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«​La mia Gaia è morta, perdonerò Pietro solo quando capirà che cosa ha fatto »

«​La mia Gaia 
è morta, perdonerò Pietro 
solo quando capirà 
che cosa 
ha fatto
»

Il telefono che squillava a vuoto, la corsa a casa, le due sagome a terra coperte da un telo, l’orribile intuizione. Parla per la prima volta il papà di una delle due ragazze travolte e uccise dal figlio del regista Paolo Genovese. «Lei era prudente e attenta. Non voleva finire come me, sulla sedia a rotelle dopo un incidente».


Edward Von Freymann, 57 anni, assicuratore, è il papà di Gaia, investita insieme a Camilla Romagnoli dal suv guidato da Pietro Genovese, figlio del noto regista Paolo, la notte tra il 21 e il 22 dicembre scorso in Corso Francia, a Roma. La sua vita era già stata fortemente segnata da un incidente in moto nel 2011 che lo aveva costretto in sedia a rotelle e che aveva avuto ripercussioni anche sulla figlia. Proprio per questo Gaia «era una ragazza prudentissima, cresciuta con il terrore della strada» afferma Edward. «Mi diceva sempre che non avrebbe voluto fare la mia fine». Ora, alla vigilia della nuova udienza del processo a carico di Pietro Genovese che si terrà il 28 settembre, in cui la famiglia di Gaia è tutelata dall’avvocato Giulia Bongiorno, Von Freymann ha deciso di parlare per la prima volta, e di farlo con Panorama. Per raccontare il suo dolore e il suo desiderio di giustizia.

Signor Von Freymann, perché ha deciso di parlare ora, dopo mesi di silenzio?

Sentivo di doverlo fare per Gaia. In questi mesi ho metabolizzato il dolore, ma è ancora immenso. La scomparsa improvvisa e così violenta di mia figlia mi ha lasciato senza fiato.

Ripercorriamo insieme i drammatici eventi della sera dell’incidente. Dove si trovava?

Ero a cena a casa di amici.

Aveva sentito da poco Gaia al telefono?

Sì, l’avevo sentita un’ora prima. Era ancora piccola, quando usciva con gli amici era costantemente «monitorata» dalle telefonate mie e della mamma.

Perché ha deciso di andare a cercarla? Che cosa non la convinceva?

Avevo provato a chiamarla e non mi aveva risposto. La cosa mi aveva subito insospettito, perché mia figlia rispondeva sempre e subito alle telefonate. Allora presi l’auto e mi diressi verso casa. Arrivato a Corso Francia, vidi due sagome coperte da teli termici e capii subito che mi trovavo di fronte a un incidente mortale. Continuai fino a casa e citofonai, ma non rispose nessuno. Provai ancora a chiamare Gaia al cellulare fino a che, dopo un altro quarto d’ora, arrivò Gabriella, la mamma, anche lei molto preoccupata. A quel punto mi ritornarono in mente le due sagome sulla strada e di corsa scendemmo insieme a Corso Francia, sul luogo dell’incidente.

È più ripassato sul luogo dell’incidente?

Sì, è una strada che purtroppo percorro spesso.

Che cosa le manca di più di Gaia?

Tutto. Il suo sorriso, la sua dolcezza e la sua gioia di vivere.

Da chi ha ricevuto più conforto in questi mesi drammatici?

Dalla mia famiglia, dalla mia compagna e dai suoi figli, che conoscono Gaia da quando aveva poco più di cinque anni, e dai miei amici più stretti. Da ultimo, mi ha confortato la consapevolezza che fino all’ultimo istante della sua vita era felice e in compagnia dei suoi amici e di Camilla, la sua compagna di banco.

Come è cambiata la sua prospettiva sulla vita da quel giorno?

Mi sono reso conto che vivevo per lei, in funzione della sua crescita e del suo futuro, che era la mia forza. Adesso la mia prospettiva è quella di concentrarmi su me stesso per cercare di trovare pace e serenità interiore, sempre nel suo ricordo.

I rapporti con i genitori di Camilla sono diventati più stretti in questi mesi?

Sì, sempre nel reciproco rispetto del dolore. Ci siamo fatti forza insieme. È nato un bel rapporto tra il figlio della mia compagna e la famiglia di Camilla, sono molto felice di questo.

Nei giorni immediatamente successivi all’incidente, come spesso succede in queste circostanze, il dibattito si è polarizzato tra chi difendeva Pietro e chi Gaia e Camilla. Nonostante non fosse per nulla chiara la dinamica di ciò che era accaduto, ha avuto la sensazione che l’opinione pubblica fosse sbilanciata a favore di Genovese?

Non ho voluto ascoltare nulla, non ne avevo la forza.

Ha avuto l’impressione che le ragazze siano state colpevolizzate, come se in fondo se la fossero cercata, proprio perché, giovanissime, erano in giro la notte da sole?

Non ho seguito i media, per fortuna. Ho saputo poi delle ricostruzioni basate sul nulla che hanno descritto le ragazze in maniera del tutto errata. Noi la verità la sappiamo, perché conoscevamo Gaia e perché abbiamo letto gli atti dell’indagine, non le ricostruzioni giornalistiche. Era una ragazza prudentissima, cresciuta con il terrore della strada, e con rigidi orari di rientro a casa. Non è mai salita su un motorino o su una moto, cercava sempre le strisce pedonali per attraversare. Mia figlia era molto cauta e matura e questa prudenza era dovuta, oltre che dai nostri insegnamenti, da ciò che provò nove anni fa vedendomi in fin di vita, dopo che ero rimasto vittima di un incidente. Mi diceva sempre che non avrebbe voluto mai fare la mia fine. Ha sofferto molto per l’incidente che mi ha ridotto su una sedia a rotelle, ma questo evento l’aveva fatta anche molto maturare.

Oltre al lutto ha dovuto affrontare accuse e retropensieri pesanti: molti hanno giudicato con leggerezza e senza pensare alla tragedia avvenuta. Che cosa le ha fatto più male?

Nulla può farmi più male di quello che è successo. Ma sì, è vero, ci sono stati giudizi affrettati privi di qualsiasi riscontro. Si sono fatte ipotesi sulla dinamica dell’incidente basate sul nulla.

Pietro Genovese è il figlio di un regista affermato. Teme che questo fatto possa rendere più complicato avere giustizia?

No.

Che cosa vi aspettate dal processo?

Giustizia.

Ha paura che una così alta esposizione mediatica della vicenda possa influire negativamente sull’esito del processo?

Spero di no.

Che effetto le ha fatto leggere sui giornali che lo scorso 22 maggio i carabinieri si sono recati a casa di Pietro Genovese – che si trova ai domiciliari – a causa della musica alta e degli schiamazzi?

Non credo che il ragazzo si sia ancora reso conto della gravità di ciò che ha provocato con la sua condotta. Ha distrutto due famiglie. No, di ciò non si è assolutamente reso conto.

Potrà mai perdonare Pietro Genovese?

Solo se un giorno si renderà conto e capirà che a causa delle sue azioni sono morte due ragazze piene di voglia di vivere. Fino a ora non lo ha mai dimostrato con nessuna parola e nessun comportamento concreto.

Se avesse occasione di incontrare Pietro Genovese si sentirebbe di parlargli? E che cosa gli direbbe?

È troppo presto. Non sono io a doverlo educare.

Alla prima udienza nessun membro della famiglia Genovese era presente. Per voi è stata una delusione?

No. Capisco anche che, essendo il papà un personaggio pubblico, non abbia interesse a farsi vedere nel processo.

Sareste disponibili a un incontro? E che cosa vorrebbe dire ai genitori di Pietro?

È ancora troppo presto.

Nei giorni successivi alla tragedia Paolo Genovese vi ha scritto una lettera. Che effetto le ha fatto leggere le parole del padre di un ragazzo poco più grande di Gaia e Camilla?

La lettera è stata scritta da entrambi i genitori. Ho creduto a quelle parole, non avevo ragione per non farlo. Il dolore è talmente immenso che non c’è nulla che possa lenirlo. Non mi sento di aggiungere altro.

Rigettato il patteggiamento richiesto dai legali della famiglia Genovese, è stato stabilito che il processo si svolga con rito abbreviato ordinario che, in caso di condanna, prevede la diminuzione di un terzo della pena. Lo ritiene giusto?

Così prevede il codice. Voglio solo ottenere giustizia per mia figlia e che finisca tutto al più presto.

La perizia del consulente incaricato dalla Procura di Roma Mario Scipione parla di «concorso di colpa» perché sì, il ragazzo non avrebbe rispettato i limiti di velocità e sarebbe risultato positivo all’alcool test con un valore di 1,14, ma Gaia e Camilla avrebbero attraversato la strada fuori dalle strisce pedonali. Lei rifiuta totalmente questa ricostruzione dei fatti?

Assolutamente sì. Conoscevo mia figlia. Era una ragazza prudentissima. I compagni la prendevano in giro perché cercava sempre le strisce pedonali e lei rispondeva che non avrebbe voluto fare la mia fine.

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