Al Pacino: 'Io, DiCaprio e l'insostenibile pesantezza del cinema'
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Al Pacino: 'Io, DiCaprio e l'insostenibile pesantezza del cinema'

Intervista all'attore che tra poco compirà 73 anni e presto vedremo in Stand up guys

Un amico italiano gli aveva detto che nel nostro Paese, di recente, il suo film Scarface era tornato sulle pagine della cronaca. Alla fine del racconto sulla fuga di Fabrizio Corona e della sua frase "voglio morire come Scarface per diventare un mito", Al Pacino sbarra gli occhi e riesce a dire solo "Wow!". Dal vivo, il celebre Pacino è sulfureo quanto ti aspetti, almeno per il look, tutta una sfumatura di neri: maglietta, felpa, giubbotto di pelle, jeans, sneaker. Ma appena apre bocca, malgrado la proverbiale voce roca, diventa la persona più normale del mondo: gentilissimo, l’unica arma che brandisce è quella dell’ironia.

Le piace essere definito veterano?
"No, per quanto ogni tanto ci siano dei conflitti, il mio lavoro non mi è mai sembrato una guerra. Perché non prova con 'leggenda vivente'?" (ride fragorosamente, ndr).

Il prossimo 25 aprile compirà 73 anni e, come raramente succede agli attori famosi, nel suo ultimo film, Stand up guys, interpreta proprio un uomo della sua età, Val, piccolo gangster che esce di prigione dopo 28 anni e fuori trova ad attenderlo Doc, il suo amico del cuore, pagato per ucciderlo. Un bel noir esistenzialista e crepuscolare, molto umano, ma anche divertente, con un cast di lusso: insieme a lui recitano Christopher Walken, 70 anni, e Alan Arkin, 80.

Senza offesa, ma con queste continue "rinascite", Stallone, Schwarzenegger, Bruce Willis, non è che Hollywood è diventata un paese per vecchi?
"Non esistono paesi per vecchi, come non esistono paesi per giovani. La maniera in cui ti guardi è diversa da quella in cui ti guardano gli altri. Se fossi un musicista, nessuno troverebbe strano vedermi suonare ancora il violino. Ecco, io sono uno strumento. Cambiano gli spartiti, e i miei spartiti sono i ruoli che interpreto, ma non cambia la musica. Faccio un esempio pratico: sono forse 30 anni che cerco di fare un film su Amedeo Modigliani. Oggi ovviamente mi sarebbe impossibile interpretarlo, è morto a 36 anni, però potrei avere un ruolo di contorno, dirigere il film e produrlo. Le occasioni non mancano a nessuna età, basta non perdere l’appetito".

Si diverte ancora come prima?
"Sono più esperto del mestiere e anche della vita. Ed evito di farmi stressare dalla sindrome del tic-tac".

Sarebbe a dire?
"L’orologio che scandisce il tempo. Anche questa intervista ha un orario stabilito e poi lei avrà un tempo limite per scriverla. Si finisce per adattarsi al tempo a disposizione, che diventa sinonimo di scelta e anche di tecnica. Una decina di anni fa ho messo su una versione dell’Edipo di Sofocle con l’Actors studio. Ci sono voluti sette mesi e mezzo di prove, per poi fare solo quattro repliche. Ma se non hai tempo, ti arrangi col mestiere, imbocchi scorciatoie e qualche volta la fai franca, ma di solito sei frustrato perché sai che non hai potuto sfruttare tutte le potenzialità".

Vede un nuovo Pacino in giro?
"Ci sono attori interessanti, ma la maggior parte è cresciuta con la tv, per cui è influenzata dall’effetto cornice: tecnica, mimica e gestualità discendono da quel rettangolo. Mi piacerebbe vederli in teatro, luogo di liberazione, perché apre l’immaginazione e trascende ogni limite. Penso al Joaquin Phoenix di The master : se salisse su un palcoscenico, sarei il suo primo spettatore".

E fra le donne?
"Jessica Chastain in Zero dark thirty mi ha impressionato. Avevamo lavorato insieme in Wilde Salome, parte spettacolo teatrale e parte film, il dna della grande attrice c’è sempre. Si dice che il teatro sia pesante, a me lo sembra il cinema: 14 ore al giorno per ripetere mille volte la stessa scena. Capisco Leonardo DiCaprio che si è stufato e vuole smettere per dedicarsi ai suoi interessi sociali e politici in difesa dell’ambiente.

Al sta per Alfredo: lo sa che il suo collega Dustin Hoffman ha girato in Italia il film Alfredo, Alfredo?
"Sì, non è bizzarro? Per anni ci siamo litigati un sacco di ruoli, tanto che un noto produttore, Alexander Cohen, voleva organizzare un incontro di boxe fra noi due. Gli dissi: non sarebbe meglio farlo senza guantoni?".

Pensa che avrebbe vinto?
"Avrei scommesso su Dustin. Ero magrolino, da bambino le prendevo anche dalle femmine".

E con Robert De Niro c’è mai stata rivalità?
"No, tanto che abbiamo recitato spesso insieme. Credo ci unisca la timidezza. Gli invidio la capacità di essersi trasformato con gli anni anche in un grande comico".

Lei ha avuto grandi amori, tre figli, ma è ancora celibe: perché non si è mai sposato?
"Quando ho consultato sul dizionario la parola impegno, non c’era mica scritto 'vedi alla voce matrimonio'…".

Chi è il suo migliore imitatore?
"Jamie Foxx e Kevin Spacey se la battono. Johnny Depp non sarebbe male, ma siccome sul set di Donnie Brasco non riusciva a capire una barzelletta ("Uno scheletro entra in un bar e ordina: 'Una birra e uno straccio per asciugare per terra…'"), ho dovuto squalificarlo".

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Marco Giovannini