
4 aprile 2017. Un medico siriano fugge durante un attacco aereo che ha colpito Khan Sheikhun, una città controllata dai ribelli nella provincia di Idlib, nella Siria nordoccidentale. Due raid aerei hanno colpito un ospedale dove il personale medico stava curando le vittime di un attacco chimico che ha ucciso decine di persone.

4 aprile 2017. Un bambino viene soccorso all’ospedale di Khan Sheikhun, una città controllata dai ribelli nella provincia di Idlib, nella Siria nordoccidentale, dove un attacco chimico ha ucciso decine di persone, compresi svariati minori.

4 aprile 2017. Un uomo viene soccorso in un piccolo ospedale a Maaret al-Nomandi, in Siria, dopo essere stato colpito da un attacco chimico sulla vicina città di Khan Sheikhun, controllata dai ribelli, nella provincia di Idlib, che ha ucciso decine di persone, compresi svariati minori.

4 aprile 2017 – Un bambino siriano riceve le cure dopo l’attacco con bombe a gas da parte dell’esercito di Assad

4 aprile 2017. Un bambino viene soccorso in un piccolo ospedale a Maaret al-Nomandi, in Siria, dopo essere stato colpito da un attacco chimico sulla vicina città di Khan Sheikhun, controllata dai ribelli, nella provincia di Idlib.

4 aprile 2017. Una bambina viene soccorsa all’ospedale di Khan Sheikhun, una città controllata dai ribelli nella provincia di Idlib, nella Siria nordoccidentale, dove un attacco chimico ha ucciso decine di persone, compresi svariati minori.

4 aprile 2017. Un uomo viene condotto verso il piccolo ospedale di Maaret al-Nomandi, in Siria, dopo essere stato colpito da un attacco chimico sulla vicina città di Khan Sheikhun, controllata dai ribelli, nella provincia di Idlib, che ha ucciso decine di persone, compresi svariati minori.

26 marzo 2017. Una donna di nome Umm Ahmad, fuggita dall’area di conflitto di al-Maliha, riposa su un divano nella sua casa a Kafr Batna, una città della Siria controllata dai ribelli, nella regione di Ghouta, alla periferia della capitale Damasco. La donna ha 73 anni, è vedova ed è malata, impossibilitata a camminare.

Un insediamento non ufficiale per rifugiati siriani nei pressi della città di Baalbek in Libano, Valle della Beqa’, 26 gennaio 2016.

Rifugiati siriani

Rifugiati siriani

Un insediamento non ufficiale per rifugiati siriani nei pressi della città di Baalbek in Libano, Valle della Beqa’, 26 gennaio 2016.

Dei fratelli provenienti da Raqqa cercano di scaldarsi al sole fuori dalla loro tenda in un insediamento non ufficiale per rifugiati siriani nei pressi della città di Baalbek in Libano, Valle della Beqa’, 26 gennaio 2016.

Un insediamento non ufficiale per rifugiati siriani nei pressi della città di Baalbek in Libano, Valle della Beqa’, 26 gennaio 2016.

Qusay e Mahmoud, quattordicenni di Damasco in Siria, attraversano un insediamento non ufficiale di rifugiati siriani nei pressi della città di Zahle in Libano Valle della Beqa’, 25 gennaio 2016

Un insediamento non ufficiale per rifugiati siriani nei pressi della città di Baalbek in Libano, Valle della Beqa’, 26 gennaio 2016.

Una bambina presso un insediamento non ufficiale di rifugiati siriani nei pressi della città di Zahle in Libano Valle della Beqa’.

Fatima, 65 anni, proveniente da Idlib, Siria, in un insediamento non ufficiale di rifugiati siriani nei pressi della città di Zahle in Libano Valle della Beqa’, 25 gennaio 2016.

Un gruppo di donne in un campo di rifugiati a a Zaatari in Giordania.

3 marzo 2017. Mohamed Ataya, 31 anni, al lavoro nello spazio verde creato sul tetto di quella che era la sua casa, tra le macerie Arbin, nella regione orientale di Ghouta.

3 marzo 2017. Mohamed Ataya, 31 anni, al lavoro nello spazio verde creato sul tetto di quella che era la sua casa, tra le macerie Arbin, nella regione orientale di Ghouta.

3 marzo 2017. Mohamed Ataya, 31 anni, al lavoro nello spazio verde creato sul tetto di quella che era la sua casa, tra le macerie Arbin, nella regione orientale di Ghouta.

3 marzo 2017. Mohamed Ataya, 31 anni, al lavoro nello spazio verde creato sul tetto di quella che era la sua casa, tra le macerie Arbin, nella regione orientale di Ghouta.

3 marzo 2017. Mohamed Ataya, 31 anni, al lavoro nello spazio verde creato sul tetto di quella che era la sua casa, tra le macerie Arbin, nella regione orientale di Ghouta.

3 marzo 2017. Mohamed Ataya, 31 anni, al lavoro nello spazio verde creato sul tetto di quella che era la sua casa, tra le macerie Arbin, nella regione orientale di Ghouta.

3 marzo 2017. Mohamed Ataya, 31 anni, al lavoro nello spazio verde creato sul tetto di quella che era la sua casa, tra le macerie Arbin, nella regione orientale di Ghouta.

3 marzo 2017. Mohamed Ataya, 31 anni, al lavoro nello spazio verde creato sul tetto di quella che era la sua casa, tra le macerie Arbin, nella regione orientale di Ghouta.

3 marzo 2017. Mohamed Ataya, 31 anni, al lavoro nello spazio verde creato sul tetto di quella che era la sua casa, tra le macerie Arbin, nella regione orientale di Ghouta.

4 marzo 2017. Un gruppo di musicisti siriani suona tra le rovine dell’anfiteatro romano di Palmira, in Siria, durante un tour organizzato per la stampa dall’esercito siriano, dopo la completa riconquista del sito storico dalle mani dell’Isis.

8 marzo 2017. Una rifugiata siriana lava i piatti in un campo di accoglienza nel villaggio di Jab al-Tur (conosciuto anche come Ukuz Quy), alla periferia meridionale di Manbij. Il numero di profughi provenienti dalle aree di al-Khafsa, Deir Hafer e Maskina è aumentato notevolmente con l’intensificarsi dei combattimenti tra le forze governative e i gruppi combattenti dell’Isis.
Con l’ultimo, gravissimo attacco con il gas contro la popolazione civile, probabilmente a opere delle truppe del regime di Bashar al-Assad, il conflitto siriano raggiunge un livello di atrocità nuovo. Che suscita sdegno e reazioni in tutto il mondo. E mentre a Bruxelles e alle Nazioni Unite continuano, senza troppo costrutto, i dibattiti sulla Siria, ci si interroga sui motivi che hanno spinto il regime a questo livello inaudito di brutalità.
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Assad agisce indisturbato
Su una cosa quasi tutti i commentatori sono concordi: di sicuro ora Assad può agire indisturbato e contare su una totale impunità. In un editoriale del New York Times si ricorda a questo proposito che la Russia, scesa in campo al suo fianco nel 2015, a febbraio ha posto il veto a una risoluzione Onu che lo avrebbe condannato per l’uso delle armi chimiche nel 2014 e nel 2015.
Le incertezze di Trump
La politica di Donald Trump, più interessato a scaricare le responsabilità di quello che accade in Siria su Barak Obama e a colpire l’Isis che alla sconfitta del regime di Assad, è un altro elemento che potrebbe far sentire il dittatore al sicuro. Certo, anche Obama ha perseguito la stessa politca, ma ha cercato soluzioni diplomatiche con la Russia, incoraggiato gli alleati di Assad a condannarlo per crimini di guerra e ha lavorato con la Russia per far accettare ad Assad un accordo sullo smantellamento delle armi chimiche.
Gli attacchi chimici non sono mai finiti
Anche il Guardian concorda sul fatto che Assad agisca nella totale certezza dell’impunità, e ricorda come dal 2013 (anno in cui Bashar al-Assad dopo il massacro di 1.300 persone con il gas, accettò di smantellare tutto l’arsenale chimico) gli attacchi chimici contro la popolazione civile non sono mai del tutto cessati.
Una tragedia di tutti
I terribili effetti degli attacchi con i gas durante la prima guerra mondiale avevano spinto il mondo intero a misure di controllo. Oltre 190 Paesi, ricorda il Guardian, avevano firmato un accordo per bandirle dai conflitti, e la Siria era tra questi paesi. Il timore più grande, adesso è che l’uso dei gas possa tornare a essere considerato lecito e normale. Insomma, se questa immunità di Assad dovesse diventare permanente, spiega il Guardian, la tragedia del popolo siriano potrebbe avere conseguenze anche per altri.
Soluzioni lontane
Le soluzioni per la crisi siriana però sembrano sempre più lontane. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, il New York Times sottolinea che Donald Trump a questo punto dovrebbe sostenere una risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu che preveda pesanti sanzioni contro il regime.
I rischi per l’Europa
Lucio Caracciolo su Repubblica traccia un quadro che vede una soluzione diplomatica molto difficile, con l’ago della bilancia a favore dell’alleanza tra Siria, Russia e Iran e grandi sconfitti i Sauditi. E l’America indebolita da tutto il conflitto, con Trump in forte crisi di credibilità agli occhi del mondo “rischia di incepparsi”. Con conseguenze potenzialmente gravi anche per l’Europa: “una ricca parte del conto, Trump la presenterà a noi europei. Tanto per ricordarci che i tempi in cui, secondo Washington, potevamo fruire a sbafo della protezione americana sono finiti”.