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No alle sanzioni, sì agli affari

No alle sanzioni, sì agli affari

In tutto il mondo, i Paesi che oggi si oppongono alla Russia sono appena 46. Le altre nazioni scelgono la neutralità (se non l’aperto appoggio a Mosca) o il business con il Cremlino. Perché la verità è che Vladimir Putin è un pària solo per l’Occidente, altrove – dalla Cina all’India, dal Brasile all’Africa – resta un prezioso interlocutore, dal quale comprare petrolio e molto altro.


Il colpo d’occhio guardando il planisfero fa impressione: i Paesi dipinti di rosso, che applicano le sanzioni alla Russia per l’invasione dell’Ucraina, sono appena 46. Il resto è una marea di grigio dall’America Latina all’Asia passando per l’Africa. Nazioni che preferiscono la neutralità e gli affari se non l’appoggio a Mosca. Eppure l’ultimo voto dell’assemblea delle Nazioni unite del 24 febbraio, un anno dopo l’invasione, ha condannato l’aggressione con 141 Stati a favore su 193, solo 7 contro e 32 astenuti. Affari e convenienza politica registrano una preoccupante tendenza secondo le statistiche dell’Economist intelligence unit: «Il numero dei Paesi che condanno apertamente Mosca sono in calo e quelli neutrali in aumento. La Russia (e la Cina) stanno corteggiando nazioni non allineate nel tentativo di seminare dubbi sull’impatto delle sanzioni sfruttando il risentimento contro le ex potenze coloniali» che appoggiano fermamente l’Ucraina.

I dati dimostrano che le nazioni con appena il 15,2 per cento della popolazione mondiale mettono all’indice la Russia rispetto al 30,7 per cento che rimane neutrale e il 27,5 per cento spostato verso Mosca. Al contrario, la condanna di Mosca sale al 60,7 per cento se utilizziamo come riferimento il Prodotto nazionale lordo. In pratica, i paesi «ricchi» del nord del globo contro quelli poveri e non del sud. In Europa non vogliono saperne di sanzioni i serbi, che influenzano in tal senso pure Bosnia ed Erzegovina. «Noi abbiamo spesso una visione eurocentrica del mondo ed euroatlantica» osserva Carlo Marsili, già ambasciatore italiano di lungo corso. «I Paesi che si sono schierati davvero al fianco dell’Ucraina sono una minoranza. La Russia è un pària in Occidente, ma il resto del mondo, nonostante la condanna dell’Onu, si astiene o continua a considerare Vladimir Putin un interlocutore».

L’India è il grande Paese emergente dei Brics – Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica – che mantiene una ferrea neutralità. New Delhi era arrivata a dipendere per l’80 per cento dalla forniture belliche di Mosca, percentuale scesa al 55. Nell’ultimo anno l’India è diventata la seconda acquirente di petrolio russo al mondo dopo la Cina, con 1,6 milioni di barili al giorno. Ufficialmente nel rispetto del prezzo di 60 dollari a barile imposto dal G7. Due società private si spartiscono la torta. La Reliance industries, conglomerato che fa capo a Mukesh Ambani, ricchissimo uomo dell’Asia, vicino al governo indiano. E la Nayara energy, italo-russa. Entrambe operano nel golfo di Kutch, sulla costa dello Stato del Gujarat, ex roccaforte del premier indiano Narendra Modi.

Pechino rimane il primo importatore di petrolio dalla Russia. E il commercio con Mosca è cresciuto del 27 per cento dall’aggressione all’Ucraina. I presidenti Putin e Xi Jinping hanno siglato il via libera al gigantesco progetto Siberian Force 2: un gasdotto lungo 2.600 chilometri che arriverà nello Xinjiang con una portata di 50 miliardi di metri cubi. Niels Graham, coautore di un rapporto del Consiglio atlantico sulle sanzioni alla Russia, denuncia «che pure Stati come la Grecia importano petrolio di Mosca a buon mercato e altri come la Turchia esportano in Russia molta elettronica e prodotti industriali e chimici sfruttando i “buchi neri”». Un aumento dell’85 per cento imbarazzante per un membro della Nato, che si somma al balzo delle importazioni energetiche del 93 per cento. Il Brasile, pur condannando l’invasione a parole, sbandiera la neutralità e si tiene stretto il commercio bilaterale con Mosca che vale 10 miliardi di dollari importando enormi quantità di fertilizzanti nell’agroalimentare. «La Turchia è nella Nato e non si sogna di applicare le sanzioni» sottolinea Marsili «come l’Indonesia, il quarto Paese al mondo per popolazione. Le nazioni africane, poi, sono filo russe come il Mali o nella migliore delle ipotesi non pensano a seguire gli Usa e la Ue».

L’Africa è il grande buco nero delle sanzioni, dove sta avvenendo uno scontro diplomatico durissimo. Washington ha accusato il Sudafrica, uno dei paesi trainanti del continente, di inviare segretamente armi e munizioni a Mosca. L’Uganda ha un arsenale russo e il ministro degli Esteri, Abubaker Jeje Odongo, dichiara: «Ora i colonizzatori ci chiedono di essere nemici della Russia, che non ci ha mai colonizzato». Pochi giorni dopo l’invasione dell’Ucraina,i dimostranti scesi in piazza a Bamako, capitale del Mali, per festeggiare l’annuncio del ritiro delle truppe francesi, alzavano i cartelli «grazie Wagner», la compagnia russa che ha siglato un accordo con il governo. Non è un caso che il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, abbia visitato 14 nazioni in Africa e America Latina nell’ultimo anno per dimostrare che la Russia è isolata solo per l’Occidente. La diplomazia ucraina sta cercando di correre ai ripari con un piano che prevede l’apertura di nuove ambasciate dal Guatemala, alla Malesia fino al Ghana. In Africa sono previste dieci nuove sedi.

Il vero campanello d’allarme è un dossier riservato sull’aggiramento delle sanzioni del Coreper, il comitato che riunisce i 27 ambasciatori Ue e prepara i lavori del Consiglio d’Europa. L’undicesimo pacchetto, approvato il 23 giugno, riporta al primo punto i dettagli di «un nuovo strumento anti elusione». Gli Stati ex sovietici dell’Asia centrale tra cui Armenia, Kirghizistan e Kazakistan hanno aumentato dal 25 al 195 per cento le esportazioni verso la Russia. Acquistano in Europa semi conduttori, apparecchiature sotto embargo, polvere da sparo che poi vendono alla Russia in barba alle sanzioni. Oppure comprano il petrolio di Putin e lo piazzano nel Vecchio continente. Il Kazakistan è riuscito a importare dalla Francia 17,8 tonnellate di polvere da sparo, girandone a Mosca 11,5 tonnellate, oltre a mirini telescopici, laser e cuscinetti per i cingolati. La Russia può contare anche su una flotta «fantasma» di navi soprattutto «greche, cipriote, ma anche maltesi ben rappresentate nel traffico petrolifero russo» conferma Byron McKinney, direttore di S&P Global Market Intelligence. Anche Emirati arabi, India, Cina, Pakistan, Indonesia e Malesia hanno acquistato più navi dall’inizio dell’invasione per aiutare la Russia ad aggirare le sanzioni. Ben 443 petroliere farebbero parte dela nebulosa che movimenta greggio russo. «Gran parte operano in maniera normale» spiega McKinney, «ma alcune navi sono coinvolte in attività sospette».

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