recensione di Last Night In The Bittersweet
Shamil Tanna
Musica

Paolo Nutini è tornato: la recensione di Last Night In The Bittersweet

Dopo otto anni di silenzio, l'artista scozzese di origine italiana si reinventa e pubblica il suo miglior album di sempre

Otto anni senza album è un tempo infinito in quest'era di singoli lanciati a raffica e un po' a caso sulle piattaforme streaming. Ma Paolo Nutini, scozzese di origine italiana, quel tempo ha fatto bene a prenderselo ed ora si ripresenta con sedici nuove tracce e un disco in cui appare evidente che l'obiettivo era uno e uno solo: fare quel che voleva come voleva.

E infatti Last Night In The Bittersweet non risponde a nessuno schema, se non a quello di produrre buona musica fregandosene altamente di qualsiasi coerenza stilistica. La prova che un artista mainstream può reinventarsi immergendosi nella sperimentazione ma rimanendo profondamente se stesso.

Il viaggio nel nuovo Nutini inizia con Afterneath che sfoggia quel tipo di potenza che hanno i Radiohead quando spingono sull'acceleratore ritmico. Gran pezzo con un sample tratto da un dialogo di True Romance (Una vita al massimo), il film di Quentin Tarantino.

Through The Echoes è una ballad ispirata che ripesca la sua antica vocazione blues soul senza rinunciare ad una discreta orecchiabilità pop. Man mano che il disco procede appare evidente quanto la nuova direzione sonora sia intrigante: lo conferma la splendida combinazione basso-voce di Acid Eyes.

Niente male l'attitudine post punk con qualche accento di elettronica tedesca 70's in Lose It. Tutt'altro mood in Abigail nel segno del country acustico con reminiscenze di Johnny Cash. E poi ancora Children Of The Stars, melodia vincente e sprazzi di Waterboys. Infine, tra le vette dell'album, i sette minuti di Take Me Take Mine, slow ballad, ispiratissima ed emozionante.

Paolo Nutini è tornato e lo ha fatto nel migliore dei modi.

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Gianni Poglio