New York, un tradizionale bastione dei democratici, ora potrebbe diventare «contendibile». La crisi della città coincide con quella del gradimento per Joe Biden.
New York anticipa da sempre, nel bene e nel male, ogni nuova tendenza sulla scena globale. Difficile che i newyorkesi si scandalizzino per le inclinazioni sessuali, così come nessuno alza il sopracciglio se si esce di casa con i bigodini. Il conformismo non fa per la Grande Mela, dove gli shock e le provocazioni, anche le più estreme, si metabolizzano in fretta. Città di paradossi, dove sui media fa più scalpore la t-shirt con la scritta White lives matter – «le vite dei bianchi contano» facendo il verso al movimento Black Lives Matter – indossata da Kanye West a una sfilata, piuttosto che l’emergenza migranti dichiarata dal sindaco Eric Adams.
Eppure, sino allo scorso 2 ottobre, non si era mai vista una rapina eseguita da «aliene», in perfetto stile Arancia meccanica. Sei donne travestite da extraterresti, con costumi verdi neon, hanno aggredito e derubato dei giovani nella metro a Times Square, mentre gli altri viaggiatori assistevano impassibili. Al netto della messinscena (il video è virale sui social), la violenza urbana è ormai di casa – e di vagone – negli Stati Uniti, da Chicago a Los Angeles, da Portland a San Francisco. Ma fa più rumore se si consuma nella «città che non dorme mai». Ribattezzata dai media la città «dove il crimine non dorme mai».
A meno di un mese dalle elezioni di Mid Term dell’8 novembre, all’ombra della Statua della Libertà è in corso una delicatissima partita elettorale. Una prova generale per sondare gli umori profondi della nazione, mentre si rinnovano i deputati del Congresso e alcuni importanti governatori. È dai tempi del repubblicano George Pataki, governatore di New York dal 1995 al 2006, dopo aver sconfitto nei suoi tre mandati anche l’incumbent liberal-democratico Mario Cuomo (padre dell’ex governatore finito in disgrazia, Andrew Cuomo), che il partito dell’Elefantino non ambiva a (ri)prendersi la Grande Mela.
In uno degli ultimi pronostici (30 settembre-3 ottobre) rilanciati da Fox News, l’attuale governatrice democratica Kathy Hochul è data al 44,5 per cento contro lo sfidante repubblicano Lee Zeldin, che la incalza al 42,6 per cento. Uno «spread» di appena 2 punti che può essere letto, in filigrana, come un allarme rosso sul gradimento complessivo del presidente Joe Biden e della sua agenda. Se è vero, come rilevato da più sondaggi, che appena il 24 per cento degli americani ritiene che il Paese stia andando nella direzione giusta. «New York è lo stato che ha perso più popolazione perché è a un punto di rottura: gli abitanti avvertono che la loro sicurezza, il loro portafoglio, la loro libertà, la qualità dell’educazione dei loro figli sono sotto attacco e si muovono verso altri Stati dove si sentono più garantiti» ha attaccato in tv l’avvocato Zeldin, buon amico di Donald Trump, che ha difeso nel Russiagate. Dopo aver ricordato le ultime quattro aggressioni con coltello, di cui una fatale, avvenute nell’arco di otto ore sotto la metro, Zeldin ha commentato: «Molte famiglie, anche di democratici, hanno capito che bisogna salvare New York. E io non partecipo a questa corsa per arrivare secondo». Subito dopo l’intervista, il 9 ottobre, le sue due figlie sedicenni hanno dovuto chiamare il 911 per segnalare una violenta sparatoria davanti al cortile della loro abitazione a Long Island. In precedenza, durante un comizio pubblico, l’aspirante governatore era riuscito a sventare l’aggressione di un uomo, salito sul palco per accoltellarlo.
Dalle ultime stime dell’US Census Bureau, New York potrebbe essere sulla strada per il suo primo declino demografico in un decennio dagli anni Settanta. Sia in termini assoluti che percentuali, il calo di popolazione nel 2019-20 è stato il maggiore tra 16 Stati. Mentre il Texas e la Florida hanno registrato grandi incrementi nel 2019-2020 – rispettivamente di 373.965 (1,29 per cento) e 241.256 (1,12 per cento) abitanti – la popolazione dell’Empire State è diminuita dello 0,65 per cento, perdendone 126.355, dal livello stimato di un anno prima.
Impietosa l’analisi sul declino della metropoli in un editoriale del New York Post, lo scorso 5 ottobre: «È una miscela tossica di molteplici disfunzioni: pazzi che vagano per le strade, ragazzini che fanno “gangbanging”, che sanno che la legge dà loro licenza gratuita e altri criminali seriali protetti dalle leggi senza cauzione. Il NYPD (il dipartimento di polizia cittadino, ndr) è riuscito a reprimere le sparatorie, ma in generale il crimine e il caos aumentano. La soluzione del governatore Kathy Hochul? “Tour di ascolto della violenza con armi da fuoco” e simili sciocchezze. New York ha un disperato bisogno di un governatore e di legislatori che resistano alla follia». Tale «resistenza», e la volontà di indicare una via d’uscita dalla situazione, potrebbe provocare un terremoto politico senza precedenti, qualora Zeldin riuscisse nella «missione (quasi) impossibile» di espugnare lo stato più liberal insieme alla California.
Come in altri territori cruciali dove la corsa al Senato dei repubblicani viene guardata con apprensione dal partito dell’Asinello – in Nevada, Georgia, Pennsylvania, Arizona e, a sorpresa, persino Washington – a determinare il risultato delle urne di novembre saranno le questioni più impellenti per i cittadini: bollette, criminalità, immigrazione e inflazione. Vincere a New York, per il Grand old party, sarebbe dunque un ceffone elettorale dal forte impatto simbolico. Oltre che una scossa per galvanizzare l’elettorato conservatore in vista delle Presidenziali del 2024, di cui il voto di metà mandato rappresenta un antipasto. Senza dubbio, sarebbe un boccone amaro per l’inquilino della Casa Bianca, «Sleepy Joe», la cui rincandidatura è silenziosamente (per ora) osteggiata dall’ala radical del suo partito. A luglio il gradimento di Biden è precipitato al 39 per cento, procurandogli il titolo di presidente più impopolare dai tempi della Seconda guerra mondiale. Non gli ha giovato nemmeno il controverso discorso pronunciato il 1° settembre a Philadelphia, in cui ha evocato, stringendo i pugni, una battaglia elettorale tra «la luce della verità» e «l’ombra delle bugie».
Ignorando i temi cari all’americano medio che, più che l’aborto e il riscaldamento globale, oggi sono il caro benzina e le bollette del gas, l’immigrazione fuori controllo e gli scaffali vuoti, come le tasche delle famiglie. I dati pubblicati dall’US Bureau of Labor Statistics, l’Ufficio di statistiche, da tempo segnalano l’allarme sul comparto energetico – con i prezzi della benzina del più 59,9 per cento, l’aumento maggiore in 12 mesi dal 1980; i prezzi dell’elettricità lievitati del 13,7 per cento e quelli del gas naturale aumentati del 38,4 per cento a giugno 2022.
Oltre ai disastri causati dalla pandemia, il biennio bideniano ha lasciato in eredità un declino del potere d’acquisto delle famiglie. A cui l’inflazione – record al 9,1 per cento nel giugno scorso – ha sottratto circa 500 dollari al mese. La probabile riconquista repubblicana del Congresso, con una salda maggioranza alla Camera e (forse) la parità dei seggi al Senato, rappresenterebbe sì uno «tsunami» politico per i Dem, eppure non turba i mercati. «Il mondo della finanza guarda sempre con attenzione l’approccio di un governo alla spesa pubblica, tuttavia ritengo che queste elezioni non modificheranno di molto la questione finanziaria in America, determinata dalla politica restrittiva della Fed, che oggi ha in mano la politica economica» commenta Francesco Libutti, presidente di Fonage, il Fondo pensione degli agenti professionisti di assicurazioni ed esperto di mercati statunitensi. «I grandi fondi, le multinazionali, non tifano per nessun politico, perché hanno sempre lavorato con tutti. La vera incognita non sarà determinata dal colore del nuovo Congresso, ma dagli scenari bellici e dalla resistenza alla stretta del credito bancario da parte di famiglie e imprese».
