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Laburisti senza gloria

Laburisti senza gloria

Competente, moderato, ma inefficace. Keir Starmer che sembrava il leader giusto per un centrosinistra in crisi d’identità mostra già la corda, mentre il premier Boris Johnson ha riconquistato gli inglesi. Così, nel partito, la lotta torna a farsi serrata.


C’è chi rimpiange la spregiudicatezza di Tony Blair e chi vorrebbe persino riprendersi Jeremy Corbyn. Nel Labour inglese è guerra aperta dopo la pesante sconfitta elettorale di maggio. Dicono che la débâcle alle ultime supplettive abbia fiaccato il suo leader anche nel fisico. Sir Keir Starmer, calciatore appassionato, non è riuscito a consolarsi neppure con la sua usuale partita a sette con gli amici. Dopo un buon inizio, il fotografo del Daily Mail l’ha impietosamente immortalato piegato in due, con il fiato corto, prima che ripiegasse verso lo spogliatoio, eppoi seduto al pub, con una pinta di birra in mano e lo sguardo malinconico.

Classe 1962, direttore della pubblica accusa per Inghilterra e Galles dal 2008 al 2013, sposato dal 2007 con Victoria Alexander, avvocatessa di fede ebraica, due figli, sir Keir aveva promesso di rinnovare il partito lasciato in frantumi da Corbyn. All’estremismo del suo predecessore aveva contrapposto una pragmatica moderazione, alla gigioneria politica del premier Boris Johnson una competenza guadagnata sul campo delle battaglie per i diritti civili. Se c’era qualcuno che poteva cambiare il panorama della politica britannica, poteva essere lui. Invece, contro ogni previsione, qualcosa è andato storto.

E dire che, poco prima del voto, gli era venuto in soccorso persino Dominique Cummings, ex braccio destro di «BoJo», che contro quest’ultimo aveva lanciato una feroce campagna diffamatoria, sperando di minare il risultato delle elezioni. Rivelando la dispendiosa passione per l’interior design di Carrie Symons, futura moglie di Johnson, e le spese eccessive per la ristrutturazione dell’appartamento a Downing Street, Cummings sperava di risvegliare l’indignazione degli elettori che invece hanno fatto spallucce, premiando il successo di una campagna vaccinale che li ha liberati dalla pandemia prima di tutti.

Nemmeno le ultime rivelazioni dell’«architetto della Brexit» sul piano B scelto dell’ultimo momento dal governo per combattere il Covid, hanno avuto un impatto significativo sulla fiducia degli inglesi nel loro primo ministro. L’ultimo sondaggio della YouGo rivela che soltanto il 14% dell’opinione pubblica crede alle nuove dichiarazioni di Cummings, una percentuale ininfluente sulle intenzioni di voto che vedono i conservatori avanti di ben 18 punti rispetto ai laburisti. Johnson gongola e si gode il suo periodo d’oro.

Quanto a Starmer, è rimasto alla finestra e con amletica rassegnazione ha dovuto assistere a un copione già visto: la conquista dei conservatori di Hartlepool, un’altra roccaforte del «muro rosso», la perdita totale di otto consigli e 326 consiglieri. Le posizioni laburiste, appiattite su una perenne critica al governo, non piacciono più all’elettorato delle zone povere, che fa i conti con un’assistenza sanitaria insufficiente, una disoccupazione galoppante e, non sentendosi tutelato, percepisce gli immigrati come nemici. Ora il buon Keir deve gestire una crisi che pare irreversibile, in un partito scosso dalle fondamenta, costretto a ritrovare la sua ragione d’essere se non vuole essere spazzato via nei prossimi anni.

Subito dopo la sconfitta, a parole si è assunto tutta la responsabilità, nei fatti l’ha ben distribuita tra i suoi subalterni vista l’immediata sostituzione della sua vice, Angela Rayner, coordinatrice della campagna elettorale. Un’operazione poco generosa e nemmeno efficace dato che non sarà certo un cambio di pedina a fargli ottenere qualche scacco matto nelle partite della politica nazionale. Le critiche degli esperti verso l’opposizione questa volta non hanno lasciato scampo.

«Il Labour di oggi ha invitato gli elettori a votare per un contenitore vuoto» spiega John Curtice, docente di politica all’Università scozzese di Strathclyde. «Se guardiamo alle proposte messe in campo da questo partito, sembra che non abbiano niente da dire. Be’, devono essere meno timidi. Sulla Brexit, per esempio, si esprimano, non critichino sempre il governo per quello che vuole fare o ha fatto. Presentino delle alternative».

All’interno del partito, l’ex ministro ombra agli Interni Diane Abbott sostiene che Starmer dovrebbe andarsene se il Labour dovesse perdere anche le prossime supplettive a Batley and Spen, nel West Yorkshire, mentre altri suggeriscono vie altre possibilità. «Non è più tempo di riformare il Labour, occorre ricostruirlo da zero» afferma Phil Wilson eletto a Sedgefield, altro piccolo centro nel Nord dell’Inghilterra. «Con Corbyn è stata la disfatta perché lui non credeva nei valori del nostro Paese e guardava al passato. Perdere gli piaceva. Se Starmer vuole tornare a vincere deve ricostruire la sua forza politica, dare agli elettori motivi per sceglierlo di nuovo, ritrovare le sue radici, ma guardando al futuro».

Ne è convinto anche l’ex premier Tony Blair, secondo cui l’unica possibilità in questa nuova era è formare una coalizione tra laburisti, liberal-democratici e verdi. Una forza nuova che calamiti chi vota a sinistra, ma anche chi si trova più a suo agio nel centrosinistra. Un partito che abbia cuore le politiche dei diritti dei lavoratori, dei diritti umani e quelle ambientali, ma che tenga conto della nuova era tecnologica in cui stiamo vivendo e la usi per realizzare i propri progetti. Un movimento che riesca a riguadagnare la fiducia dello zoccolo duro laburista e convinca realmente indecisi e scontenti a schierarsi dalla propria parte. Rimane da vedere se il leader di una simile forza può esser ancora il compassato Starmer oppure no.

A Liverpool, per fare un esempio significativo, i suoi l’hanno già sfiduciato accusandolo di aver sprecato troppo tempo ad attaccare alcuni membri del partito piuttosto che «a presentare proposte innovative». E parecchi sarebbero pronti a sostituire la sua pacata dialettica con l’impetuosa parlantina del sindaco di Manchester Andy Burnham: uno dei pochissimi laburisti a vedersi riconfermato dagli elettori, molto più amato del sindaco di Londra Sadiq Khan, che pure si è visto riconsegnare le chiavi della capitale dagli elettori.

Convinto che il partito debba puntare tutta sulla riforma del sistema sanitario e dell’assistenza sociale, Burnham ha rivolto precise accuse al suo partito. «Il Labour trascura i suoi sindaci» ha attaccato «ed è un errore perché rappresentiamo il collegamento con la gente comune. Eppure siamo invisibili, non veniamo invitati alle conferenze annuali, non abbiamo alcun ruolo nell’elezione del leader».

Mentre Starmer ancora medita la sua controffensiva, il primo cittadino di Manchester si è già detto pronto a ricandidarsi nella corsa alla leadership se la sconfitta di maggio dovesse replicarsi alle prossime amministrative, che si terranno entro l’estate. La campana dell’ultimo giro per sir Keir potrebbe già suonare.

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