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Calcio

La memoria a due velocità di Ceferin

Il presidente della Uefa attacca (ancora) i club della Superlega, affonda la Juventus e Agnelli e parla delle vicende giudiziarie del Barcellona anche se a Nyon c'è un organo disciplinare che dovrebbe essere indipendente. E dimentica i guai di City e Al Khelaifi

Aleksadr Ceferin, presidente della Uefa, non si tira mai indietro quando c'è da parlare della sua avversione alla Superlega e ai cosiddetti club ribelli che ancora restano in trincea, in attesa che tra qualche settimana la Corte di Giustizia UE si esprima definitivamente sul tema del monopolio delle grandi organizzazione internazionali del calcio. E, di conseguenza, sulla possibilità per chiunque di immaginare competizioni differenti rispetto alla Champions League e alle sue sorelle minori senza che chi pensi di parteciparvi debba essere messo all'indice.

Parla, Ceferin, quasi sempre premettendo di non volerlo fare, di non poter intervenire, di essere consapevole visto il suo ruolo che bisogna attendere che tutto sia compiuto, soprattutto adesso che il vento degli scandali e delle inchieste attraversa l'Europa colpendo proprio due delle tre grandi nemiche della Uefa. Eppure parla sempre. Lo ha fatto anche nelle ultime ore giocando in casa e rispondendo alle domande del quotidiano sloveno Epika.

Ha detto, il presidente Ceferin, che "la storia della Juventus doveva finire come è finita. Perché tutto era sbagliato" e che non prova alcun affetto per Andrea Agnelli. Ha aggiunto, riferendosi al Barcellona che è alle prese con lo scandalo arbitrale, di ritenerlo una "situazione estremamente grave" e "una delle più gravi nel calcio da quando sono coinvolto" per il quale è consapevole che esiste la prescrizione sportiva in Spagna ma "non per la Uefa". Sempre, ovviamente, precisando di "non poter commentare direttamente il caso per due motivi. In primo luogo, perché abbiamo un comitato disciplinare indipendente. E in secondo luogo, perché non ho affrontato la questione nel dettaglio".

E ha concluso, tornando a misurarsi con il tema a lui caro della (fu) Superlega, che "dei tre club che si dichiarano i salvatori del calcio, per quanto si apprende dai media, uno è impegnato in un procedimento penale per questioni di bilancio, un altro per aver trasferito denaro a uno dei i leader nell'organizzazione arbitrale. Vedremo se anche il terzo ha qualcosa".

Si potrebbe obiettare che non avendo affrontato la questione nei dettagli o, nel caso della Juventus, essendo appena agli inizi un lungo e approfondito percorso di giustizia sportiva e ordinaria, l'impressione che Ceferin lascia è del politico che usa vicende processuali per attaccare i nemici. E che la frase buttata lì sul Real Madrid assomiglia a un avvertimento sgradevole da parte di un uomo che ha in mano il cuore del potere calcistico europeo tanto che poche righe prima, riferendosi in quel caso alla Juventus, non si fatto scrupoli nel segnalare che "certo, su molte cose ne so di più rispetto ai normali tifosi". E ci mancherebbe, sarebbe preoccupante il contrario visto il ruolo che occupa.

Ma proprio per questo l'idea che il numero uno della Uefa e uno dei due uomini più potenti del calcio mondiale insegua una sorta di vendetta politica verso tre avversari come Real Madrid, Barcellona e Juventus finisce per essere sgradevole e inopportuno. Sui casi di giustizia sportiva, per capirci, dovrà pronunciarsi eventualmente il comitato disciplinare che lo stesso Ceferin (nella stessa intervista) definisce "indipendente" salvo poi invaderne il campo.

Omettendo che il vento giudiziario sta investendo anche altri, ad esempio il Manchester City sotto inchiesta da anni in Premier League e ora formalmente incriminato per aver violato un centinaio di norme finanziarie. O quanto accade intorno al presidente del Psg e suo alleato politico Al Khelaifi, accusato secondo la stampa francese di rapimento, sequestro e tortura in una brutta storia che a che vedere con l'assegnazione dei Mondiali al Qatar. Insomma, parla e ricorda a intermittenza, Ceferin. E così non rende un buon servizio a se stesso e alla credibilità che dovrebbe garantire alla sua stessa organizzazione. Anche agli occhi di chi, come lui, magari ritiene la Superlega un progetto morto e sepolto.

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Giovanni Capuano