Contatti troppo stretti con la Cina, scelte che dividono gli alleati europei e della Nato, decisioni prese senza coinvolgere la sua coalizione di governo. A meno di un anno dall’elezione il cancelliere adotta una strategia «muscolare», che però isola la Germania.
Nell’ultima fase dei suoi 16 anni di «regno» sulla Germania, l’ex cancelliera Angela Merkel aveva capito come l’Europa possa accettare una leadership tedesca di tipo cooperativo, quando cioè le scelte di Berlino riflettono bisogni condivisi a livello europeo. Era il 28 maggio del 2017 e il giorno prima, al G7 di Taormina, Donald Trump aveva annunciato il cambio di rotta degli Stati Uniti in tema di obiettivi comuni per la lotta ai cambiamenti climatici. «I tempi in cui potevamo contare completamente sugli altri sono finiti», intuì la cancelliera parlando il giorno dopo a Trudering, in Baviera. «Pertanto, posso solo dire che noi europei dobbiamo davvero prendere il nostro destino nelle nostre mani». Di come Olaf Scholz, all’epoca ministro delle Finanze di Merkel e oggi cancelliere, non abbia imparato la lezione, Panorama ha già scritto. Quello che sorprende è che il pacchetto di aiuti da 200 miliardi per famiglie e imprese tedesche sbattuto in faccia agli alleati europei a fine settembre non appaia più come un incidente isolato. Al contrario il leader socialdemocratico continua a guidare la Germania «contromano», spiazzando i partner europei al pari degli alleati Verdi e Liberali che sostengono la maggioranza al Bundestag.
A inizio ottobre, per esempio, Scholz si è fatto promotore di un patto a 14 che ha sparigliato questa volta la Nato: tredici alleati europei hanno aderito all’iniziativa tedesca per uno scudo antimissile contro un’eventuale minaccia russa. Colpisce come della European Sky Shield Initiative (Essi) non facciano parte i maggiore Stati continentali del Patto atlantico, ovvero Francia, Italia, Spagna, Turchia e Polonia. Le ragioni sono molteplici: di natura industriale, innanzi tutto, perché Roma e Parigi nel 2021 hanno sviluppato insieme una nuova versione del sistema di difesa aerea terra-aria Samp/T con un un raggio d’azione di 120 chilometri. A questo, l’Essi a trazione tedesca contrappone l’uso di missili a corto raggio Iris-T Slm made in Germany, di Patriot a medio raggio made in Usa e di missili balistici israeliani Arrows-3 con copertura fino a 2.400 chilometri. Parigi contesta anche il coinvolgimento dell’industria americana, ritenuto lesivo di ogni residua autonomia europea nella Difesa.
C’è poi chi, come la Polonia, vede nell’Essi un doppione del proprio scudo anti missile. Così, il ministro della Difesa di Varsavia Mariusz Błaszczak ha dichiarato che «le nostre capacità sono superiori a quelle del piano presentato». Con l’Essi, insomma, Scholz ha scontentato i «vicini» francesi e polacchi in un colpo solo. Ma il cancelliere ha mostrato il pugno di ferro anche a casa propria. Stanco dei litigi tra Verdi e Liberali della propria coalizione sul numero di centrali nucleari da mantenere in rete al di là dei limiti di legge per far fronte alla crisi energetica, Scholz ha rispolverato una prerogativa del capo del governo decidendo, lui, d’ufficio. Usando la Machtwort, termine composto da «potere» (Macht) e «parola» (Wort) ha stabilito che resteranno in funzione tre centrali anziché due (dando ragione ai Liberali), ma che la proroga scadrà il 15 aprile 2023 (come auspicato dai Verdi). Un esercizio di leadership o un segnale di disperazione? Se a meno di un anno dall’avvio del suo governo Scholz fa ricorso a uno strumento mai utilizzato dai suoi predecessori, al prossimo litigio tra alleati che cosa dovrà fare? Chiederà la fiducia al Bundestag?
Quando Cosco, il colosso cinese del trasporto marittimo, ha chiesto di rilevare il 39 per cento di un terminal container del porto di Amburgo, sei ministri tedeschi hanno sollevato opposizioni. Su tutti il vicecancelliere Robert Habeck dei Verdi: «Non dovremmo avere investimenti di Pechino in settori critici delle infrastrutture». Scholz ha invece deciso a favore di Cosco, salvo abbassare la percentuale rilevata al 24,9 per cento. «Al momento i tedeschi seguono Scholz, almeno sul pacchetto di aiuti da 200 miliardi» dice a Panorama Martin Emmer, professore di Giornalismo e comunicazione alla Freie Universität (FU) Berlin, osservando che «problemi quali l’inflazione, l’alto costo del gas e l’insicurezza politica hanno la meglio sulle critiche dell’Ue e dei Paesi vicini».
Per Emmer si tratta di «un approccio tradizionale in Germania, per cui non si obietta se c’è abbastanza denaro a disposizione». Se questo stile di Scholz sia sostenibile è un’altra questione: «A lungo andare i suoi modi rigidi e paternalistici potrebbero far mancare il sostegno degli elettori». E c’è aria di bufera in Europa anche sui conti: il ministero delle Finanze della Germania è guidato dal liberale Christian Linder, novello fautore del rigore per tutti. Senza dimenticare che la Spd del cancelliere, conclude Emmer, «è tradizionalmente meno europeista dei conservatori di Helmut Kohl e di Merkel».
Il terminal di Amburgo è stato solo l’«aperitivo». A inizio novembre il cancelliere si è recato in Cina scatenando una ridda di polemiche. Rapporti stretti con Pechino non sono una novità per la Germania: Merkel ha visitato la Repubblica popolare 12 volte (ultima tappa Wuhan, nel settembre 2019) favorendo la penetrazione commerciale tedesca nel gigante asiatico e viceversa. Missioni redditizie: secondo l’Ufficio federale di statistica, l’interscambio fra i due Stati ha raggiunto i 246,1 miliardi di euro nel 2021 – quello fra Italia e Cina, si è fermato a 73 miliardi – facendo del Celeste impero il primo partner commerciale della Repubblica federale per il sesto anno consecutivo.
Oggi però Pechino fa più paura perché non condanna l’aggressione russa dell’Ucraina. E sebbene il cancelliere abbia chiesto al presidente Xi Jinping di esercitare pressioni su Mosca, la sua visita alla testa di una delegazione di grandi imprese non ha segnalato alcuna discontinuità con le missioni vecchio stampo di Merkel. Con una serie di aggravanti. La prima: Scholz ha stretto la mano a Xi poco dopo la sua rielezione a leader assoluto del partito comunista e dello Stato «e si teme che Xi possa usare la visita a fini di propaganda», osserva Genia Kostka, che alla FU Berlin insegna Politica cinese.
La seconda: il presidente francese Emmanuel Macron aveva suggerito una missione a due per sottolineare a Pechino che l’Europa è compatta nel sostegno di Kiev e per chiedere ai cinesi di non aprire un nuovo fronte con Taiwan. Ma Scholz ha ignorato anche questa richiesta. La terza: il patto di coalizione del governo tedesco prevede che la Germania prenda gradualmente le distanze da nazioni autoritarie per evitare dipendenze economiche (come è già stato per il gas russo). Per Kostka però «le dipendenze ci sono già: le principali esportazioni tedesche sono auto e macchinari mentre dalla Cina arrivano elettrodomestici, computer, telefoni cellulari, prodotti medici, vestiti e giocattoli. La Germania ne trae immensi vantaggi in termini di beni di consumo a basso costo e posti di lavoro». E la politica «orientata ai valori» auspicata dalla ministra degli Esteri, la verde Annalena Baerbock? «Un approccio suggestivo in teoria ma poco utile nella pratica» riprende Kostka. «Meglio discutere di interessi e di eventuali sacrifici che si è disposti a tollerare per raggiungere un obiettivo» conclude l’esperta ricordando che «soprattutto in tema di materie prime come le terre rare e il litio, ma anche nel settore dei moduli solari, occorre differenziare fornitori nel caso di una escalation militare cinese su Taipei».
Al ritorno da Pechino, il cancelliere ha poi trovato una richiesta «pesante» del Partito liberale. In casi come quelli di Amburgo – infrastrutture critiche tedesche ambite da regimi autoritari – il gabinetto federale dovrebbe decidere all’unanimità, non più a maggioranza. A Scholz tocca ora la risposta. Cooperativa o autoritaria, si vedrà.
