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Trump prende tutto (compreso il partito)

Trump prende tutto (compreso il partito)

Il presidente, pur avendo mal gestito l’emergenza Covid, sembra pronto per un secondo mandato. Le violente manifestazioni di protesta hanno ricompattato la sua base elettorale. E c’è il timore che con lo sfidante Joe Biden il Paese sprofondi nel caos.


I fuochi d’artificio sul cielo della Casa Bianca a Washington, al termine dell’ultima notte di convention repubblicana e l’accettazione della «nomination» da parte di Donald Trump, sono una buona metafora per capire cosa gli americani dovranno aspettarsi negli ultimi 55 giorni di campagna elettorale. Poco meno di due mesi, in cui il presidente più controverso della storia recente del Paese si giocherà tutto. E durante i quali cercherà di ottenere una rielezione, che fino ai giorni precedenti allo scoppio della crisi coronavirus sembrava scontata.

La gestione Covid, che solo in America ha provocato più di sei milioni di contagi e almeno 185 mila vittime, ha però rimescolato le carte in tavola in vista della notte del 3 novembre, mettendo in difficoltà il presidente, impossibilitato a condurre eventi elettorali di persona per mesi. Ma ha dato anche la possibilità a Trump di ristabilire il controllo sul suo partito, quello repubblicano, che fino a quattro anni fa aveva parzialmente lottato per rinnegarlo e che ora invece vive e muore con lui. E, ancora, di affrontare quanto resta della campagna elettorale nella stessa posizione che gli permise di vincere nel 2016: quella dell’outsider.

«Nonostante molti sondaggi lo diano indietro, è tutt’altro che finito. Le violente manifestazioni dei movimenti di sinistra nell’area nord-occidentale del Paese motiveranno la sua base, anche perché è probabile che continuino» spiega a Panorama Richard Bensel, professore di politica ed economia alla Cornell University. «Sia i repubblicani tradizionali che i democratici non si appellano alla base di Trump. Quindi, circa il 40 per cento dell’elettorato è di sicuro con lui» prosegue lo studioso, evidenziando come ora Trump abbia bisogno di due scossoni per chiudere il gap che lo dà all’inseguimento del democratico Joe Biden, e provare a vincere. «Uno di questi lo ha già lanciato con gli attacchi ai sindaci democratici che amministrano le città dove si svolgono le proteste» dice Bensel.

La strategia del presidente, ancora competitivo in Stati-chiave come Wisconsin, Michigan e Minnesota nonostante la gestione del coronavirus sia stata considerata negativamente anche da quotidiani conservatori come Wall Street Journal, è chiara. E segue il solco tracciato nei suoi tre anni e mezzo di potere. Coccolare il suo elettorato, rivolgendosi alla base. Appellarsi agli indipendenti e alla classe media delle periferie per completare la conta negli stati dove si decide il voto. Disinteressarsi dell’America progressista e delle sue intenzioni. «Sua moglie Jill avrebbe persino il mio voto, ma Joe Biden è un candidato troppo debole e, dovesse vincere, la sinistra del partito lo comanderebbe» riflette con Panorama Enzo Pizzimenti, imprenditore italo-americano di Westchester, a New York. Pizzimenti ha votato Obama nel 2008 e Trump nel 2016. Paragona la tecnica del presidente per combattere i suoi avversari, dentro e fuori dal partito, a quella del pugile Muhammad Ali: «Mentre li batte, li provoca. E più li provoca più li finisce. E una volta sconfitti continua ad attaccarli». Ora Pizzimenti è pronto a rivotarlo: «Ha mantenuto diverse promesse: ha tenuto un atteggiamento pro-America e contro la globalizzazione, ha evitato nuove guerre al contrario di Bush e Obama, e ha cambiato il sistema fiscale».

Nonostante lui non sia stato un beneficiario del taglio delle imposte, «anzi, ora ne pago di più», in virtù della legge voluta da Trump che impone il tetto di 10 mila dollari per la detrazione fiscale sulle proprietà, mossa che ha penalizzato i proprietari delle grandi aree metropolitane e aiutato quelli dell’America di mezzo fedeli al presidente. «Ma ha condotto politiche commerciali giuste ed è dalla parte degli agenti di polizia e delle forze dell’ordine».

Solamente lunedì 31 agosto, con un discorso in Pennsylvania, Biden ha condannato le violenze, dicendo che i «tafferugli e il vandalismo non sono proteste». Ha anche aggiunto due dati concreti: quando lui era vice presidente, il numero di crimini negli Stati Uniti era calato del 15 per cento, mentre nel 2020 lo stesso dato è aumentato del 26 per cento. Ma i Dem nella loro convention non hanno mai preso posizione sulle violenze, temendo di allontanare parte del proprio elettorato. E così lo ha fatto Trump. Prima incassando l’«endorsement» di diversi sindacati di polizia, tra cui New York. Poi impostando i suoi messaggi durante la convention repubblicana sul tema che i Dem si erano dimenticati di indirizzare. «Law&Order» è stato lo slogan.

«Se vince Biden, sarà il caos», è stato il messaggio lanciato da Trump, che ha messo le mani sul partito usando la Casa Bianca come base della convention. Se nel 2016 la componente moderata era presente, ora molti di quei membri centristi hanno abbandonato il Grand old party, dando il loro appoggio a Biden. Chi nel partito è rimasto, invece, è più fedele a Trump che al partito stesso. Secondo un recente sondaggio YouPoll/Huffington Post, il 49 per cento degli indipendenti-moderati si considerano trumpiani e non repubblicani, mentre il 19 per cento si considera fedele più al partito che al candidato.

«Il partito sta spostando il proprio baricentro da trent’anni, Donald Trump ha solo accelerato un processo in atto» dice Grant Davis Reeher, direttore del Campbell Public Affairs Institute alla Syracuse University. La forza di Trump è stata quella di giocare sulla polarizzazione, costringendo Biden a parlare a un centro che potrebbe non esistere più.

E che il partito repubblicano stia cambiando tono, lo si vede dai nomi che emergono per la sua leadership da quando Trump si è insediato alla Casa Bianca. Da Jim Jordan, deputato dell’Ohio, mastino delle commissioni alla Camera e grande difensore del presidente durante il procedimento di «impeachment», a Claudia Tenney, candidata filo-trumpiana che tenta di riprendersi l’11esimo distretto newyorkese del Congresso. Fino a Marjorie Taylor Greene, la candidata della Georgia che Trump ha già definito «stella del futuro», finita sotto i riflettori per il supporto a Qanon, la teoria complottista secondo cui il presidente starebbe combattendo contro un movimento segreto satanista, composto da star di Hollywood ed esponenti liberal come Hillary Clinton.

«Aspetti dello stile di Trump perdureranno per decenni» aggiunge il professor Reeher, secondo cui a favorire il presidente potrebbe essere la ripresa dell’economia. Nonostante il Prodotto interno lordo americano sia crollato del 31,7 per cento nel secondo trimestre, il mercato azionario è letteralmente volato. Il Dow Jones a fine agosto ha toccato livelli da record, mentre l’indice S&P 500 ha superato quota 3.500 punti per la prima volta, dopo che la Federal reserve ha annunciato il mantenimento al ribasso dei tassi di interesse. «Molti americani hanno i loro conti pensionistici basati sull’andamento della Borsa e questo per loro è molto positivo».

Intanto per i prossimi 55 giorni c’è da attendersi che la forbice tra trumpiani e anti-trumpiani aumenti. Il primo giorno della convention repubblicana a Charlotte, tre persone sono quasi venute alle mani discutendo dell’utilizzo della mascherina, mentre aspettavano l’uscita della carovana presidenziale dallo Spectrum center. I primi due, sostenitori di Trump, erano lì per acclamarlo. Il terzo era lì per criticarlo. Due settimane fa, a Kenosha in Wisconsin, un ragazzo di 17 anni armato di fucile, appartenente a una milizia privata a difesa della polizia, ha sparato per strada uccidendo due persone. Trump lo ha difeso in conferenza stampa dalla Casa Bianca. Mentre sabato 29 agosto, a Portland, dove le proteste vanno avanti da ormai tre mesi, attivisti sostenitori del presidente hanno affrontato i manifestanti anti-Trump e un uomo ha perso la vita. E altri gravi episodi in cui sono coinvolte le forze dell’ordine si sono verificati anche a New York, Los Angeles e Washington: in queste città sono morti altri tre afroamericani, con relativa ulteriore benzina sul fuoco delle violenze.

«Mi aspetto che la retorica di Trump diventi ancora più aspra» conclude Richard Bensel, lo studioso della Cornell University. «Solo una sua pesante sconfitta potrebbe far tornare il partito repubblicano in mano al conservatorismo tradizionale: ma questo lo ritengo improbabile».

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