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Tutti contro Letta

Sei mesi dopo il suo ritorno al Nazareno, il segretario del Pd è sotto assedio. Colpa della sua gestione incolore e delle incaute (e perdenti) battaglie politiche: dal Ddl Zan allo ius soli, passando per una fantomatica patrimoniale a favore dei giovani bocciata apertamente da Mario Draghi. E in tanti nel partito sperano nelle elezioni anticipate o nel congresso per metterlo da parte. I pretendenti abbondano.


Con l’Anima e cacciavite del suo sfortunato libretto, arguta rivisitazione di falce e martello, Enrico Letta s’era messo in testa di riaggiustare l’Italia, pericolosamente pendente a destra. La casa editrice, Solferino, continua invano a dispiegare una campagna pubblicitaria epocale. Nella classifica dei libri su Amazon, aggiornata il 9 settembre scorso, campeggia però al posto 46.469. Ognuno ha i suoi talenti, ci mancherebbe. L’estro narrativo non figura tra quelli del segretario Pd. C’ha messo anche la faccia, ovviamente. I democratici, sotto la sua guida, sembravano destinati a far faville. Partendo da tre, insopprimibili, priorità: lotta all’omotransfobia, ius soli, patrimoniale.

Siamo a settembre inoltrato. Enrichetto, al pari dei Soldati di Ungaretti, «sta come d’autunno sugli alberi le foglie». Basta un soffio per ridire, nuovamente addio, a quest’Italia crudele. Riemerge il passato: ritornare sulle rive della Senna, per indottrinare promettenti universitari. Già: va tutto a catafascio. Il Ddl Zan, rinviato a data da destinarsi: i parlamentari, timorosi del voto, battono la ritirata. Lo ius soli, sepolto da incessanti sbarchi: più 600 per cento in estate rispetto a tre anni fa, quando al Viminale regnava il perfido Matteo Salvini. La patrimoniale, archiviata al suono di tonanti pernacchie: anche il premier, Mario Draghi, ricorda che «non è il momento di prendere soldi ai cittadini, ma di darli».

Un semestre dopo il celebrato arrivo al Nazareno, il segretario è sotto assedio come il generale Custer a Little Bighorn. Dal fianco destro, guerriglia Base riformista: diabolici ex renziani guidati dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini. Sul versante opposto, preme la storica corrente di sinistra del partito: coadiuvata per l’occasione da Goffredo Bettini, già indispensabile consigliori del deposto segretario, Nicola Zingaretti. Proseguono anche le imboscate. Come quella del governatore pugliese, Michele Emiliano. O del collega campano, Vincenzo De Luca. Intanto Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia-Romagna, occhiali a goccia da agente segreto e pizzetto mefistofelico, studia il campo di battaglia. Prepara le truppe. L’assalto finale potrebbe arrivare prima del previsto. Basta seguire le trame che portano alle elezioni anticipate. O al congresso che tanti cominciano a evocare, fregandosi le mani.

Eppure l’estate, per il generale piddino, sembrava trascorsa nell’usuale e placida irrilevanza. Ma poi, in un dibattito a Ceglie Messanica, Emiliano, come Toro Seduto con Custer, dissotterra l’ascia. Non un attacco diretto. Molto peggio. Lo sperticato elogio dell’odiatissimo nemico di Letta: «Salvini sta facendo un grande sforzo per delineare una visione di paese ed è uno sforzo che ha dei costi politici. È un politico che ha una sua onestà intellettuale».

Una sciabolata alle spalle. Il «pifferaio magico», la «fonte di instabilità», colui che parla «come i suoi assessori pistoleri». Proprio lui: quell’inumano buzzurro trattato da statista. E da un peso massimo, già candidato alle primarie, come Emiliano. Inaudito. Ma il peggio doveva arrivare. De Luca, alias Cavallo Pazzo, alla Festa dell’Unità di Bologna, scorrazza nelle praterie del Pd, definito una «casa sgangherata». Gli domandano cosa ne pensa del Ddl Zan, il più identitario provvedimento lettiano. Lui s’infuoca: «Se non si cambia almeno la parte che riguarda le scuole, io non lo avrei votato. Voi pensate davvero che sarebbe ragionevole alle elementari una giornata contro l’omotransfobia? Ma andate al diavolo!»

Ecco, ci risiamo. L’avanguardista segretario cerca di dare un’identità al partito, dal vetusto rosso comunista al festoso arcobaleno Lgtb, e arriva il retrogrado governatore a dargli del fesso. Non se lo merita, Enrichetto. Invece Vincenzino lo reputa un inservibile radical chic, il vessillifero del partito della Ztl, l’emblema della mosceria patologica. Lui ed Emiliano, d’altronde, sono ormai la destra del Pd. Le loro scorrerie, oltre a indebolire il segretario, servono a trasformarsi in possibili contendenti? Di certo, i due scrutano l’orizzonte. Come due capi indiani, si sdraiano a terra e appoggiano l’orecchio al suolo. Sentono arrivare, al galoppo, l’esercito di centrodestra. De Luca, soprannominato Vin Chen Zin per le attitudini coreane, vuole ricandidarsi per la terza volta. Emiliano è stato appena riconfermato. Diceva quel proverbio indiano: «La conoscenza è il passato, la saggezza è il futuro».

Il futuro di Enrichetto, invece, passa dalle imminenti amministrative. Pd e Cinque stelle devono conservare la guida di Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna. Anche una sola sconfitta nelle cinque città, potrebbe avviare la resa dei conti. Soprattutto a Roma, dove la vittoria dell’ex ministro del’Economia, Roberto Gualtieri, non è scontata. Per non parlare della tragica, sebbene remota, eventualità che Letta non riesca a conquistare il seggio parlamentare a Siena. O che la spunti per un pelo. Seguirebbe, nel migliore dei casi, il congresso, previsto nel 2022. Non a caso, il Nazareno si affretta a ricordare che il leader rimarrà in carica fino alle Politiche del 2023.

Alt, interviene però l’infallibile Bettini. Dopo l’uscita di scena del devoto Zingaretti, non è più il Rasputin del centrosinistra. Ma resta il venerato teorico dell’alleanza, impantanata anche alle imminenti amministrative, con i Cinque stelle di Giuseppe Conte. Comunque sia: a ogni suo fiato, segue ancora parapiglia generale. A maggior ragione se, dal palco del giallorosso Fatto quotidiano, insinua l’amletico dubbio: il Pd sta con Draghi per opportunismo o convinzione? Così, quando Bettini suggerisce di spedire Draghi al Colle e indire elezioni anticipate, il leader dei democratici sussulta. Certo, fino al giorno prima, ha sostenuto l’esatto contrario: il premier vada avanti a oltranza. Ma l’oracolo zingarettian-contiano, come dimostra la rovinosa caduta di entrambi, mantiene solida fama. Non sbaglia un colpo.

Così Enrichetto riprende in mano anima e cacciavite. Insomma: non è che Goffredone, persino stavolta, ha visto più in là? Anticipare il voto, in effetti, potrebbe avrebbe diversi vantaggi: consolidare l’alleanza con il traballante Giuseppi, scansare il temuto congresso e soprattutto infarcire le liste elettorali di fidatissimi.

Scacco matto. Anche se a Letta piace da impazzire il subbuteo. Potrebbe liberarsi finalmente di quei brutti ceffi che infelicitano il suo malfermo potere. Gli ex renziani, insomma. Guerini certo, che malauguratamente è anche il ministro dem più stimato da Draghi. Poi Andrea Marcucci, l’ex capogruppo al senato. E Luca Lotti, già braccio destro e sinistro del leader di Italia viva. Al loro fianco, purtroppo, c’è pure il miglior candidato al vertice del partito: Bonaccini. Che, non a caso, ha stretto un proficuo rapporto con il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, vero leader del Movimento. Un tandem più affiatato, centrista e moderato dell’attuale. Pronto a far rientrare all’ovile il Matteo dell’«Enrico stai sereno» e dell’«incapace Giuseppi». Dunque, inviso a entrambi.

Tra quelli che aspirano alla seggiola del segretario ci sarebbe però anche un apparente fedelissimo: il suo vice, Peppe Provenzano, rossiccio di capelli e vermiglio di idee. È pronto a far faville al fianco di Andrea Orlando, ministro del Lavoro, il più statalista e anti-imprese della compagine governativa. Insieme, potrebbero realizzare la svolta che il popolo oppresso attende: un vero partito laburista. Tutti in trepida attesa. Sul Nazareno, ancora una volta, sventola bandiera bianca.

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