Richard Branson: la storia
Sir Richard Branson
Economia

Richard Branson: la storia

Dalla compagnia aerea ai viaggi nello spazio, passando per alberghi, telefonia e molto altro. Il suo impero Virgin è sempre più grande, ma il suo grande amore resta il mondo un po’ folle della discografia, con cui tutto è iniziato nel 1970

Come in un terzo grado, Richard Branson parla della serata in cui fumò marijuana con i Dire Straits e di come i preti interpretano il termine «bollocks» (più forte di testicoli, ndt). Dopo aver lanciato dal balcone della sua stanza d’albergo l’aeroplanino di carta preparato dal fotografo, Richard Branson se ne sta seduto, intento a completare il suo velivolo. L’imprenditore miliardario piega la carta, creando lembi di aspetto tecnologico nella parte posteriore delle ali del velivolo. Considerando che Branson è il proprietario della settima compagnia aerea più grande del Regno Unito, siamo tutti in trepidante attesa. Lancia il velivolo per vederlo schiantarsi. Speriamo che alla Virgin Atlantic non sia lui l’addetto alla progettazione aeronautica.

Il leader spiritoso alla guida dell’impero Virgin (trasporto aereo e ferroviario, alberghi, salute e benessere, telefonia mobile, organizzazione di festival musicali e, con Virgin Galactic, dei primi voli commerciali nello spazio) è volato ad Antigua dalla vicina isola di Necker, il suo rifugio privato, per parlare di quello da cui tutto ha avuto inizio, la Virgin Records. In origine la Virgin era una società di vendita di dischi per corrispondenza, fondata da Branson nel 1970 in un seminterrato di Notting Hill a Londra. L’anno successivo aprì il primo negozio di dischi Virgin nella vicina Oxford street. Di lì a poco inaugurarono anche uno studio di registrazione, The Manor, e con il clamoroso successo dell’album Tubular bells di Mike Oldfield, uscito nel 1973, venne alla luce la Virgin Records. In seguito altri artisti del calibro dei Sex Pistols, Culture Club, Genesis, Human League, Xtc, per non parlare dei Rolling Stones, firmarono contratti con la Virgin. Nel 1992 Branson ha venduto l’etichetta alla Thorn Emi, ma pare che il tycoon non riesca a fare a meno dell’atmosfera stimolante e un po’ aggressiva dell’industria musicale. Nel 1996 ha lanciato una nuova etichetta, V2, pubblicando dischi degli Stereophonics, di Moby e dei White Stripes. Recentemente ha annunciato il progetto di organizzare concerti dal vivo su voli interni.

Ricorda il primo disco che ha venduto?
Credo si trattasse di un album pirata dei Deep Purple. Nel nostro negozio c’erano cuscini per terra, si sentiva un intenso odore di marijuana e i clienti venivano serviti da commessi competenti (avevano tutti i capelli lunghi) e l’ambiente era in netto contrasto con l’atmosfera noiosa che si respirava da Wh Smith e Menzies, le due catene che dominavano il mercato discografico. Il giorno dell’apertura, fuori dal negozio si formò una coda che proseguiva per tutta Oxford street, per arrivare fino a Tottenham Court road. In quel momento capimmo di aver creato qualcosa che sembrava piacere alla gente.
L’anno scorso i Muse hanno annunciato di volersi far regalare da lei un volo con Virgin Galactic per essere la prima band a suonare nello spazio.
In primo luogo, in base alla nostra politica, nessuno ha diritto a omaggi o promozioni per i viaggi nello spazio, a prescindere dalla fama. In secondo luogo, ritengo che i Muse possano permettersi di pagare il biglietto. Però sarebbe bello vederli suonare nello spazio. Numerose band ci hanno contattato perché non vedono l’ora di fare un’esperienza simile. Fra due settimane un artista verrà proprio qui a Necker per discuterne con me.

In qualità di patron della Virgin Records lei è stato il boss sia dei Sex Pistols sia di Malcolm McLaren, il loro manager. È stato il lavoro più ingrato che ha svolto in ambito musicale?
Era molto più facile rapportarsi con i Sex Pistols che con Malcolm McLaren. In effetti i membri del gruppo erano persone squisite. Ricordo quando andai per la prima volta a un loro concerto dal vivo: erano la band più irriverente e provocatoria che avessi mai visto e desideravo a tutti i costi che firmassero un contratto con la Virgin. Però erano già legati alla Emi, così tornai in ufficio e telefonai al presidente dell’etichetta dicendogli: «Se vuoi sbarazzarti della tua patata bollente, fammi uno squillo». Non si prese nemmeno la briga di rispondere, ma la sera stessa i Sex Pistols andarono in tv e il conduttore insistette affinché pronunciassero ad alta voce alcune parolacce che avevano mormorato sottovoce e loro furono felici di accontentarlo. Il mattino dopo il boss della Emi mi telefonò e mi disse: «Ho già il contratto pronto per te; se la vuoi, la band è tua».

E lei?
All’ora di colazione arrivai nel suo ufficio e, dopo una stretta di mano, il manager dei Sex Pistols andò a firmare il contratto con la casa discografica A&M. All’ora di pranzo il gruppo aveva già vomitato sulla scrivania dell’addetto agli artisti e ai repertori dopo aver distrutto l’ufficio. Malcolm quindi ritornò da me perché tutte le altre case discografiche gli avevano sbattuto la porta in faccia: da quel momento i Sex Pistols divennero parte della nostra scuderia. Finimmo poi davanti al giudice per l’uso del termine «bollocks» perché la polizia riteneva che derivasse dalla parola «balls», testicoli. Riuscimmo a trovare un sacerdote, docente di linguistica, che venne in tribunale armato della sua esperienza religiosa e fornì le prove a nostro favore dichiarando che «bollocks» era in realtà un nomignolo dato ai preti... e non aveva alcun legame diretto con i testicoli, quindi fummo dichiarati non colpevoli.

Qual è l’aneddoto più bizzarro che ricorda a proposito della realizzazione dell’album «Tubular bells» di Mike Oldfield?
Viv Stanshall introduceva i brani e desiderava per la sua voce una base musicale con un suono particolare. Quindi mangiò del curry e mettemmo un microfono nel gabinetto. Ottenemmo un suono totalmente quadrifonico di lui mentre defecava. Fui davvero felice di non dover andare a recuperare i microfoni. Purtroppo credo che in Tubular bells non vi sia nemmeno traccia di questo esperimento. Ricordo anche che una volta John Lennon e Yoko Ono promisero di preparare un singolo per una delle nostre riviste. Questo accadde prima della nascita della nostra etichetta e la loro promessa cadde nel dimenticatoio. Alla fine trovarono qualcosa da inviarci: un singolo con la registrazione del battito cardiaco del loro figlio mai nato. Si sentiva solo «bom, bom, bom». «Non è ciò che ci aspettavamo» affermai, e la coppia rispose: «Beh, è un misto di John Lennon e Yoko Ono».

Qual è stata la sua più grande scommessa?
Ho scommesso con Tony Fernandes (proprietario dell’AirAsia e presidente della Qpr, ndt) che il nostro team di Formula 1 avrebbe battuto il suo. Purtroppo ho perso e quindi mi sono dovuto vestire da hostess su uno dei suoi voli AirAsia, con rossetto, collant e scarpe rosse. Però mi sono preso la mia piccola rivincita rovesciando addosso a Tony un vassoio carico di bevande.

Ha invitato William Shatner (il capitano Kirk di «Star Trek», ndt) a volare nello spazio con lei?
Mi pare di averglielo chiesto e che mi abbia risposto che... ha paura di viaggiare in aereo! Il che mi ha lasciato un po’ perplesso. Incredibile: il capitano Kirk che ha il terrore di volare.

Durante la sua attività nell’industria musicale qual è il contratto andato in fumo che rimpiange di più?
Il mio maggior rimpianto è legato ai Dire Straits. Per festeggiare l’imminente firma del contratto, li portammo a cena in un ristorante greco. I proprietari avevano l’abitudine di offrire a tutti una canna a fine serata, era un’idea carina ma alla fine eravamo tutti abbastanza storditi e il giorno dopo il gruppo non si presentò alla firma del contratto e in seguito scelse un’altra etichetta. Quello spinello ci costò caro.
È vero che lo staff della Virgin festeggiava l’uscita di ogni raccolta andando a ubriacarsi sull’autobus di Londra con il numero corrispondente? Per esempio, quando fu pubblicata la raccolta numero 9, tutto il personale salì sul bus numero 9...
Naturalmente. Non sono però sicuro che esista un bus numero 100.

Negli anni 80 lei ha pubblicato un singolo con il belato di una pecora dal titolo «The Singing Sheep» (la pecora che canta, ndt). Che cosa le è passato per la mente in quel momento?
Ah sì, è stato qualcosa di orribile. Mia zia, che aveva una fattoria con pecore nel Norfolk, un giorno mi telefonò dicendo che sembrava che le sue bestiole sapessero cantare la filastrocca Baa Baa Pecora nera, allora inviai a casa sua uno studio mobile da 24 tracce per registrarle. Questo mi fece perdere un po’ la faccia con personaggi del calibro dei Sex Pistols, però fu divertente. Il lato B si intitolava Flock around the clock (facendo il verso al celebre «Rock around the clock» degli anni 50, ndt).

Cosa le manca di più dei tempi in cui aveva la sua etichetta?
Provo nostalgia soprattutto per lo staff; eravamo un team fantastico e andare a lavorare era una gioia ogni giorno. Dopo la vendita mi misi a correre per Ladbroke grove piangendo tutte le mie lacrime: ero sconvolto. Ma fu necessario per salvare Virgin Atlantic e Virgin Records, quindi non ho rimpianti.

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