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Conte, il denunciato del popolo sul viale del tramonto

  • IL DENUNCIATO – Esposti dai parenti delle vittime della pandemia. Ricorsi da imprenditori per il disastro economico. Così migliaia di cittadini hanno scelto la via legale contro il premier.

  • IL RIMANDATO – Mentre gli altri Premier agiscono, Giuseppe Conte rimanda a settembre le decisioni importanti

Vatti a fidare dei colleghi. Una vita tra anonime aule di tribunali e rinomati studi legali, fino al rocambolesco ingresso a Palazzo Chigi. Lassù, certo, gli inciampi sono inevitabili. Figurarsi, poi, se il neofita ha un conclamato egotismo. Dovrebbe capirlo perfino l’ultimo azzeccagarbugli di provincia. Invece, niente: da avvocato del popolo a bersaglio del popolo degli avvocati. L’ultima parabola di Giuseppe Conte è compiuta. Una pletora di suoi malmostosi simili si adopera per trascinarlo in tribunale. Querele, esposti, ricorsi. In tutta Italia sono state depositate oltre 3 mila denunce sull’operato del governo ai tempi del coronavirus.

Si indaga su tutto, su iniziativa di tutti: cittadini incattiviti, parenti di vittime, associazioni di categoria. Certo, molti di questi fascicoli magari sono destinati all’archiviazione. Ma il loro cospicuo numero comincia a impensierire: non sarà semplice far passare tutto in cavalleria.

E resta da interpretare anche la visita a Palazzo Chigi del procuratore di Bergamo, Maria Cristina Rota, che indaga sulla mancata zona rossa a Nembro e Alzano Lombardo. Il premier è stato cordialmente sentito per tre ore. Proprio Panorama rivelò il decisivo parere degli esperti governativi: «Il Comitato tecnico scientifico propone di adottare le opportune misure già adottate nei comuni della zona rossa pure in questi due comuni, al fine di limitare la diffusione dell’infezione nelle aree contigue» si legge nel verbale del 3 marzo 2020. Ma il decreto sarà firmato da Conte solo il 9 marzo, sei giorni dopo quell’appello. Giorni che trasformano la provincia orobica in un lazzaretto.

Il premier sembra però destinato a scansare l’inchiesta. Proprio la Procura di Bergamo, così come quella di Milano, indaga però anche su altri versanti. Quelli, appunto, nati dalla moltiplicazione di denunce sull’operato del premier. Le ipotesi investigative sono epidemia colposa e strage colposa. Ma i due fascicoli, per il momento, sono a carico di ignoti. Le inchieste nascono da diversi esposti inviati dall’avvocato Giancarlo Cipolla. Il suo studio ha già difeso correntisti truffati, aziende vessate, cittadini danneggiati dallo Stato e governi stranieri. Anni fa, ha battuto perfino Google in una controversia sui diritti d’autore. Adesso l’avvocato siciliano chiede a otto procure lombarde di indagare sulla gestione dell’emergenza da parte del governo: dalle tardive zone rosse al mancato approvvigionamento di tamponi e reagenti. «Con due circolari, hanno per esempio limitato la possibilità di fare test a chi aveva infezioni respiratorie acute gravi» dice Cipolla. «È la causa o l’effetto della penuria? Questo, comunque, ha impedito diagnosi e cure tempestive. E perché il ministero della Salute, con apposita ordinanza, consigliava di evitare le autopsie sui morti da Covid-19?».

Epidemia colposa:una caterva di denunce ruota attorno al questo supposto reato. Perfino un panzer come l’avvocato Carlo Taormina s’è rivolto alla Procura di Roma. Paventa addirittura la strage di Stato: «Gravissime condotte omissive messe in atto dai nostri governanti e dai consulenti che li hanno assistiti». Urge dunque, intima, far luce sulle persone decedute in casa per mancato soccorso. E su quelle «lasciate morire», per lasciare il posto a pazienti più giovani o meno gravi. Simili le accuse del legale milanese Giampaolo Berni Ferretti.

A sostegno dell’accusa, riporta anche le affermazioni di Walter Ricciardi, membro del comitato esecutivo dell’Oms e poi consulente giallorosso: «L’Italia ha sbagliato a chiudere i voli dalla Cina. Non serve, se si può comunque arrivare con gli scali». Insomma, impossibile «tracciare gli arrivi».

Il penalista Sandro Giustozzi, di Macerata, ha invece denunciato Conte dopo la morte per Covid-19 di un suo assistito. Il governo avrebbe atteso troppo prima di «adottare le necessarie e dovute cautele». Mentre a Sanremo, hanno citato il presidente del Consiglio per non aver fermato l’ultimo festival canoro, che s’è tenuto dal 4 all’8 febbraio. «Il 31 gennaio viene firmato il provvedimento per evitare la diffusione del virus e tutelare la salute pubblica» ricorda l’avvocato Alberto Pezzini, già candidato a sindaco nella cittadina ligure per la civica Civiltà liberale. «Come si può pensare allora di svolgere una manifestazione che ha portato a Sanremo migliaia di persone?».

Giuseppi, ovviamente, non è l’unico leader europeo a tribolare. La Procura di Parigi ha aperto un’indagine preliminare su alti funzionari statali per omicidio involontario, messa in pericolo della vita altrui e astensione volontaria dal combattere una sciagura. Anche in Francia, infatti, sono arrivate decine di denunce da parte di cittadini. E i magistrati hanno deciso di non archiviare i fascicoli. Per i membri del governo transalpino è invece competente la Corte di giustizia, che sta esaminando altre 80 denunce. Come in Italia, politici e cittadini d’Oltralpe imputano all’esecutivo colpevoli indecisioni e sottovalutazioni: l’uso delle mascherine a lungo scoraggiato, il gel disinfettante introvabile e la carenza di letti in terapia intensiva. Altrove, ci sono state anche iniziative giudiziarie più bizzarre. La premier neozelandese, Jacinda Ardern, accusata di «rapimento» da un cittadino che non sopportava il lockdown. Il governatore di New York, Andrew Cuomo, finito nel mirino di due preti cattolici e tre ebrei ortodossi per aver ostacolato le funzioni religiose. Mentre in Inghilterra le compagnie aeree si oppongono alla quarantena imposta dal premier, Boris Johnson, a chi entra nel Paese.

In Italia si annuncia ugualmente pirotecnica l’iniziativa di migliaia di cittadini, che hanno denunciato il premier per attentato alla Costituzione e violenza privata. Stavolta, viene contestato l’uso disinvolto del Decreto del presidente del Consiglio dei ministri: l’ormai mitologico e reiterato Dpcm. Solo l’avvocato Edoardo Polacco ha depositato oltre 2.800 querele, da Aosta a Catania. «È la più grande azione giudiziaria nella storia repubblicana» assicura. «Fino a oggi abbiamo ricevuto soltanto una richiesta d’archiviazione. Per il resto delle querele, le verifiche sono in corso».

Nella speranzosa attesa della giustizia, il roccioso avvocato intanto ha organizzato, proprio in contemporanea con gli Stati generali voluti da Giuseppi a Villa Pamphili, i ben più rivoluzionari Stati generali del popolo italiano. Assieme a lui c’erano altri battaglieri principi del foro e le pugnaci ex deputate pentastellate Veronica Giannone e Sara Cunial, adesso nel gruppo Misto.

Il dirigismo normativo di Giuseppi, in effetti, è già stato criticato da autorevolissimi giuristi. Il presidente emerito della Corte costituzionale, Antonio Baldassarre, è arrivato a paragonare il premier italiano all’omologo ungherese, Viktor Orbán. Anche Sabino Cassese, ex giudice della Consulta ascoltassimo dal Quirinale, ha assaltato: «Il primo decreto era fuori legge. Poi è stato corretto il tiro con il secondo, che l’ha abrogato quasi interamente». E proprio dalle parole di Cassese prende spunto l’accusa di alto tradimento formulata da Cesare Peluso: «Quello che sta accadendo con la pandemia non è equiparabile a una guerra. Pertanto non doveva essere applicato l’articolo 78 della Costituzione, bensì il 117» giura il legale. «Gli atti e i provvedimenti dovevano essere presentati dal presidente della Repubblica. Conte è un professore universitario. Non può non saperlo». E perfino Marta Cartabia, che adesso guida la Consulta, ha sottolineato che la Costituzione «non contempla un diritto speciale per i tempi eccezionali» ma implica la «leale collaborazione» tra le istituzioni. Si riferiva a Conte? Lei smentisce seccamente. Ma il dubbio, vista la concomitanza degli eventi, rimane intonso.

Del resto, lo scorso 30 aprile, un nutrito gruppo di giuristi aveva inviato al collega Giuseppi perfino un’accorata lettera: «Le restrizioni delle libertà fondamentali messe in campo generano gravi dubbi di costituzionalità e rappresentano un pericoloso precedente per lo stato di diritto». Seguono oltre duecento firme. Alcune di straordinario peso. Come quella di Franzo Grande Stevens, uno dei più grandi avvocati d’affari in Italia e storico legale di Gianni Agnelli. E Nerina Boschiero, che guida la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Milano. Ma c’è pure Stefano Scovazzo, presidente del Tribunale dei minorenni di Torino. Nel capoluogo piemontese, anche i cittadini si muovono però contro «la dittatura dei decreti emergenziali». Due civilisti, Maurizio Giordano e Maria Paola Demuru, hanno così depositato una corposa querela. Le contestazioni vanno dalle solite violazioni normative alla carenza di mascherine per gli operatori sanitari.

E poi la scuola, funestata come nessuno da temporeggiamenti e dilettantismo. Tanto che genitori, scuole e associazioni un mese fa presentano al Tar del Lazio un ricorso contro il Dpcm del 10 maggio 2020. Ovvero lo stentoreo decreto con cui Conte sospende ad libitum le attività didattiche. In particolare, si chiede di annullare il comma che non consente la riapertura delle scuole d’infanzia. Mentre, allo stesso tempo, permette l’organizzazione dei centri estivi. Tra i firmatari ci sono anche il Comitato EduChiAmo di Confapi, la Confederazione italiana delle piccole e medie imprese. «Il successivo Dpcm dell’11 giugno ha parzialmente accolto i nostri rilievi» informa l’avvocato Federico Freni, che ha curato il ricorso con Evaristo Maria Fabrizio. «Restano però gli enormi svantaggi delle paritarie rispetto alle pubbliche, soprattutto nel reclutamento del personale».

C’è anche, chiaramente, chi si scaglia contro i provvedimenti economici. Vedi l’associazione Noi autonomi e partite Iva, che ha denunciato il premier alla Commissione europea «per l’emanazione di nuovi provvedimenti correttivi, atti a ristabilire una condizione di parità tra le categorie sociali, in linea con quanto sancito dal diritto dell’Ue». Mentre un imprenditore del Bresciano ha presentato un esposto per i danni subiti dal lockdown: circa tre milioni. Pure in questo caso, vengono contestati i ritardi di Conte, «nonostante sapesse dal 31 gennaio 2020 dell’epidemia». E poi associazioni di consumatori come il Codacons, il Sindacato nazionale lavoratori italiani, frotte di cittadini e centinaia di familiari di vittime. Si indaghi, chiedono, su premier e governo.

Insomma, le procure italiane sono allertate. Certo, tante querele sono destinate a evaporare. Altre saranno derubricate a sterile complottismo. Altre ancora, invece, potrebbero impensierire il premier. Però la mole di fascicoli dovrebbe comunque far riflettere. Soprattutto, Giuseppi. Proprio due anni fa, il giorno del suo insediamento, prometteva solenne: «Sarò l’avvocato difensore del popolo italiano». Ma adesso si prepara a una nuova metamorfosi: diventare l’avvocato di se stesso.

Gli altri agiscono, Conte rimanda(to) a settembre

Conte, il denunciato del popolo sul viale del tramonto
Ansa

Gli indicatori dell’economia italiana sono tutto fuorché rassicuranti, con i disoccupati in crescita e le imprese sempre più in affanno. Eppure l’esecutivo reagisce al rallentatore. In attesa di elaborare l’ennesimo piano di rilancio del Paese.

di Francesco Bonazzi

La Francia è già intervenuta sul settore auto, che con la fusione Peugeot-Fca presto comprenderà anche il nostro, sull’aerospazio e nella tutela dei propri campioni nazionali. La Germania, durante il lockdown, ha rafforzato il sistema bancario, aumentato i sussidi ai disoccupati e ha puntato sul sostegno alle Pmi. Il Regno Unito ha lanciato un piano quinquennale sulle infrastrutture.

L’Italia, che a proposito di infrastrutture dopo due anni non sa ancora che pesci prendere con le concessioni di Autostrade e non ha fatto passi avanti sulla rete unica Tim-Open Fiber, ha promesso mini-aiuti a pioggia un po’ a chiunque e il premier Giuseppe Conte annuncia per settembre un Recovery plan. Sì, a settembre, non ieri e neppure adesso. Peccato che per l’autunno siano in tanti, dalle banche d’affari straniere alle imprese, a temere il peggio. E uno dei timori maggiori sui mercati, oltre all’impatto della crisi sui posti di lavoro, è che la maggioranza di governo scambi i prestiti europei per soldi a fondo perduto, da distribuire qua e là come tante mancette pre-elettorali.

Visto che l’anno scolastico è terminato, il governo si è dato i compiti per le vacanze. Il dialogo tra parti sociali di martedì 16 giugno, andato in scena nel Casino Algardi (un nome, un programma) di Villa Pamphili, sembra registrato in un istituto per sordi. Confindustria e Confcommercio spiegano che i loro associati sono in ginocchio e che molti faticano a riaprire. Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, mette tutte le carte sul tavolo: «Servono risposte urgenti soprattutto su crisi di liquidità, estensione delle moratorie fiscali, eccesso di burocrazia, riduzione della pressione fiscale e del costo del lavoro». Non c’è tempo da perdere e aggiunge che «c’è il rischio di una tempesta perfetta che, tra aumento dei costi e crollo dei consumi, potrebbe far chiudere 270 mila imprese con la perdita di oltre 1 milione di posti lavoro».

Conte risponde con un gioco di prestigio, ovvero un piano di incentivazione dell’uso della moneta elettronica che non disincentiverà il contante: «Il piano cashless aveva destato in voi qualche preoccupazione, la linea è quella: noi vogliamo un’Italia più digitale. Ma lo faremo in modo dolce, fair e gentile». Poi, sulla crisi in atto, se la cava così: «Nel Recovery plan italiano che presenteremo a settembre, dovremo selezionare investimenti specifici».

Ok, buone vacanze a tutti. In linea con la tradizione italica del governo balneare. Numeri all’italiana? Il problema è che, di solito, al governo balneare purtroppo segue l’autunno caldo. Anche se le stime ufficiali italiane continuano a essere più ottimiste di quelle internazionali. L’11 giugno l’Ocse ha rivisto pesantemente al ribasso le previsioni. Giornali e tv hanno ripreso lo scenario peggiore, ovvero un crollo del Pil italiano del 14 per cento in caso di nuova ondata del coronavirus. Ma la vera notizia, quella più concreta e quindi più imbarazzante, era il calo dell’11,3 per cento in situazione «normale», perché si tratta di ben tre punti in meno di quanto previsto dall’Istat solo tre giorni prima (-8,3 per cento).

Chi sta sbagliando e perché? Bankitalia, più prudente dell’Istat, il 5 giugno ipotizzava un -9,2 per cento. Eppure, già a metà aprile Goldman Sachs prevedeva per l’economia italiana un crollo dell’11,6 per cento e Standard & Poor’s dava la recessione al 9,9, sempre nel 2020. E se ad aprile il Fondo monetario internazionale ci aveva collocato il Pil a -9,1 per cento, il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, è ancora fermo ufficialmente all’8 per cento. Insomma, a chi sa leggere i numeri (basta incrociare i dati su disoccupazione e cassa integrazione) la situazione reale è ben chiara, ma c’è un evidente disallineamento informativo. A metà ottobre, quando bisognerà mandare in Europa il nuovo Def, i nodi verranno al pettine.

Con in suoi 2.467 miliardi di euro (134 per cento del Pil), il debito pubblico italiano è il più alto d’Europa e alla fine di quest’anno rischia di arrivare a 2.600 miliardi. Ma c’è un altro problema, che richiederebbe di essere affrontato con una vera politica economica, ed è il fatto che da anni l’Italia cresce meno di un punto percentuale l’anno e comunque sempre la metà dell’Eurozona. Gli analisti di Schroders hanno avvertito che quando cesserà il supporto della Bce all’acquisto di Btp e Bot, ovvero una volta che l’allarme Covid-19 sarà terminato, l’Italia si troverà da sola a fronteggiare un debito ancora più alto. E Azad Zangana, senior european economist and strategist del colosso inglese del risparmio gestito, ha avvertito che «c’è un’elevata probabilità che l’Italia debba affrontare una crisi del debito nei prossimi due o tre anni».

Le scelte degli altri. Ovviamente speriamo tutti che non sia così, perché equivarrebbe a dover affrontare una ristrutturazione del debito, ma intanto non si può non notare che i nostri vicini di casa si sono mossi in modo ben diverso. In Francia, Emmanuel Macron ha messo 500 miliardi di euro a disposizione dell’economia, puntando su maggiore produttività e trasformazione green (dalla riqualificazione degli edifici al trasporto pubblico), ma anche su agricoltura, settore marittimo, industria aerospaziale.

Soprattutto, a fine maggio, il presidente francese ha annunciato un bonus da 3 mila euro per macchine con motori a benzina e diesel e da 5 mila euro per elettrici e ibridi. Ma che cosa ha chiesto Macron ai costruttori francesi per questo piano di aiuti da 8 miliardi? Salvaguardia dei posti di lavoro e impegno dei costruttori al rimpatrio di alcune linee produttive strategiche finite all’estero. Un discorso del genere, in Italia, sarebbe pura fantascienza.

Nelle stesse settimane, il massimo che ha saputo fare il governo Conte è dare la garanzia pubblica da 6,3 miliardi al prestito che Fiat ha ottenuto da Intesa Sanpaolo per pagare i fornitori. E questo mentre sono in corso i cantieri dell’alleanza tra Peugeot e il Lingotto, dove per l’Italia sono in ballo 55 mila posti di lavoro diretti e 200 mila nell’indotto (fonte Fca Italia).

In Gran Bretagna, Paese del quale in Italia si seguono con grande trasporto le avventure della famiglia reale e le gaffe del premier Boris Johnson, ai primi di aprile era già stata varata una manovra da 350 miliardi di sterline a favore delle imprese e dei lavoratori e da questa primavera è pronto un piano da oltre 100 miliardi per costruire ponti e ferrovie ad alta velocità. La risposta di Roma è in questa uscita di Conte del 3 giugno, che con toni regali ha comunicato: «Prenderò in seria considerazione la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina». Da un secolo e mezzo, una delle balle preferite dei politici italiani. In Germania, Angela Merkel ha messo insieme in tre mesi un piano da oltre mille miliardi, tra aiuti diretti alle imprese, sostegno al reddito (sette milioni di cassintegrati) e prestiti di garanzia. Il confronto con un’economia così forte sarebbe ingeneroso, ma nella manovra della cancelleria ci sono anche 50 miliardi sull’innovazione tecnologica e un bonus di 6 mila euro per chi passa all’auto elettrica.

Insomma, tra gli altri big d’Europa non solo c’è stata una maggiore rapidità nel far arrivare i soldi a chi ne aveva bisogno, ma ci sono state mosse di politica industriale ben precise, a costo di approfittare della pandemia anche per operazioni assai discutibili e «sovraniste» come il salvataggio delle compagnie aeree nazionali.

L’Italia invece rimanda i compiti a settembre, in un autunno dove l’impatto della crisi sulla disoccupazione e sullo spread dovrebbero far tremare i polsi, e intanto perde tempo con il dibattito su Recovery fund e Mes, ovvero circa 150 miliardi di prestiti che non sono a fondo perduto e andranno restituiti in tempi brevi. E che neppure possono essere spesi per questa o quella clientela, come forse M5s e Pd si augurano in vista delle Regionali di settembre.

Il tutto mentre ci si balocca con le rassicurazioni (solo verbali) del commissario Ue Paolo Gentiloni e del vicepresidente Valdis Dombrovskis sull’assenza di «condizioni» ai prestiti europei. Ma la vera tagliola che può essere azionata da Bruxelles in qualunque momento per strangolarci è il ritorno al Fiscal compact e ai famosi «parametri»: quel giorno, i numeri da mettere sul tavolo saranno quelli di Eurostat.

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