Home » Attualità » Politica » Poltronissima: il valzer delle nomine a 5 Stelle

Poltronissima: il valzer delle nomine a 5 Stelle

«Si sono mangiati tutto!» urlava indignato Beppe Grillo tra un «vaffa» e l’altro. Ora al banchetto della politica ci sono loro, i pentastellati. Che mostrano un appetito insaziabile per tutte le cariche: enti statali, multinazionali energetiche, istituti di credito, telegiornali della tv pubblica, società partecipate. E la meritocrazia? Che parola antiquata…


A Grammichele, nel Catanese, non succede mai niente. Ma i paesani quel pomeriggio di fine primavera se lo ricordano ancora. Beppe Grillo, con la sua criniera di riccioli, dal palco ruggiva: «Si sono mangiati tutto!». I politici idrovore, sottinteso. Di destra, sinistra e centro. La cupidigia degli eletti è così diventata una delle frasi iconiche del Movimento, pappagallescamente ripetuta dai suoi aspiranti rivoluzionari. Poi i sanculotti, nella primavera del 2018, invadono i palazzi. Ed eccolo lì: il succulento banchetto della politica. Più luculliano di quanto avessero mai immaginato. I grillini spalancano le fauci. Ministeri, commissioni, sottogoverni. E ora, arrotate le forchette, determinano le sorti di partecipate, colossi pubblici ed enti statali. Perché il potere, come l’aria di mare, rafforza anche gli appetiti insaziabili.

Dal Movimento cinque stelle al Movimento cinque poltrone. Hanno cominciato chiedendo il curriculum pure per fare l’assessore nelle circoscrizioni. Sono arrivati allo spavaldo mercimonio sulle prossime regionali del 20 settembre. Bisogna favorire l’alleanza con il Pd, perorata da Giuseppe Conte. Il M5s si lancia quindi in scabrose avance ad alcuni suoi aspiranti presidenti, invitandoli a desistere. «Mi hanno offerto poltrone e prestigio assicurato. Ma la nostra scelta deve essere più importante dei vantaggi personali e di quelli del premier» sbraita Antonella Laricchia, candidata in Puglia. E l’omologo marchigiano, Gian Mario Mercorelli, conferma: «Sarebbe utile parlare di sviluppo e di sanità. Invece, si occupa il tempo nella spartizione delle poltrone».

Uffa, che pedanteria. E quanta, anacronistica, coerenza. Persino il messia, rinominatosi «l’Elevato», da lassù benedice ogni contraddizione: «Non vorrei che la gente abbia confuso la biodegradabilità con l’essere dei kamikaze» spiega Grillo. «Noi ci muoviamo sinuosi nel mondo e i nostri nemici pregano che la coerenza, solo la nostra, sia una sorta di colonna vertebrale di cristallo». Depurato dall’involuto periodare, il messaggio agli apostoli sembra chiaro: il pelo sullo stomaco, fitto come una foresta, è cresciuto anche sulle nostre glabre pancette. Nove anni di roboanti «vaffanculo», fino all’ingresso delle truppe cammellate a palazzo.

Poco più di due anni fa nasce il primo governo di Giuseppe Conte. Scansatevi tutti. Ma il meglio, adesso, deve ancora venire. Il momento è quantomai propizio. A Palazzo Chigi rimane un premier affiliato. Gli alleati Pd sono in perenne disarmo. E gli ex francescani della politica, visti gli impietosi sondaggi che ne dimezzano i consensi, sanno che non avranno mai più tanto potere. Bisogna farsi sotto. Fare e disfare. Brigare e piazzare.

Ovviamente, il colpo maestro resta proprio aver issato lo sconosciuto Giuseppi a Palazzo Chigi. Il giurista di Volturara Appula, nell’inverno 2018, viene presentato come futuro ministro della Pubblica amministrazione. Ma il destino gli riserva una sorte ancor più sorprendente: la guida di ben due esecutivi. Di opposta foggia, per di più. Anche Pasquale Tridico, a quel tempo, fa parte del fantagoverno grillino: prossimo ministro del Lavoro. A marzo del 2019, nonostante la diffidenza degli allora alleati leghisti, viene però nominato presidente dell’Inps. Un ruolo più che strategico per la politica turboassi-stenziale del Movimento, tutta reddito di cittadinan-za e bonus fantasmagorici.

Ma cambiare i vertici dell’istituto previdenziale non basta. Qualche mese dopo la sua designazione, Tridico avvia uno spoil system degno di democristiani e socialisti ai tempi d’oro. L’ente viene completamente grillizzato. I dirigenti non graditi fanno ricorso. Con i sindacati che attaccano il presidente: «Premia solo i suoi uomini». Che permalosi! E poi, basta farci l’abitudine. A corollario, anche l’Anpal è finita nelle sicure mani di un professorone scovato da Luigi Di Maio, già ministro del Lavoro e leader grillino, nientemeno che negli Stati Uniti: Domenico Parisi, detto «Mimmo ‘o cowboy». Doveva essere proprio la sua agenzia governativa a riformare i centri per l’impiego. Ed è stato lui l’ideatore dell’ingegnoso, e mai pervenuto, sistema dei navigator.

In compenso, il prode Mimmo ha fatto parlare di sé a causa di sontuose note spese: 71 mila euro per viaggi Roma-Mississippi in business class, 55 mila euro per noleggio auto con autista, 32 mila euro per un appartamento ai Parioli. D’altronde il suo mentore Giggino, dopo l’approvazione del reddito di cittadinanza, dal balcone di Palazzo Chigi gioiva: «Abbiamo abolito la povertà». E da qualche parte bisognava pur cominciare, no?

Già. Sono finiti il tempo di sobrietà e costumatezza. Meglio le scorpacciate pantagrueliche. Come quella dello scorso aprile. Ci sono da rinnovare i vertici di alcuni colossi di Stato. Il Movimento vuole cacciare Claudio De Scalzi dalla guida dell’Eni. È inviso soprattutto al Che Guevara di Roma Nord, Alessandro Di Battista, ora in temporaneo servizio al lido Riccio di Ortona. Ed è detestassimo pure dall’ultragrillino Fatto Quotidiano. Ma il colpo di mano non riesce. Poco male. In cambio, i Cinque stelle a piazzano alla presidenza della multinazionale energetica Lucia Calvosa, avvocato e professoressa di diritto commerciale all’Università di Pisa. E, incidentalmente, membro del cda di Seif, società editrice del quotidiano di Marco Travaglio. Vedi che coincidenze. Insomma: una vellutata poltrona in cambio di un’altra.

Uguale schema per Leonardo, colosso dell’industria militare. L’inviso Alessandro Profumo rimane amministratore delegato. Alla presidenza, però, i Cinque stelle chiedono e ottengono Luciano Carta, ex capo dell’Aise, l’intelligence nazionale. Lo stesso accade all’Enel. Largo al terzo mandato, come a.d., per Francesco Starace. In compenso arriva alla presidenza l’avvocato leccese Michele Crisostomo. Mentre per l’Enav, che gestisce il traffico aereo civile, viene scelto Paolo Simioni, già al comando di Atac, discussa municipalizzata romana dei trasporti.

Al Monte dei Paschi di Siena, controllato dal ministero dell’Economia dopo il salvataggio statale, approda invece Guido Bastianini, ex Capitalia e Carige. Così quella bettola diventerà finalmente un ristorante stellato. Perché, anche nel caso nell’istituto di credito toscano, Grillo ai tempi andati esternava la solita metafora culinaria: «Si sono mangiati tutto!». E mentre il fondatore ululava nei comizi, i suoi rincaravano. «Le partecipate sono i poltronifici dei partiti» giurava Giorgio Sorial, ex deputato del Movimento e autore in passato di un’interrogazione sui «Renzimandati», piazzati dall’ex premier nelle controllate statali. Ma perfino l’incendiario Sorial è diventato pompiere provetto. Chiusa la parentesi parlamentare, Di Maio l’ha portato al dicastero dello Sviluppo economico. Adesso, da vice capo di gabinetto, pure lui può occuparsi di nomine. Nel segno, ci mancherebbe, della più alta e specchiata competenza.

«Finanzieremo le riforme smantellando i poltronifici dei vecchi partiti: le società partecipate» prometteva addirittura Danilo Toninelli. Giustissimo. Ma la vita, si sa, è piena di fatalità. Quindi Massimiliano Gattoni, già capo della segreteria tecnica dell’ex ministro dei Trasporti pentastellato, viene chiamato a dirigere l’Information and communication technologies dell’Anas. Nome roboante e stipendio adeguato: circa 250 mila euro l’anno. Assunzione decisa dall’amministratore delegato della società stradale: Massimo Simonini. Casualmente scelto, sempre da Toninelli, durante la sua tormentata guida del dicastero.

Vicinissimo a Di Maio sarebbe invece Giacomo Lasorella, nuovo presidente dell’Agcom. Ex vicesegretario generale della Camera dei deputati, viene considerato il mentore dell’attuale titolare della Farnesina. Colui, insomma, che instradò il giovanissimo Giggino, vicepresidente di Montecitorio ad appena 26 anni. E proprio l’Autorità garante per le telecomunicazioni resta il crocevia più strategico. Grillo in persona vuole una fusione tra Tim e Open Fiber, che gestisce la banda larga. Giuseppi è d’accordo. E il fidato Fatto Quotidiano rivela di un incontro tra il fondatore e il sindaco di Milano, Giuseppe Sala. Discutono di come rilanciare la metropoli lombarda? Macché. Si discetta, appunto, della società pubblica che dovrebbe nascere dalle ceneri di Telecom.

Un posto, giura il quotidiano, a cui ambirebbe Sala. Che, come Forrest Gump, sarebbe un «po’ stanchino» di amministrare la città. E, visto l’illustre passato da dirigente della società telefonica, si sarebbe fatto avanti. Ipotesi smentita dal sindaco, certo. Ma il punto è un altro. La poltronite ha infettato perfino il regno dei cieli in cui fluttua l’Elevato.

Com’erano lindi e coerenti, invece, i tempi in cui l’ex comico si scagliava contro concambi e clientele. Nella tv pubblica, per esempio: «I partiti politici, con la lottizzazione, si sono mangiati la Rai piazzando i loro uomini nel management e nei telegiornali e dicendo loro che cosa dire e che cosa non dire» sbraitava nell’aprile 2017. Due anni e mezzo dopo, a novembre 2019, il Movimento ottiene finalmente una direzione dei notiziari di Stato. La più ambita, perfino: il Tg1. Il prescelto è Giuseppe Carboni. Lo scorso maggio arriva poi la conquista della direzione di Rai3, storico feudo di sinistra. Viene indicato Franco Di Mare, sostenuto dal ministro pentastellato allo Sport, Vincenzo Spadafora, il Richelieu delle telenomine. Sotto, a dispetto delle apparenze, l’attenta supervisione dell’onnipresente Di Maio.

E anche il ministro degli Esteri ha passato anni a insolentire i sudicioni al potere. «In Campania continua la politica degli amici degli amici» assaltava a maggio 2017. Un anno dopo è vicepremier. Con insopprimibile senso della meritocrazia, si rammenta dunque dei vecchi compagni di scuola. Quelli del liceo classico Vittorio Imbriani di Pomigliano d’Arco, nel napoletano. Ah, quanti ricordi. E, a pensarci bene, quanti geniacci passati da quei banchi… Giggino decide allora di far giustizia. Il vecchio Pasquale De Falco, illustrissimo commercialista della zona, diventa sindaco nel collegio sindacale di Fincantieri.

Nel suo studio, pensa un po’, ha lavorato un altro De Falco: Dario. Pure lui, uno sprecato golden boy. Fino a quando l’illuminato Di Maio non rimette le cose a posto e lo nomina capo della sua segreteria politica. Adesso è consigliere del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro.

Che dire, poi, di Valeria Ciarambino? Indimenticabile colonna di quel glorioso liceo. Ora è candidata governatrice in Campania. «E Carmine? Te lo ricordi Carmine?» si danno di gomito a Polignano. Certo che se lo ricordano: Carmine America, ex compagno di classe del fu capo grillino. Lo scorso maggio entra nel cda di Leonardo. Compenso: 80 mila euro all’anno. Del resto, era ora. Finalmente il vento della meritocrazia grillina spazza il napoletano. Eppure, i compaesani di Giggino non riescono a darsi pace: «Ma perché non abbiamo studiato anche noi all’Imbriani?».

© Riproduzione Riservata