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La variante cinese

La variante cinese

L’editoriale del direttore

Panorama si è occupato spesso della Cina, descrivendone i progressi economici e tecnologici. Ma anche raccontando il suo espansionismo in Africa, Sud America e perfino in Europa.


Il 2021 si sta concludendo nel peggiore dei modi. Non solo per il Covid, che nonostante i vaccini continua a circolare ovunque e a mietere vittime anche nei Paesi con il più alto tasso di immunizzazione. A rendere cupa la fine dell’anno sono i venti di guerra che spirano da tutte le parti, in particolare da Est. Per quasi ottant’anni il mondo è vissuto in pace, perché se si escludono alcuni conflitti limitati, da quello in Vietnam a quello in Iraq, ma pure alle porte d’Europa fra gli Stati balcanici, gli equilibri che ci furono consegnati dopo la Seconda guerra mondiale hanno evitato conflitti che coinvolgessero le principali potenze. Stati Uniti e Unione sovietica si sono fronteggiate per anni, dividendo il mondo in due e sfiorando spesso incidenti militari.

Dalla crisi di Cuba, con i missili che Nikita Kruscev voleva puntare sull’America, ai Cruise che Ronald Reagan fece installare in Europa come deterrente contro le minacce russe. Lo scontro fra Nato e Cortina di ferro porta il nome di Guerra fredda, ma quella guerra, più che con le armi, fu combattuta a parole. I conflitti erano diplomatici, tattici, con l’uso di spie da una parte e dall’altra, ma gli eserciti non si sfiorarono mai, nemmeno quando l’Urss di Leoníd Il’íč Breznev decise di invadere l’Afghanistan. Invece di un confronto diretto, gli Usa scelsero di armare la resistenza afghana, con il risultato che contribuirono alla nascita dei talebani, ma almeno evitarono di coinvolgere il mondo in una guerra dagli esiti inimmaginabili.

Tuttavia, se questa è la storia degli ultimi tre quarti di secolo, quella che si affaccia con il nuovo anno è una storia carica di preoccupazioni. Un po’ per il declino dell’influenza che gli Stati Uniti hanno esercitato dal 1945 in poi. E un po’ perché sullo scenario geopolitico si è affacciata una nuova potenza che minaccia di sconvolgere i quasi ottant’anni di pace. Panorama negli ultimi numeri si è occupato spesso della Cina, descrivendone i progressi economici e tecnologici, ma anche raccontando l’espansionismo di Pechino in Africa, Sud America e perfino in Europa.

Sotto la guida di Xi Jinping, la Repubblica popolare ha stretto alleanze con diversi Paesi per lo sfruttamento di materie prime necessarie all’industria nazionale, ma ahinoi anche a quella internazionale. Le terre rare, ossia quei metalli strategici per la produzione di componenti elettronici indispensabili per far funzionare computer, controllare le auto e trasmettere dati con l’uso di fibre ottiche, oggi sono in gran parte in mani cinesi. Pechino finanzia Stati in difficoltà o in via di sviluppo, costruendo infrastrutture e facendosi ripagare con lo sfruttamento di miniere e la vendita di elementi essenziali per alimentare la propria industria.

Da quando vent’anni fa la Cina è entrata nell’Organizzazione mondiale del commercio, il mondo è stato invaso da «prodotti Prc» a basso costo che, grazie agli stipendi di un’economia pianificata e all’assenza di tutele per i lavoratori, in breve hanno soppiantato quelli occidentali, conquistando il pianeta. La Repubblica popolare però non si è limitata a fabbricare merce di bassa qualità: ha investito in tecnologia e ricerca e oggi va alla conquista del mondo a più alto valore aggiunto, scardinando il modello occidentale.

Ma se si trattasse di una guerra economica, potremmo dire di averne viste altre, magari meno cruente di questa, perché in passato, a misurarsi con il potere della moneta e dell’innovazione, furono gli Stati Uniti e il Giappone. Tuttavia, questa volta in ballo non ci sono solo i soldi, c’è qualche cosa di più e l’aggressività che ogni giorno Pechino manifesta lo dimostra. Le tensioni fra Repubblica popolare cinese e Taiwan sono all’ordine del giorno, con provocazioni quotidiane. Aerei di Pechino che violano lo spazio aereo di Formosa, navi che sconfinano in acque territoriali di Taipei.

Ma non solo. La Cina minaccia di prendersi le isole Senkaku che, seppur contese, fanno parte del Giappone. Per non parlare dei territori vietnamiti e filippini. Finora a nulla sono valsi i tentativi americani di ricondurre lo scontro in un ambito diplomatico, prova ne siano le dichiarazioni sempre più minacciose di Xi Jinping e dei burocrati del partito. L’ultima è di qualche giorno fa e a parlare è stato il portavoce del ministero degli Esteri, il quale dopo l’ennesima rivendicazione su Taiwan ha detto: «L’era in cui gli Usa agivano arbitrariamente con il pretesto della democrazia e dei diritti umani è finita». Il pensiero sottinteso è chiaro: l’America non è più il gendarme del mondo e dunque anche una dittatura come quella della Repubblica popolare cinese può alzare la voce.

Ma se dalla Cina spirano venti di guerra, alle porte d’Europa non si registra un’aria migliore. La debolezza di un presidente come Joe Biden e il traccheggiamento di un’Europa che era un gigante economico ma resta un verme politico (la frase è di Antonio Martino), fa sì che anche Vladimir Putin possa mostrare i muscoli, minacciando di invadere l’Ucraina. Una guerra ai confini della Ue, proprio mentre nelle capitali europee si discute se abbia ancora senso la Nato. Già ai tempi del conflitto jugoslavo, l’Europa diede il peggio di sé, lasciando che i massacri proseguissero indisturbati.

In questo caso le cose sarebbero ancora più preoccupanti, in quanto a muovere le truppe non sono né Slobodan Milošević, né Ratko Mladić, ma Vladimir Putin e in America non c’è un Reagan che lo possa fermare, e non ci sono neppure un François Mitterrand o un Helmut Kohl. Ogni tanto ci lamentiamo dell’inconsistenza della nostra classe politica, ma mentre sullo scenario mondiale si affacciano personaggi come Xi Jinping, Putin e anche Erdogan, alla guida dell’Occidente si manifesta un vuoto che non ha precedenti. Il declino dell’Occidente non è solo economico, è soprattutto politico e dopo quasi ottant’anni di pace lo si sente ancora di più.

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