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(Ansa)
Musica

Trionfo dei Rolling Stones a Milano, perché i grandi nella musica fanno la differenza

Il segreto del decennale successo della band capitanata dai glimmer twins Jagger & Richards, che ieri sera ha entusiasmato i 57.000 spettatori di San Siro nell'unica data italiana del tour Sixty. Alla faccia dei presunti big della musica di oggi

I Rolling Stones, nonostante i 231 anni in tre, sono ancora oggi una delle migliori live band in circolazione, in grado di entusiasmare e accendere platee di ogni età con le loro canzoni dirette e senza fronzoli, suonate con la sapienza dei veterani e con l'energia di un gruppo di esordienti. Come racconta con dovizia di aneddoti il libro La grande storia dei Rolling Stones di Isy Araf e Andrea Pagano (Hoepli Editore) da poco pubblicato, la storia della band inglese è «una fantastica saga, una delle più entusiasmanti, controverse e incredibili dell’intera epopea rock. Dalle prime esperienze nella scena londinese del rock blues al debutto discografico, dal travolgente successo di Satisfaction al dualismo con i Beatles, dalla tragica morte di Brian Jones alla tragedia di Altamont, dall’esilio dorato sulla Costa Azzurra all’avvento di Ronnie Wood, dalle avventure soliste al “grande circo del rock and roll” portato sui più grandi palchi del pianeta». Assistere oggi a un live degli Stones è una vera e propria lezione di storia del rock, di cui incarnano l'essenza più profonda: riff di chitarra al fulmicotone, energia, divertimento e melodie immortali. La band capitanata dai glimmer twins Jagger & Richards, che da 60 anni porta avanti lo spirito ribelle, dionisiaco e indomabile del rock, ha entusiasmato ieri sera i 57.000 spettatori dello Stadio San Siro di Milano, nell'unica data italiana del tour per festeggiare i 60 anni di carriera. Il concerto degli Stones ha preso il via con un video-omaggio al batterista Charlie Watts da poco scomparso (sostituito egregiamente dall'esperto Steve Jordan) e con l'adrenalinica Street fighting man. La scaletta della serata è di fatto il greatest hits della sua cinquantennale carriera, con una netta predilezione per il periodo che va dalla metà degli anni Sessanta fino all'inizio degli anni Ottanta (Gimme Shelter, (I can't get no) Satisfaction, Paint It Black, Jumpin' Jack Flash, Tumbling Dice, Miss You, Start me up), anche se non sono mancate le sorprese, come la recente Ghost Town, scritta durante la prima ondata pandemica. E proprio le canzoni sono l'ingrediente "segreto" del sessantennale successo degli Stones: nei loro show non c'è bisogno di duetti con il cantante del momento, non hanno bisogno di suonare cover per allungare la scaletta, né di coreografie o di video a effetto per stupire il pubblico, ma solo di sano, vecchio rock suonato con gusto, intensità, passione e sudore. In un periodo in cui i concerti sono una sorta di musical pacchiano all'insegna del mero intrattenimento, con dj e basi pre-registrate, per non parlare dell'onnipresente autotune che consente a chiunque di cantare, la band inglese è il perfetto esempio di come si aggredisce e si riempie il palco, utilizzando il mestiere, certo, il carisma, ma soprattutto la passione per la musica, quella vera, fatta di melodia, ritmo e armonia, elementi da cui non si può prescindere per realizzare un grande brano, destinato a durare nel tempo. Le canzoni dei Rolling Stones, partendo dalla casa madre del blues, hanno esplorato il rock in tutte le sue declinazioni, dall'hard rock al punk, perfino la disco (Miss You), ma sempre con il loro inconfondibile marchio di fabbrica, quello sberleffo perfettamente esemplificato dall'iconica "linguaccia". Tanti i temi affrontati, da quello sempre attuale della guerra (Gimme Shelter) ai conflitti sociali (Street Fighting Man), dall'amore non stereotipato (Angie) alla malinconia per la fine di una relazione (Wild Horses) fino alla sensazione di insoddisfazione con la quale ciascuno di noi, prima o poi, deve fare i conti (I can't get no) Satisfaction). Gli Stones, età media 77 anni, sono sopravvissuti ai loro vizi, ai lutti che li hanno colpiti (primo fra tutti, quello di Brian Jones), alle mode musicali del momento, che vedono la trap, il reggaeton e l'urban pop dominare le classifiche internazionali di "vendite", benché artatamente gonfiate grazie allo strumento delle playlist. Mentre ciclicamente i critici musicali suonano le campane a morto del rock, gli Stones, forti di un canzoniere che è secondo forse solo a quello dei Beatles, continuano indefessi a portare avanti il verbo di quello che non è meramente un genere musicale, basato su chitarra/basso/batteria, ma è soprattutto uno stile di vita nel fare le cose e nell'affrontare di petto la vita, senza nascondersi nel rifugio caldo del conformismo e dello status quo. Se è vero che negli ultimi anni si sono diradate le pubblicazioni di musica originale degli Stones in quanto gruppo, che hanno comunque mostrato di avere ancora molto da dire e da dare nell'album A bigger bang del 2005 e nel disco di cover Blue & Lonesome del 2019, non è mai venuta meno l'attualità delle loro canzoni che, proprio perché non hanno mai inseguito le mode, paradossalmente, non sono mai passate di moda. Secondo Italo Calvino «un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire». Un aforisma che si adatta perfettamente anche ai libri in musica realizzati con perizia artigianale dagli Rolling Stones, dove sono contenuti, come scrigni preziosi, i segreti del successo di una canzone che, mentre racconta una storia, in realtà sta parlando a ciascuno di noi.

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Gabriele Antonucci