famose c’è Lampe Berger, nata in Francia a fine Ottocento dall’intuizione di Maurice Berger, un aiuto farmacista che escogitò un sistema per disinfettare l’aria all’interno degli ospedali, e che oggi ha sede a a Limoges. Le profumazioni Berger sono tutte naturali, le lampade sono gioielli di cristallo.
È la storia che si ripete. I primi diffusori furono inventati proprio per contrastare le pestilenze. Così, negli anni del Covid con una parafrasi dell’Aquilone di Giovanni Pascoli e seguendo quel fil di profumo, possiamo dire: c’è qualcosa di nuovo oggi nell’aria, anzi d’antico. n
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