Ne ha per il ministro Roberto Speranza e per il generale Francesco Paolo Figliuolo. Il governatore della Campania gestisce la sua regione come una vera entità nazionale. E tiene a distinguersi: ecco che, attraverso le famigerate dirette Facebook, vieta l’asporto di cibo dopo le 22. Ma il coprifuoco non c’è più…
Istruzioni di viaggio per il turista che si trovi a passare per il «DeLucastan», la libera – si fa per dire – repubblica del presidente campano, Vincenzo De Luca. Territorio di 13.590 kmq con circa sei milioni di abitanti dove le leggi italiane, per una misteriosa forza gravitazionale, vengono risucchiate in un buco nero e sostituite da ordinanze regionali promulgate con «grida» via social netwoek ogni venerdì. Basta sintonizzarsi sul canale Facebook del governatore e prendere appunti su ciò che si può, o meno, fare.
Sappia, il turista, mentre si affanna a esibire il passaporto al check point per varcare il confine napoletano, che quel che vale a Firenze, Palermo o Milano o anche a Gorizia non ha altrettanto valore a queste latitudini. Dall’esplosione della pandemia, De Luca ha deciso di giocare una partita indipendentista che farebbe la gioia della buonanima di Ferdinando di Borbone. L’ultima trovata è obbligare i campani, mentre tutt’Italia ha finalmente abbandonato le mascherine, a continuare a indossare le protezioni all’aperto fino ad agosto e oltre. La motivazione scientifica o politica o sanitaria è superflua: lo ha deciso lo Sceriffo. Tanto basta.
«Imbecille!», ha ringhiato De Luca nell’ultima diretta streaming, immaginando di avere davanti un pericoloso reazionario con il bavaglio abbassato che gli sta alitando addosso. «Tenetevi le mascherine… Abbiamo visto… i rave rave party, gente che va a ballare, centinaia di ragazzi, come siamo felici, che bella libertà abbiamo conquistato. Questi andranno a finire in terapia intensiva fra poco», ha proseguito accigliato sul solco del predicatore che, nel film-cult Non ci resta che piangere, ammonisce Massimo Troisi («Ricordati che devi morire…», «Sì, adesso me lo segno…»). E in effetti la narrazione di De Luca è salvifica e apocalittica al contempo.
Lui è quello che, a suo dire, avrebbe difeso la Campania durante la prima ondata. Parandosi a interdire l’accesso al virus come la statua della Madonna della Neve fermò le lingue di lava durante l’eruzione del Vesuvio nel 1822 o come Keanu Reeves in Matrix che arresta i proiettili con la sola imposizione della mano. Con queste suggestioni, il governatore ha avuto e ha gioco facile a smarcarsi dai provvedimenti del governo e a portare la Campania fuori dall’ordinamento statale imbarcandosi per viaggi incerti e perigliosi.
Come quello intrapreso quando, nel bel mezzo della crisi diplomatica sui vaccini, ha sottoscritto un accordo col fondo russo Rdfi corporate per l’acquisto di 3,5 milioni di fiale di Sputnik, scatenando la dura reazione del premier Mario Draghi. Accordo, peraltro, di cui non si conoscono termini e penalità per le clausole di segretezza imposte da Mosca. Solo il prezzo: circa 8,50 euro a dose. De Luca si giustificò sostenendo che a San Marino stavano usando l’antidoto voluto dal presidente Vladimir Putin, e funzionava benissimo. Senza provare imbarazzo per il fatto che il Monte Titano è uno Stato sovrano che si trova solo geograficamente in Italia e che ha proprie leggi, propri ordinamenti e regole. Forse, è quello l’esempio a cui aspira l’uomo forte di Palazzo Santa Lucia con vista sul Cremlino. A una enclave regionale. Non potendo imporre alla tettonica a zolle di staccare la Campania dal resto del Paese, si limita a rinchiudersi politicamente dentro i suoi confini.
A oggi, lo Sputnik attende ancora l’autorizzazione dell’Ema, l’organismo di controllo europeo, ma questo passa in secondo piano nelle logiche del governatore. L’impostazione oraziana di De Luca (si legga: Carpe diem) impone di cogliere l’attimo per ottenere il maggior livello di pubblicità possibile. Una pubblicità che non richiama affatto la filosofia andreottiana («bene o male purché se ne parli»). Defezioni sul piano delle adulazioni nei confronti del presidente non sono ammesse. Il nostro turista, in giro per le città del DeLucastan, con la mascherina ben premuta sulla faccia, non troverebbe certo le gigantografie alla Kim Jong Un a ogni angolo di strada, ma avrebbe comunque difficoltà ad ascoltare voci critiche nei confronti del leader supremo della Regione Campania.
Contestare è pericoloso, da queste parti. Come ha ben compreso il presidente dell’Unione industriali di Napoli Maurizio Manfellotto che, nel corso di una recente assemblea, ha attaccato frontalmente lo Sceriffo. «La ricetta dell’uomo solo al comando può avere avuto una sua logica al momento più critico dell’emergenza sanitaria», ha detto il capo di Palazzo Partanna, «ma non è accettabile nella fase della ripartenza e della ricostruzione». De Luca l’ha presa con sportività. Secondo la ricostruzione dell’edizione napoletana di Repubblica, avrebbe chiamato a Tokyo per lamentarsi coi manager di Hitachi, la multinazionale di cui Manfellotto è chairman in Italia.
«Non voglio parlargli più», avrebbe spiegato – in giapponese, forse? – il governatore ai dirigenti della società non prima, pare, di aver chiesto (ma non ottenuto) una smentita per le dichiarazioni dell’imprenditore partenopeo. Il ministro della Sanità, Roberto Speranza, è stato invitato a dimettersi il giorno dopo la sua recente visita a Napoli. Al generale Francesco Paolo Figliuolo ha chiesto di togliersi la divisa e di presentarsi in abiti civili.
Anche per intemerate come queste, qualcuno lo ha ribattezzato – con un’altra variazione sul tema che non gli fa grande onore, «DeLucashenko». Alla sua scuola tutta chiacchiere, sarcasmi e distintivo sta crescendo il figlio Piero, vice capogruppo alla Camera del Pd, piazzato dal padre alle costole del candidato sindaco di Napoli, l’ex ministro dell’Università Gaetano Manfredi, sostenuto da un’alleanza giallorossa. L’unica scuola aperta, quella di famiglia, verrebbe da dire.
Nell’ultimo anno, gli studenti della Campania hanno infatti frequentato il 50 e, in alcuni casi, il 75% in meno dei loro coetanei italiani. Il presidente della Campania ha tenuto infatti i plessi inaccessibili anche quando, nelle altre 19 regioni, si andava regolarmente in classe. Le ordinanze di Palazzo Santa Lucia hanno sbarrato le porte degli istituti addirittura in zona gialla, quando il livello di rischio era fissato dal governo in zona rossa.
È stato necessario un coraggioso provvedimento del Tar Campania per riaprire (ma per poco) gli istituti sulla base di un ragionamento molto semplice: non c’era alcuna evidenza scientifica che la didattica in presenza in Campania avesse portato alla moltiplicazione dei focolai. La stessa Regione aveva dovuto ammettere, infatti, che pure durante la fase più critica dell’epidemia, con i banchi deserti, i contagi non solo non diminuivano ma addirittura crescevano. Inoltre, non era stato predisposto alcun piano di tracciamento epidemiologico nelle scuole. Tutto, insomma, era fatto a occhio. A sensazione. Da rabdomanti del virus.
Alla fine del tour, il nostro turista mascherina-munito potrà finalmente fermarsi a un bar e rifocillarsi. Dovrà farlo però entro le ore 22 perché una nuova ordinanza del Presidentissimo ha imposto il divieto di asporto per le bevande nelle ore notturne anche oggi che l’Italia è tutta bianca e il coprifuoco è solo un ricordo. Perché lo abbia fatto, non importa. Il DeLucastan è un ben bizzarro «Stato».
