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Il giudice boccia le promesse di Conte e Gualtieri

Il giudice boccia le promesse di Conte e Gualtieri

La sentenza di Ciro Caccaviello, del Tribunale di Napoli, sostiene che il «rischio di insolvenza» dello Stato oramai non è «ipotetico». Lanciando l’allarme sulla tenuta delle finanze pubbliche.


Lo Stato italiano è a rischio crac. A sostenerlo non è un’insensibile agenzia di rating internazionale né un impietoso burocrate europeo, ma un rappresentante del nostro stesso Paese. Il 20 agosto scorso è stata depositata presso la cancelleria del Tribunale di Napoli la sentenza del giudice Ciro Caccaviello che, nero su bianco, lancia l’allarme sulla tenuta delle finanze pubbliche, con il record di debito pubblico che, «irrobustito» dall’emergenza Covid, corre verso i 2.600 miliardi di euro.

A onor del vero, il giudizio tranchant del magistrato in servizio presso l’undicesima sezione civile del capoluogo campano non è supportato da particolari dati o robuste argomentazioni econometriche o statistiche. Il suo responso ha però l’effetto di un colpo di fucile sparato in una tranquilla notte di fine estate.

Ma come arriva Caccaviello a questa conclusione? Decidendo sul ricorso di una società di ristorazione, con sede nel capoluogo campano, che si appella all’autorità giudiziaria contro la decisione della sua banca di non concederle il famoso prestito da 25.000 euro garantito dallo Stato per l’emergenza Covid. Quello stesso pubblicizzato a social unificati, agli inizi di aprile, dal premier Giuseppe Conte.

«Con il decreto (il Cura Italia, ndr) appena approvato diamo liquidità immediata per 400 miliardi di euro alle nostre imprese, 200 per il mercato interno, altri 200 per potenziare il mercato dell’export. È una potenza di fuoco» aveva dichiarato il presidente del Consiglio specificando, inoltre, che «lo Stato offrirà una garanzia perché i prestiti avvengano in modo celere, spedito».
«Potenzieremo il fondo centrale di garanzia per le pmi» era stata la promessa, «e aggiungiamo il finanziamento dello Stato attraverso Sace, che resta nel perimetro di Cassa depositi e prestiti, per le piccole e medie e grandi aziende».

Per la società a responsabilità limitata, assistita dall’avvocato partenopeo Angelo Pisani, da tempo in prima linea contro gli abusi del fisco e le storture del mercato del credito bancario, le parole di Conte andrebbero interpretate in una sola direzione: tutti i possessori di partita Iva hanno diritto all’erogazione del prestito con fideiussione statale. Posizione diametralmente opposta rispetto a quella dell’istituto che ha rigettato l’istanza di finanziamento per mancanza di «merito creditizio».

Il giudice Caccaviello, passando in rassegna la normativa vecchia e nuova, arriva alla conclusione che la banca è nel giusto nell’aver esercitato una scrupolosa attività di verifica sullo stato di salute della srl. Specifica, altresì, che non esiste automatismo tra l’ammissibilità alla garanzia del fondo statale e l’effettiva erogazione del credito. Insomma, tutti hanno (avrebbero) diritto alla fideiussione dello Stato, ma non tutti poi si ritroveranno il bonifico sul conto corrente.

La conclusione del giudice lascia pochi margini di manovra: «Le banche sono aziende private a scopo di lucro, le valutazioni sul merito creditizio sono attività indispensabili per il corretto esercizio del credito e non possono essere sottratte alla discrezionalità della banca la quale, a tal fine, terrà conto della possibilità di valersi della garanzia statale ma sarà libera di determinarsi al riguardo in ossequio al principio costituzionale della libertà di impresa».

E arriviamo al punto dolente (per il premier Conte e per il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri) sulla presunta «potenza di fuoco»: il giudice ribadisce per due volte che «la garanzia statale, infatti, non pone affatto la banca al riparo da qualunque rischio» essendo «il rischio di insolvenza statale oramai non ipotetico».

Lo Stato italiano, quindi, sta per fare bancarotta? O si tratta di una considerazione sull’inefficacia delle misure contro la catastrofe economica che si sta abbattendo sul nostro tessuto produttivo, con un Pil in picchiata e uno scenario sanitario a tinte fosche? L’avvocato Pisani ha già impugnato la sentenza e, spiega a Panorama, è pronto a far causa «alla Presidenza del consiglio e a chiedere a Conte il risarcimento danni subito e anche il rimborso e la manleva della condanna ricevuta dal giudice napoletano per aver il mio assistito insistito nella richiesta di finanziamento tanto pubblicizzato dal governo» se l’ordinanza del magistrato Caccaviello non dovesse restare una interpretazione isolata della legge (cosa peraltro possibile visto che, in una situazione analoga, il Tribunale di Caltanissetta ha deciso per l’erogazione del finanziamento a favore di un piccolo imprenditore che se l’era visto rifiutare).

Il tema è scottante. Fino al 19 agosto sono state elaborate circa 843.000 pratiche di finanziamento (da 25-30.000 euro) per l’emergenza Covid, per un totale di circa 16 miliardi di euro erogati. Sono sufficienti? «Il reale problema, nel caso specifico, non sono le banche, ma un governo che ha fatto e disfatto i decreti senza prevedere per gli istituti bancari processi esecutivi definiti» spiega a Panorama l’europarlamentare Valentino Grant, componente della commissione Bilancio. «Le banche sono soggetti privati a cui fa capo la responsabilità penale. Se l’esecutivo avesse definito tutti i passaggi, le disparità non si sarebbero verificate, ma la loro politica è proprio fondata sulla confusione, come nel caso dell’apertura dei locali o delle scuole, per poi ricercare il capro espiatorio».

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