Non c’è settore in cui la nevrosi green di Bruxelles non imponga obblighi: città, auto, ora le case a emissioni zero. Impoverendo sempre più i «sudditi» europei.
Tenete a mente la data, poi fatevi il segno della croce. Nove febbraio 2023: sarà il giorno in cui l’Europa potrebbe ratificare la sua ecofollia, imponendo alle nostre case di diventare più verdi delle montagne evocate nella celebre canzone di Marcella Bella. Inerte sulla guerra in Ucraina, risibile sulla crisi energetica, poliziottesca sul Covid, devastata dalla corruzione, divisa su tutto, la beneamata Ue ha deciso di riscattarsi con una forzosa transizione green, impippandosene della conseguente devastazione economica e sociale.
Tappe serrate e lunari, che sbeffeggiano la realtà. Case, auto, città: la cocciutaggine ambientale stravolge vite e consumi degli europei, costretti a sborsare cifre insostenibili per adeguarsi alla selva di direttive volute da Bruxelles. Stiamo fronteggiando la crisi economica più profonda di sempre: inflazione, recessione, approvvigionamenti. Un salasso per i cittadini, che caccia la classe media nel girone di chi non arriva a più a fine mese. Eppure, la pervicace Europa impone supertasse e patrimoniali mascherate.
Sono gli effetti collaterali dell’ossessione verde. Guardatela: la presidente della Commissione europea, Ursula Gertrud von der Leyen, assieme ai suoi prodi, continua a dettare roboticamente nuovi obblighi destinati ad affamare i sudditi continentali. «Maestà, il popolo ha fame…» dicevano a un’illustre predecessora, Maria Antonietta. «Che mangino brioches» rispondeva la sovrana francese. E adesso, baronessa Von der Leyen, che si fa di fronte alle ambasce dei continentali? Che sgranocchino pannelli fotovoltaici. Stavolta, l’Ue potrebbe lasciarvi davvero in mutande. L’illuminata Commissione Industria, ricerca ed energia, seppur sepolta dagli emendamenti, è prontissima ad adottare la delirante direttiva sull’efficientamento. Sarà il momento decisivo: un gruppetto di europarlamentari sancirà ufficialmente la nostra decrescita infelice.
Una folle corsa a perdifiato: dal 2027 le ristrutturazioni dovranno essere a impatto zero ed entro il 2030 tutti gli immobili devono rientrare almeno in classe energetica E. Poi, via verso sorti leopardiane, ancor più magnifiche e progressive. Nel 2033 arriva l’altro passaggio obbligato: classe D. Piccolo dettaglio: in Italia, il 60 per cento degli edifici è tra l’inaccettabile F e la ripugnante G. Insomma, bisogna ridurre i consumi almeno del 25 per cento con onerosi interventi: cappotto termico interno o esterno, nuovi infissi, caldaia a condensazione.
Che fare, allora? La presidente, cinta dai fidi scudieri, ha la soluzione: far pagare al popolo. Il Commissario europeo per il Clima, l’olandese Frans Timmermans, zufola: «La ristrutturazione energetica porta a una riduzione delle bollette. L’investimento viene ripagato dalla minore spesa in consumi». Sì, ma visto l’esborso iniziale, la maggioranza dei cittadini rischia di ammortizzare la spesa al camposanto. Disgraziati con il pallino della casa di proprietà, oberati da mutui sempre più costosi, travolti da bollette raddoppiate, agonizzanti davanti a spese condominiali lunari.
I giornaloni calcolano, fischiettando sereni, l’esborso totale: in un condominio bastano 40 mila euro ad appartamento. Che sarà mai? E per chi ha una villetta, le cose addirittura si complicano: adempiere alla supersonica direttiva richiederà un altro mutuo. E chi non ce la fa, ovvero la maggioranza degli italiani? Dovrebbe svendere la sua casa: comprata grazie a decennali sacrifici e trasformata in una bomba ambientale. Il divario con i prezzi delle abitazioni riqualificate è già aumentato. E la norma avrà effetti deleteri pure sugli affitti: ai proprietari che potranno sostenere i costi non resterà che aumentare il canone. Ma cosa volete che importi a Ursula, nobile di censo e intenti, che vive nella fattoria di famiglia vicino ad Hannover, tra gli amati pony? Anche l’opposizione, in Italia, sventola incurante la bandiera degli ultrà. Antonio De Caro, sindaco dem di Bari e presidente dell’Anci, l’unione dei comuni italiani, ratifica l’eurodelirio: «È la strada giusta» esulta. Sebbene, concede, servano «incentivi alle famiglie». Già, ma quali?
Otto milioni di edifici, quelli costruiti prima dello shock petrolifero del 1973, andrebbero adeguati entro i prossimi dieci anni: circa il 76 per cento del patrimonio edilizio italiano. Le deleterie conseguenze sono prevedibili. Basti pensare a cos’è successo con il superbonus: materie prime alle stelle, rincari generalizzati, imprese irreperibili, truffe sensazionali, benefici limitati. Ma soprattutto un esborso pubblico strabiliante: quasi 69 miliardi, più del doppio rispetto ai 33 previsti. Il mega sconto ha riguardato, però, appena il 5 per cento delle case indipendenti e nemmeno l’uno per cento dei condomini. Cosa succederebbe invece se due terzi degli italiani dovessero essere obbligati a fare interventi simili, per di più contemporaneamente? È una nuova e definitiva patrimoniale, benedetta da arcigni ambientalisti e sinistra al caviale. Il governo italiano tenterà di opporsi. Fratelli d’Italia e Lega, in particolare, promettono battaglia. Magari strapperanno qualche deroga o la promessa di aiuti. Ma l’intendimento della Commissione resta granitico: costringere tutti a ristrutturare. A dispetto dei santi.
Com’è già successo, del resto, con l’auto elettrica. Bruxelles ha reiterato: dal 2035 sarà vietata la vendita di veicoli diesel e benzina. Eppure in Italia le elettriche sono scese dal 4,6 per cento del 2021 al 3,7 dello scorso anno, mettono a rischio 60 mila posti di lavoro, sono inaccessibili per la classe media e consegnano alla Cina ulteriori monopoli. Senza considerare due ulteriori quisquilie: caricare un’auto a zero emissioni oggi costa più del doppio rispetto all’anno scorso e le colonnine di ricarica restano praticamente introvabili. Poco importa: ancora una volta, l’Europa ha deciso di imporre la sua magnifica ossessione.
Certo, a tutti piacerebbe vivere in una casa meno energivora che fa risparmiare. Magari, con una fiammante Tesla nel garage. Solo che, semplicemente, non hanno i soldi per farlo. Potrebbe pagare l’Europa, allora. Che invece delega ai singoli Stati, a loro volta imbrigliati con vincoli di bilancio e debito pubblico. Imbambolata davanti alle colossali sfide del tempo, dai flussi migratori alla difesa comune, l’Ue ha trovato unica ragione di vita nella transizione ecologica e la battaglia per il clima. Il resto del pianeta, intanto, se ne infischia bellamente. A partire da Cina, Russia e India, che sfruttano le norme vessatorie per accrescere influenza e affari. Vedi lo strapotere di Pechino nel mercato mondiale delle batterie: l’80 per cento, grazie all’inquinantissimo litio.
È la dimostrazione dell’ulteriore paradosso. L’Italia è la settima potenza economica del pianeta. Considerata la popolazione, è però al sessantunesimo posto tra i Paesi che inquinano di più. Fa niente: una direttiva dopo l’altra, saremo costretti a draconiane rinunce e imponenti esborsi. Che finiranno, tafazzianamente, per favorire i nostri concorrenti. Vuol dire che le emergenze ambientali sono una balla universale? Tutt’altro. Ma non possono essere i cittadini a saldare mancanze e cecità della politica. Verde non è più un colore. È il furore. L’ultima scialuppa per la smarrita sinistra. Vedi il sindaco di Milano, Giuseppe Sala: più che mai deciso a far pagare agli altri la sua svolta green. Da ottobre 2022, Euro 4 ed Euro 5 non possono più entrare in città, pena una multa al giorno. E non si tratta di veicoli del paleolitico, ma spesso di appena sette anni fa.
Poco importa. I plebei del contado, che ogni giorno calano dall’hinterland per buscarsi la pagnotta, devono rinnovare il loro fatiscente parco auto. Oppure, versare un cospicuo obolo per la suprema causa. L’aria meneghina prima di tutto. Meno auto, meno inquinamento. Una rivoluzione. Come quella di imporre agli automobilisti i 30 all’ora in tutta la città. Mentre, ovviamente, viene aumentato il costo del biglietto dei mezzi pubblici e tagliato il 3 per cento delle corse. A dimostrazione che, gratta gratta, solo una cosa è più importante dell’ossessione verde: rimpinguare le casse comunali.
Tre mesi dopo, arriva difatti l’avvilente consuntivo. Nonostante la gabella, i veicoli transitati in città sono calati appena dello 0,8 per cento. Pure i Verdi seppelliscono la rivoluzione: «Misura inefficace». Perfino la lista civica che appoggia il sindaco è polemica sulla tassa: «Deve servire ad alimentare il business delle autovendite o a ridurre traffico e smog?». Nemmeno i furibondi ecologisti di Ultima generazione, che certo hanno ben più alti scopi, sembrano soddisfatti di come vanno le cose in città. Hanno persino imbrattato con vernice gialla «Il dito» (medio) di Maurizio Cattelan, esposto in piazza Affari. Messaggio subliminale? Beppe, sindaco con i calzini arcobaleno, non lo meritava davvero.
