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Ansa
Calcio

Ibrahimovic-Lukaku: perché è una brutta figura di tutti

Calciatori, arbitro, società: nessuno che abbia avuto la forza di scusarsi per lo spettacolo del derby di San Siro. Anche a costo di andare contro i propri interessi

La rissa sfiorata in campo tra Zlatan Ibrahimovic e Romelu Lukaku, che sta facendo il giro del mondo restituendo un'immagine pessima del calcio italiano, al netto delle questioni di giustizia sportiva rappresenta una somma di occasioni mancate da parte dei tanti protagonisti della vicenda. Può essere che la Procura della Federcalcio decida di vederci chiaro, chiedendo alla Rai tutte le immagini e gli audio a disposizione, ma il fatto che a distanza di due giorni dal fattaccio non sia arrivata nessuna presa di posizione che condanni l'episodio la dice lunga sulla sensibilità che attraversa il pallone nostrano.

E' stata un'occasione persa quella di Valeri, arbitro a San Siro: si è limitato ad ammonire due giocatori che si insultavano, minacciavano, promettevano di darsele e, solo per l'intervento di altri, non sono passati dalle parole ai fatti direttamente sul campo. Due cartellini gialli. Il nulla di fronte alla complessità e gravità della sequenza che è stata colta, invece, in tutta la sua interezza dagli osservatori neutrali che, soprattutto all'estero, non sono più abituati a tollerare un tale livello di aggressività fisica e verbale.

Hanno perso una grande occasione di mettere il punto anche Stefano Pioli e Antonio Conte, allenatori dei duellanti. Potevano sfruttare lo spazio concesso in diretta tv per spiegare che no, quello cui si era assistito non poteva essere liquidato come "questione di campo". Invece, ciascuno dalla sua parte, hanno giustificato e difeso l'indifendibile. Pioli ha descritto Ibrahimovic "grande persona" per esseri scusato con i compagni per averli penalizzati lasciandoli in dieci (zero accenni alle provocazioni), Conte ha spiegato che Lukaku gli piace così, cattivo e "sul pezzo".

Da Inter e Milan nulla da segnalare se non, evidentemente, il tentativo di limitare i danni facendo passare la bufera. Anche su quella spiacevole venatura che in tanti - osservatori esterni - hanno voluto, invece, sottolineare. Perché il richiamo ai riti vodoo non fa di Ibrahimovic un razzista, ma non può passare sotto silenzio in un momento in cui la soglia di tolleranza in tema di discriminazioni nello sport si è alzata e i club (anche il Milan) non mancano occasione per evidenziare la necessità di scegliere con accuratezza parole e messaggi.

Quello che si è capito a due giorni di distanza è che nessuno ha inteso scusarsi, nessuno ha preso le distanze e chi si è esposto lo ha fatto per difendere il proprio orticello. Con buona pace dell'immagine mandata nelle case di quasi 8 milioni di italiani e in mezzo mondo, compresi paesi dove il coro "donkey donkey" è stato bandito perché considerato discriminatorio e i giocatori vengono squalificati anche per messaggi social equivoci. A voler pensare male viene in mente che a tutti conviene che la cosa finisca con un nulla di fatto. All'Inter che rischia di perdere Lukaku per la fase decisiva della Coppa Italia, al Milan che si evita l'imbarazzo di prendere le distanze da Ibrahimovic, quando col suo potente procuratore deve trattare questioni vitali, al mondo del calcio in generale pensando che si possa sempre passare oltre. Mentre il danno peggiore rischia di essere proprio la sensazione di inadeguatezza nel gestire anche le brutte figure e i pessimi messaggi.

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Giovanni Capuano