La notizia è di quelle importanti anche se passata un po’ sotto silenzio. L’Italia ha la sua nuova Ilva, il nuovo polo dell’acciaio. Nell’incontro di ieri tra i vertici di Jindal ed il ministro dello sviluppo Patuanelli si è di fatto celebrato il matrimonio tra la società proprietaria delle acciaierie di Piombino e lo Stato per la nascita del nuovo polo dell’acciaio, «un nuovo modello di siderurgia ecosostenibile in Italia».
In tutto questo ovviamente è prevista una spesa da parte dello Stato che «vuole agevolare la ripresa del sito – ha detto Patuanelli – accompagnando gli investimenti necessari all’ammodernamento degli impianti prevedendo un possibile ruolo attivo dello Stato».
Ecco la nuova formula, il nuovo piano industriale del paese. E’ tornato di moda il socialismo e non so cosa mettermi. Ci avete fatto caso? Dev’essere uno dei sintomi più subdoli dell’epidemia: lo statalismo galoppante. Le due paroline magiche più pronunciate in tv e sui giornali: “Più Stato”. La panacea di tutti i mali, l’elisir dell’eterna ricchezza.
Le acciaierie di Piombino? Serve un “ruolo attivo dello Stato”. Alitalia? Ci pensa lo Stato con 3 miliardi freschi, da sommare ai 12 pregressi. Il vicesegretario Pd Orlando? “Ci vuole lo Stato nelle imprese”. La ricetta di Romano Prodi? “Lo Stato azionista”. Persino uno che conosce bene il mondo produttivo come il sindaco di Milano Beppe Sala, ha dichiarato che “il socialismo non appartiene alla storia ma all’avvenire”. Togliatti starà esultando nella tomba.
Per carità, è vero che siamo nel mezzo di una crisi senza precedenti. Ed è giusto che il potere pubblico si ritagli un ruolo straordinario a sostegno del sistema economico. Ma mettiamoci in testa che l’intervento, per l’appunto, dev’essere straordinario: cioè provvisorio. E siccome in Italia, come diceva Prezzolini, il provvisorio è sempre definitivo, forse è il caso di iniziare a preoccuparsi di fronte a questa sbornia nazionalizzatrice. La leggendaria Iri nacque nel 1933 come istituto provvisorio: si sciolse solo nel 2000, dopo una grande svendita. Per fare un paragone, pensiamo agli Stati Uniti: durante la crisi del 2008 il governo americano entrò nel capitale delle grandi aziende uscendone pochi mesi dopo addirittura in guadagno. Da noi invece si sono allattate per anni aziende decotte, focolai di parassitismo sociale: insomma, per passare da uno stato regolatore a uno stato imprenditore, da noi è questione di un attimo.
Qual è la differenza? Mettiamola così: lo Stato regolatore è il medico che nei momenti di crisi, accende il defibrillatore e rimette in piedi il paziente. Lo stato imprenditore, invece, è quello che si infila i pantaloni del paziente e va a divertirsi con sua moglie.
E poco importa che all’estero, vedi la Francia, qualcuno stia procedendo in questa direzione. Non tutti gli apparati sono uguali. Prima di consegnare allo Stato le chiavi dell’economia, ricordiamoci del grande handicap che tutto il mondo non ci invidia: una burocrazia soffocante che paralizza il Paese. In Italia lo Stato è quello che nel pieno della pandemia si perde i soldi della cassa integrazione per strada, lasciando le imprese a secco. In Italia lo Stato, nella sua espressione governativa, preferisce distribuire bonus a pioggia, sussidi a valanga e poltrone a manetta, piuttosto che abbassare la pressione fiscale e venire incontro alle imprese. In Italia lo Stato pretende di salire nella tolda di comando delle aziende, quando deve agli imprenditori 55 miliardi di debiti pregressi. In Italia lo Stato è quello che mentre tutto riparte, tiene ancora chiuse scuole e tribunali. E davvero pensiamo che i piloti del carrozzone possano prendere decisioni migliori di chi ogni giorno solleva la saracinesca della fabbrica?
Ben venga dunque un sistema che consenta di controllare che i soldi pubblici siano spesi bene, e che nelle aziende non si socializzino le perdite per privatizzare i profitti. Ma occhio agli spifferi sovietici: il venticello dello statalismo è cominciato a soffiare durante la quarantena, quando vennero a dirci, come fa il padre con i bambini, quando e come potevamo uscire di casa, e con quali affetti stabili potevamo andare a pranzo. Ma solo una cosa è peggiore dello Stato “padrino”: il remake dello Stato padrone.
