Home » Attualità » Opinioni » Draghi e le (future) bizze dei grillini

Draghi e le (future) bizze dei grillini

Draghi e le (future) bizze dei grillini

L’editoriale del direttore

Per Draghi avere un Grillo nel motore non è garanzia di brillanti prestazioni. Anzi: le sbandate sono assicurate.


Molti anni fa, una delle grandi compagnie petrolifere americane, la Standard Oil, per reclamizzare la sua benzina si inventò uno slogan che fece epoca: metti un tigre nel motore. La campagna invase la tv (all’epoca c’era il monopolio e dunque un solo canale Rai) e la carta stampata. Un simpatico tigrotto avvolgeva le pompe delle stazioni di servizio con il brand Esso, pubblicizzando un supercarburante che rendeva più scattanti le vetture. Non so se davvero le auto andassero più veloci e il motore fosse più pulito, ma le immagini erano convincenti, perché il cartone animato strizzava l’occhio agli spettatori del Carosello e all’attrice al volante di una fiammante spider. Lo spot mi è tornato in mente in questi giorni, pensando al nuovo governo e a ciò che farà. Nel motore del nuovo presidente del Consiglio però non c’è un tigre, bensì un Grillo e questo è un bel problema, perché la vettura guidata da Mario Draghi non andrà più spedita e nemmeno è garantito che tutto filerà liscio.

Oh, certo, i primi tempi le cose andranno per il meglio perché, come hanno capito anche i bambini, i grillini non hanno alternativa e dunque devono fare buon viso a cattivo gioco. Alcuni di loro hanno deciso di non votare la fiducia al nuovo esecutivo e forse daranno vita a un nuovo gruppo, ma il dissenso è tale da non intaccare la maggioranza su cui si regge l’esecutivo. Dunque, in apparenza l’ex governatore della Bce non avrebbe nulla di cui preoccuparsi, perché i numeri sono dalla sua parte. E poi, da Grillo in giù, nessuno ha alcuna intenzione di accorciare la legislatura. Per i Cinque stelle e per la gran parte dei parlamentari eletti sotto la bandiera del Movimento si tratterebbe di una débâcle.

Dopo le varie piroette che hanno portato i grillini a fare marcia indietro su quasi tutti quelli che erano i punti del programma con cui nel 2018 conquistarono una valanga di seggi, nei sondaggi i pentastellati sono dati intorno al 15%, cioè meno della metà di quanto ottennero appena tre anni fa. Dimezzare i consensi non equivarrebbe a dimezzare i seggi, ma a ridurli molto di più, ossia almeno di due terzi perché, per effetto della riforma costituzionale che ha ridotto il numero di parlamentari, i posti a disposizione tra Montecitorio e Palazzo Madama scenderebbero da 945 a 600. Se poi rimanesse in vigore l’attuale legge elettorale, che si basa su un sistema misto, con un conteggio dei voti proporzionale e un maggioritario uninominale, con il 15% i grillini da soli non conquisterebbero quasi nessuno dei collegi vinti nel 2018. Insomma, per farla breve, dai circa 340 parlamentari il Movimento potrebbe scendere attorno a quota 100.

Con questa prospettiva è naturale che nessun onorevole a 5 stelle, dissidente o meno, sia favorevole a uno scioglimento anticipato delle Camere. Per più di 200 di loro sarebbe non solo la fine prematura di una carriera politica, ma l’inizio di un poco promettente futuro, perché tanti senatori e deputati tornerebbero alla vita di prima e non pochi dovrebbero cercarsi un lavoro. Tuttavia, se i grillini temono la fine della legislatura come la peste, è altrettanto vero che più si avvicineranno alcune scadenze e più il Movimento, per cercare di recuperare visibilità, farà le bizze. In pratica, per sei mesi, cioè da qui all’inizio del semestre bianco che precede la nomina del nuovo capo dello Stato, Grillo e i suoi staranno tranquilli, perché non vorranno rischiare di provocare scossoni indesiderati al governo.

Ma poi, che cosa faranno? Torneranno a impugnare le antiche bandiere? Oppure, quelli che potranno cercheranno di stringere un’alleanza con il Pd per potersi ricandidare? Forse accadranno entrambe le cose, ma di certo più si avvicinerà la data delle elezioni e più aumenteranno le fibrillazioni. Inoltre, nessuno è in grado di immaginare che cosa accadrà l’anno prossimo, quando ci sarà da eleggere il presidente della Repubblica. La scelta cadrà su Draghi, che già prima era considerato il più papabile, o il fatto che sia a Palazzo Chigi e che non si vogliano riaprire i giochi di governo, lo renderà «ineleggibile»? In tal caso, chi potrebbe insediarsi sul Colle? Potrebbe restare Sergio Mattarella oppure ci sono anche altri in corsa? Ma nel caso fosse Draghi il prescelto, la legislatura continuerebbe oppure no? E qualora al Quirinale ci fosse qualcun altro, i grillini resteranno tranquilli come prima?

Il problema è chiaro: in vista del voto, ogni partito si sente in campagna elettorale, ma i grillini di più, perché non solo dovranno scontare di essere rimasti al governo per cinque anni (e chi sta nell’esecutivo nell’urna non è mai premiato), ma dovranno fare i conti con la crescente insofferenza del proprio elettorato. Insomma, avere un Grillo nel motore non è garanzia di brillanti prestazioni. Anzi: le sbandate sono assicurate.

© Riproduzione Riservata