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I piccoli aeroporti di provincia salvano i pazienti

I piccoli aeroporti di provincia salvano i pazienti

La mattina del 15 marzo un elicottero dell’Aeronautica Militare ha prelevato due pazienti con coronavirus dall’aeroporto di Cremona Migliaro e li ha trasportati a Palermo. E’ successo anche all’Aeroporto di Massa Cinquale, a due passi da Forte dei Marmi, e accade più volte tutti i giorni a Bresso, praticamente dentro Milano, all’aeroporto Bordoni-Bisleri, dove c’è una delle basi dell’elisoccorso Lombardo. Qui gli equipaggi decollano per le loro missioni d’urgenza ed emergenza. Succede sempre più spesso in tante delle quasi 500 strutture aerosportive italiane, fatte di piccoli aeroporti ma anche di aviosuperfici, elisuperfici e campi di volo, che altro non sono che prati ben tenuti per consentire decolli e atterraggi di piccoli velivoli . Tutto grazie al volontariato.


Per arginare la pandemia l’Ente Nazionale Aviazione Civile ha dovuto chiuderle quasi tutte perché nella maggior parte dei casi si tratta di luoghi gestiti da associazioni sportive, ma su richiesta delle istituzioni possono essere utilizzate dagli operatori del soccorso. Offrono infatti alcuni vantaggi rispetto agli scali commerciali e ai grandi aeroporti: sono sovente più vicine al centro delle città, soprattutto a quelle di provincia e quindi agli ospedali, ma soprattutto queste strutture coprono in modo capillare il territorio italiano. Nella sola Lombardia, da ovest verso est, ci sono Venegono Inferiore (sede di Leonardo Velivoli), Vergiate e Calcinate del Pesce (Va), Alzate Brianza (Co), Valbrembo (Bg), Caiolo (So), Brescia Montichiari. Nel pavese ci sono Vigevano, Spessa Po, Mezzana Bigli e Voghera, quindi Cremona, Mantova Curtatone e altre ancora. La stessa densità esiste nel Triveneto, da Verona Boscomantico, Asiago, Thiene, Udine, Caorle, una capillarità che arriva in Sicilia e in Sardegna. Un patrimonio che esiste soltanto perché sede e presidio degli aeroclub italiani e delle scuole di volo e che ora si sta rivelando fondamentale per poter organizzare i trasferimenti dei pazienti e per offrire semplicemente lo spazio protetto per l’installazione di postazioni mediche. Ma a parte in queste tragiche occasioni d’emergenza, normalmente le istituzioni le ignorano quando addirittura non tentano di cancellarle per sempre trasformandole in nuovi quartieri residenziali e centri commerciali, molto raramente in (spesso inutili) parchi. Molti di questi scali hanno origini storiche, come Milano Bresso, creato per volontà e su terreni del conte Gian Carlo Clerici, campo che divenne sede dello stabilimento Breda.

Dopo la guerra gli aeroporti minori sono stati salvati dalla speculazione edilizia del boom economico dall’uso militare e dalla legge voluta da Corrado Gex (n° 518, aprile 1968), e poi minacciati dai provvedimenti legislativi presi dall’ex ministro Corrado Passera per fare cassa. Sono infatti sovente nel mirino dei politici che vorrebbero razionalizzare – ma si legge cancellare – queste strutture, sostenendo che siano troppo numerose, anche se l’Italia ne possiede poco più di 50 (su un totale di 103 aeroporti), contro le oltre duecento piste dei francesi e trecentocinquanta dei tedeschi. Poi, come capitò a L’Aquila nel 2009, si scopre che senza questi spazi durante le grandi emergenze non è possibile far arrivare aiuti in breve tempo. Negli anni, pur di salvare le piste di decollo, alcuni gruppi di cittadini sono riusciti ad acquistare i terreni trasformando in privati aeroporti e aviosuperfici. E’ accaduto a Cremona Migliaro, Ozzano dell’Emilia, Ferrara Aguscello.

In pochi altri casi le amministrazioni comunali sono riuscite a valorizzare e sfruttare questi luoghi, come Pavullo del Frignano (Mo), dove è stata realizzata una caserma dei vigili del fuoco che serve città e aerodromo, e una pista ciclo-pedonale attorno al suo sedime. Ma le situazioni felici si contano sulle dita di una mano e occorrerebbe una regolamentazione più aggiornata sia per la salvaguardia delle aree, sia per la loro gestione continuativa. Senza illusioni che esse possano generare un traffico passeggeri tale da mantenersi, almeno fino a quando la tecnologia delle macchine volanti sarà quella attuale, ma accontentandoci dei posti di lavoro (una ventina almeno per ogni struttura), necessarie per farle funzionare e per consentire il lavoro di officine aeronautiche, scuole di volo e traffico aereo privato e turistico. Nel milanese, a cavallo tra i comuni di Cinisello Balsamo, Sesto San Giovanni e Bresso, l’aeroporto Bordoni Bisleri ha trovato dopo decenni un suo equilibrio grazie a un accordo di convivenza con il Parco Nord Milano, del quale grazie alle servitù aeronautiche, ovvero l’impossibilità di costruire a nord e sud della pista di decollo, costituisce circa la metà della superficie verde. E se alcuni aeroporti godono di uno status di protezione grazie alla presenza di demanio militare (si pensi a Roma Urbe, Guidonia, Rieti), altri restano costantemente in pericolo ogni volta che cambiano le amministrazioni di competenza. Per legge la cancellazione di un aeroporto deve passare dal Parlamento, ma accadde a Mantova per il Migliaretto e a Vicenza per il Dal Molin, che l’anticamera della scomparsa fu una semplice chiusura per motivi di sicurezza quantomeno discutibili. In altri casi, dove gli aeroporti sono più grandi e possono accogliere traffico commerciale, sono le società di gestione a favorire uno scalo piuttosto che un altro, come accade a Brescia Montichiari, tenuto volutamente ben al di sotto delle sue capacità operative per non fare concorrenza a Verona Villafranca, anch’esso scalo gestito dalla medesima società, la Valerio Catullo. La stessa discussione sulle potenzialità e il costo degli aeroporti si ripresenta ciclicamente a Bolzano e Belluno. Da una lato la legislazione in materia è ormai desueta ed eccessivamente complessa, dall’altra sono spesso stati affidati scali a società che presentavano piani di viluppo quantomeno fantasiosi, come avvenne all’aeroporto Venanzi di Biella Cerrione, oggi salvato dagli stessi operatori presenti sullo scalo, oppure Villanova d’Albenga, la cui gestione è privatizzata. Un aeroporto troppo piccolo per la Piaggio Aerospace che lì ha la sua sede, non più considerato da alcun operatore commerciale, troppo regolamentato per l’aeroclub storico che lo ha fondato, e alla perenne ricerca di traffico d’affari che invece preferisce le piste di Nizza e Cannes. Forse il coronavirus sarà l’occasione per rivedere l’organizzazione dei mini scali, considerandoli per ciò che sono: una piccola grande risorsa del Paese.

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