Era impresa durissima, per il cancelliere tedesco, smarcarsi dall’ingombrante figura di Angela Merkel. Ma la guerra di Mosca all’Ucraina l’ha catapultato in un’emergenza che neppure «la madre della Germania» ha dovuto affrontare.
La crisi finanziaria del 2007-2008 seguita da quella del debito sovrano europeo nel 2010-2012; poi l’emergenza migratoria nel 2015-2016, provocata dalla guerra in Siria, e infine la pandemia da coronavirus iniziata nel 2020. Nei suoi 16 anni di potere in Germania tra 2005 e 2021, Angela Merkel ha conosciuto numerosi periodi di difficoltà. Fra vittorie e scossoni, la cancelliera ha superato le sfide uscendone sempre a testa alta e soprattutto con picchi stellari di popolarità.
Nessuna delle emergenze affrontate da Merkel assomiglia però a quella di queste settimane: una guerra aperta fra due Paesi europei, uno dei quali, l’Ucraina, geograficamente vicina alla Germania e l’altro, la Russia, partner commerciale di prim’ordine della Repubblica federale tedesca.
Gli affari con Mosca hanno spesso offuscato tanti governanti tedeschi ed europei, nonostante la guerra fra Russia e Georgia nel 2008, la zampata con cui strappò la Crimea a Kiev a febbraio del 2014 e la guerra di logoramento scatenata nel Donbass ucraino nelle settimane successive. Per la sua profonda conoscenza del mondo comunista, dove è cresciuta dalla prima infanzia fino alla soglia dei 40 anni, per la sua padronanza della lingua russa e per la sua lunga frequentazione dello zar Vladimir Putin, che un po’ la rispetta e un po’ la odia, Merkel è stata spesso invocata quale mediatrice nel conflitto russo ucraino.
Oggi però il socio di maggioranza dell’Unione europea è l’occidentalissimo e socialdemocratico successore di Merkel, Olaf Scholz, già sindaco di Amburgo, proprio la benestante città dove Angela Dorothea nacque nel 1954 ma che lasciò ancora in fasce alla volta della Ddr.
Con i suoi i cartelloni in bianco e rosso dedicati all’allarme per la richiesta edilizia e al livello del reddito minimo legale, Scholz aveva condotto una campagna elettorale immaginandosi impegnato a ridistribuire la ricchezza in Germania mentre gli alleati Verdi avrebbero messo a punto la transizione energetica, lasciata nel guado dal governo precedente. E invece, no.
Il neocancelliere è stato catapultato in un groviglio di problemi strategici – dalla posizione della Germania nella Nato all’approvvigionamento energetico fino a una nuova crisi migratoria – che lo hanno portato a scelte inimmaginabili fino a poche settimane prima dello scoppio del conflitto Mosca-Kiev. Ma Scholz è rimasto fedele alla sua promessa del 10 febbraio: «Chi da me chiede un esercizio di leadership, lo otterrà».
Da bravo alleato degli americani, ha ingoiato l’amaro boccone delle sanzioni alla Russia, ordinando fra l’altro lo stop al collaudo del Nord Stream 2, il costoso raddoppio del gasdotto che unisce Russia e Germania attraverso il Mar Baltico: 10 miliardi di euro spesi in una infrastruttura destinata a restare una cattedrale nel deserto. Per ridurre la dipendenza tedesca dal gas russo (oltre il 54 per cento dell’import totale) e facilitare l’acquisto di gas naturale liquefatto dagli Usa, Scholz ha invece annunciato la costruzione di due rigassificatori sulle coste del Nord. Il cancelliere socialdemocratico ha quindi disposto l’invio di aiuti militari all’esercito ucraino (razzi anticarro e missili Stinger).
L’apice della sua azione è stato il discorso al Bundestag del 27 febbraio con cui ha assicurato un’iniezione straordinaria da 100 miliardi di euro nelle casse della Difesa per raggiungere e superare l’obiettivo del 2 per cento del Pil indicato da una serie di presidenti degli Stati Uniti (Barack Obama, Donald Trump, Joe Biden), come necessario affinché ogni componente della Nato contribuisca al bilancio dell’alleanza senza approfittarsi degli Usa.
Svolta storica per un cancelliere espressione della sinistra tedesca impregnata di pacifismo post-bellico: la Spd è la stessa che sotto la guida dell’allora cancelliere Gerhard Schröder (diventato un uomo di Gazprom e il primo sponsor del Nord Stream 2) nel 2003 oppose un fermo «nein» alla coalizione anti-Saddam allestita da George W. Bush. La determinazione di Scholz è stata tale che persino il nuovo leader della Cdu, il super atlantista Friedrich Merz, ha messo in guardia il governo dal creare troppo debito.
«Se guardiamo alla lista delle crisi affrontate da Angela Merkel, niente è paragonabile a quella gestita in questi giorni da Olaf Scholz» osserva a Panorama Gero Neugebauer, politologo della Freie Universität Berlino, attento osservatore della Spd tedesca. «Ricordiamo che la stessa Merkel ha gestito bene il primo anno della pandemia ma che il secondo (un anno elettorale in Germania, ndr) è stato contraddistinto da incertezze e ritardi che non hanno certo aiutato Scholz nelle fasi iniziali del suo governo».
Né va dimenticato che la partenza di Scholz è stata più difficoltosa di quelle dei governi Merkel: «Lui è il primo in Germania a guidare una coalizione fra tre partiti»: due di sinistra, socialdemocratici e Verdi, e uno liberal-conservatore, la Fdp. Partiti che, sì, hanno concordato un programma di governo ma sono destinati a farsi concorrenza anche una volta al potere.
Il nuovo cancelliere, continua Neugebauer, sconta poi un’esperienza a livello internazionale minore di quella dell’ex cancelliera abituata a passare da una visita al Cremlino a un vertice del G20. Il vero fardello per Scholz sono infine le ottime relazioni commerciali fra Germania e Russia, ben rappresentate dal faraonico progetto del Nord Stream 2, aggravate da una storica debolezza della Bundeswehr, un esercito che in anni recenti ha fatto notizia solo perché metà dei suoi aerei ed elicotteri è incapace di alzarsi in volo per insufficiente manutenzione. Due circostanze per le quali gli americani hanno spesso considerato i tedeschi partner Nato di serie B.
Le decisioni del governo rosso-verde-giallo di Scholz, che ha anche chiesto a Schröder di rinunciare ai suoi diversi incarichi nelle compagnie petrolifere russe, fanno risalire le azioni della Germania agli occhi degli Usa. E il 3 marzo, mentre governo e Länder si impegnavano in una gigantesca opera di accoglienza dei profughi ucraini e dei rifugiati di paesi terzi in arrivo da Kiev e dintorni, anche il 53% dei tedeschi approvava le scelte dell’esecutivo, secondo un sondaggio di DeutschlandTrend, con un altro 25% che le considerava addirittura troppo timide. Attenzione però: di troppe sanzioni antirusse l’economia tedesca può anche morire.
Lo ha spiegato il presidente della Confindustria tedesca (Bdi), Siegfried Russwurm, paventando effetti devastanti sull’economia dal possibile embargo tedesco su gas e petrolio russi. «L’approvvigionamento dell’Europa per la produzione di calore, la mobilità, la fornitura di energia e l’industria non può essere assicurato in alcun altro modo al momento» ha risposto Scholz escludendo stop alle importazioni di gas da Mosca. Per emanciparsi almeno in parte dall’oro blu di Gazprom anche la Germania ha bisogno di tempo. Una linea rossa che il cancelliere socialdemocratico più atlantico di sempre ha indicato con chiarezza agli alleati d’Oltreoceano.
