È una corsa contro il tempo e, soprattutto, in competizione con gli altri gruppi di ricerca. In Cina, in Europa e negli Stati Uniti, la sperimentazione per l’arma finale contro il Covid è a un punto cruciale. Ma non si tratta soltanto di un farmaco di prevenzione. A ciascun approccio scientifico corrispondono interessi economici e strategici molto diversi.
La Cina, l’Europa o l’America? Chi riuscirà per prima a debellare il Covid-19? Sulla stampa scientifico-farmaceutica rimbalzano annunci contraddittori: di certo sono notizie che s’inseguono quasi all’insaputa del resto del mondo, che intanto conta i morti e non riesce ancora a sperare in un antidoto. È lo strano paradosso del virus, che in meno di sei mesi ha contagiato oltre 11 milioni di persone, ne ha uccise 530 mila (35 mila delle quali in Italia) e ha azzoppato l’economia globale: il mondo sembra ignorare che la gara tra chi sta dando la caccia al vaccino, ormai, è entrata nella fase finale.
La corsa è doppia. È contro il tempo, e contro la paura di una nuova ondata di pandemia in autunno. L’urgenza di un vaccino contro la Sars-Cov2, ultima definizione del Covid-19 (la sigla sta per «coronavirus 2 da Sindrome respiratoria acuta grave») ha drasticamente compresso tutte le regole dell’Organizzazione mondiale della sanità sulla sperimentazione umana, regole che di solito impongono 10-15 anni tra ricerche e test. Così da febbraio l’Oms ha ammesso verifiche precoci su numeri anche molto elevati di volontari sani, e una settimana fa ha poi confermato che 15 vaccini «candidati» sono già in fase avanzata di sperimentazione umana, e che otto di questi progetti sono cinesi.
In tutto il mondo la ricerca punta sulle manipolazioni geniche di virus non letali che, inoculati nell’uomo, siano in grado di scatenare una risposta immunitaria. Con il suo annuncio, però, l’Oms sembra aver peccato ancora una volta di pregiudizio filocinese. Perché è vero che la sperimentazione umana nella Repubblica popolare corre già sui grandi numeri. Ma i suoi risultati sono ambigui.
È evidente che sulle case cinesi hanno avuto effetto le pressioni esercitate dal governo di Xi Jinping, preoccupato da una valanga di vertenze legali internazionali che attribuiscono a Pechino gravi responsabilità nel ritardo con cui ha denunciato la pandemia: per compensare il disastro d’immagine, già a fine maggio Xi aveva dichiarato che quando la Cina avesse trovato un vaccino contro il Covid-19, ne avrebbe fatto «un bene pubblico mondiale». Ma i test, almeno fin qui, hanno tutti un difetto di base.
La ricerca più avanzata è quella di CanSino Biologic, un colosso della farmaceutica con basi a Tientsin e a Hong Kong, che a fine giugno ha annunciato un vaccino pronto per la sperimentazione umana su ampia scala: si chiama «Ad5-nCoV» ed è stato sviluppato con il Beijing institute of biotechnology e l’Accademia delle scienze mediche militari. I primi risultati degli studi clinici sono stati pubblicati su The Lancet e sembrano positivi. Ad5-nCoV si basa sul metodo del «vettore virale»: utilizza un virus non molto aggressivo, cui sono state «incollate» geneticamente parti di Covid-19 che puntano a scatenare la risposta immunitaria. Il vaccino ha appena ottenuto il via dalla Commissione centrale militare cinese e «per un anno» sarà testato su un numero imprecisato di soldati: si parla di decine di migliaia di uomini e donne, nessuno dei quali (a occhio) volontario. Ma il punto debole del progetto sta proprio qui: questa sperimentazione «di massa», infatti, non coinvolge né persone dal fisico fragile né ultrasettantenni, cioè le categorie più vulnerabili alla Sars-Cov2.
Lo stesso difetto ha «Coronavac», l’altro vaccino candidato cui lavora Sinovac Biotech, società farmaceutica privata di Pechino. Nelle Fasi 1 e 2, condotte in Cina, 743 persone sane tra i 18 e 59 anni hanno ricevuto due dosi di Coronavac a distanza di 14 giorni. Il 1° giugno Sinovac ha dichiarato di avere ottenuto «una risposta immunitaria senza gravi effetti collaterali in oltre il 90 per cento dei soggetti cui è stato somministrato» e che il vaccino «ha prodotto anticorpi neutralizzanti 2 settimane dopo l’inoculo». Dieci giorni fa, Sinovac ha annunciato una Fase 3 su 9 mila volontari: avverrà in Brasile, dove la pandemia è ancora in fase ascendente con oltre 1,5 milioni di persone contagiate – incluso il presidente Jair Bolsonaro – e 65 mila morti. Come ha scelto di fare CanSino, però, anche Sinovac non sta conducendo test sugli ultrasessantenni, quindi presenta lo stesso elemento di fragilità.
Con queste premesse, il vaccino candidato più promettente è allo studio in Europa. Si chiama «AZD1222», è stato sintetizzato a fine febbraio nei laboratori dello Jenner institute dell’Università di Oxford, la cui direttrice Sarah Gilbert è nota in tutto il mondo per aver guidato gli studi sul vaccino contro la Mers (Middle East respiratory syndrome), un’influenza aviaria mortale simile alla Sars. La ricerca è guidata dalla britannica AstraZeneca, con base a Cambridge, ma ha un cuore italiano: quello della Irbm Science Park (Irbm sta per Istituto di ricerca di biologia molecolare), che fin qui ha prodotto tutte le dosi per la sperimentazione. La Irbm non è una sorpresa, nel settore: nel 2013 aveva messo a punto un vaccino contro l’Ebola, poi acquistato dall’inglese Gsk.
I test di Fase 1 su AZD1222, da aprile, hanno coinvolto 1.112 cittadini inglesi sani tra i 18 e 55 anni. Da fine maggio, e per tutto giugno, le Fasi 2 e 3 unificate hanno coinvolto un campione più ampio: 10.260 volontari sani, sempre in Inghilterra, tra cui bambini tra i 5 e i 12 anni, e anziani oltre i 70. È proprio l’età del campione a conferire alla sperimentazione di AstraZeneca un tasso di attendibilità superiore a quello di CanSino e Sinovac. Per acquisire i dati il più rapidamente possibile, inoltre, lo studio anglo-italiano ha reclutato soggetti che hanno un’alta probabilità di essere esposti alla Sars-Cov2, cioè medici e infermieri. Dal 24 giugno AZD1222 viene sperimentato anche in Brasile: l’Università di San Paolo ha reclutato 1.900 volontari, in gran parte sanitari dai 18 ai 55 anni. In cambio, il Brasile ha ottenuto che parte della futura produzione di vaccino possa avvenire sul proprio territorio.
Per capire se AZD1222 renda davvero immuni al virus, l’Università di Oxford confronterà il numero d’infezioni in due gruppi: da una parte quello dei volontari vaccinati, e dall’altra un gruppo di controllo di non-vaccinati. Questo avverrà sia in Inghilterra sia in Brasile. «A questo scopo», spiega Sarah Gilbert, «sarà necessario che un buon numero di partecipanti sviluppi il Covid-19. La rapidità con cui raggiungeremo i numeri necessari per l’affidabilità del nostro test dipenderà dai livelli di trasmissione del virus nelle due comunità. Se il tasso di trasmissione resterà alto, in due mesi (quindi entro agosto, ndr) potremmo ottenere dati sufficienti per verificare se il vaccino funziona; se invece i livelli di trasmissione calassero, potrebbero essere necessari fino a sei mesi (quindi entro dicembre, ndr).
Lo studio di AstraZeneca è uno dei nove sostenuti dalla Coalition for epidemic preparedness innovations, creata nel 2016 a Oslo dai governi di Norvegia, Germania e Giappone, dalla Bill & Melinda Gates Foundation e dal Wellcome Trust, il fondo benefico varato alla morte del magnate inglese della farmaceutica Henry Wellcome. Dal gennaio 2020, Cepi è la prima partnership globale per il coordinamento e lo sviluppo di un vaccino contro il Sars-Cov2, da diffondere su scala mondiale. La Coalizione ha lanciato un piano di raccolta da 8 miliardi di dollari da destinare alla ricerca, e a fine giugno ne ha raccolti 4,9. Fin qui Cepi ha investito 829 milioni nei suoi nove progetti: ad assorbirne metà è la sperimentazione AstraZeneca-Oxford-Irbm.
Ovviamente, gli Stati Uniti non stanno a guardare. A metà maggio Donald Trump ha lanciato il progetto «Warp Speed» (un’espressione resa famosa dai film di Star Trek, che più o meno significa «accelerata in curva»), che ha selezionato i dieci migliori progetti americani. Più avanti nella corsa è Moderna, casa fondata nel 2010 a Cambridge (Massachusetts). Pochi giorni fa, il 2 luglio, ha avviato la Fase 3 con test su 30 mila pazienti volontari sani negli Stati Uniti. È un po’ indietro, rispetto ai cinesi e agli europei. Ma gli americani, si sa, sono capaci di accelerazioni alla Star Trek. Chi vincerà la gara? n
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