Home » Attualità » Opinioni » Vaccino e Green pass: obiezioni sensate

Vaccino e Green pass: obiezioni sensate

Vaccino e Green pass: obiezioni sensate

Editoriale del direttore

Avevamo ragione a dubitare. Non della scienza, ma dei presunti scienziati e dei cosiddetti esperti, oltre che dei politici.


Avevamo ragione. Punto. Quando criticavamo l’assurdità di un Green pass richiesto solo ai clienti dei ristoranti e non ai camerieri o ai cuochi non ci sbagliavamo. Così come non avevamo torto a contestare la decisione di rendere obbligatorio il certificato verde per viaggiare sui treni ad alta velocità e non su quelli a bassa, riservati ai pendolari e da sempre più affollati. Era giustificata pure la nostra obiezione circa la durata del passaporto vaccinale, che inizialmente era stata fissata a un anno, per poi scendere a nove mesi e presto a sei.

Gli studi condotti in Israele e in Svezia già avevano rilevato la riduzione dell’efficacia dei vaccini e dunque, insistere ritenendo valido il lasciapassare quando la copertura contro l’infezione si riduceva a pochi mesi era non solo una sciocchezza, ma una scelta pericolosa. Per non dire poi della tesi secondo cui il Green pass era una misura che consentiva agli italiani di «continuare a svolgere le proprie attività con la garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose». Da mesi si sapeva che la copertura offerta dai vaccini era parziale e che anche una persona immunizzata si poteva infettare e trasmettere il Covid.

Ma le autorità hanno preferito raccontare che solo i renitenti all’iniezione rischiavano di ammalarsi, mentre quelli cui era stata somministrata la puntura antivirus non correvano rischi. I dati dei contagi, i ricoveri in terapia intensiva e purtroppo i decessi, si sono incaricati di smentire questa tesi.

Per settimane abbiamo ascoltato dichiarazioni che poi si sono dimostrate prive di fondamento, se non false. A cominciare dalla non contagiosità degli immunizzati e dalla garanzia offerta dal Green pass di essere tra persone che non sono ammalate e dunque non ne possono infettare altre. Era il 22 luglio quando il presidente del Consiglio Mario Draghi pronunciò in conferenza stampa queste frasi. Probabilmente l’intento era meritorio, cioè si augurava di spingere il maggior numero di persone a vaccinarsi.

Ma cinque mesi dopo quelle parole, non si può fare a meno di constatare che semplicemente non erano vere. Così come non era vero quanto detto dal generale Francesco Paolo Figliuolo, al quale va dato atto di aver organizzato al meglio la campagna vaccinale. Quando il 7 settembre disse che il nostro Paese era vicinissimo all’immunità di gregge si sbagliava, in quanto era impossibile da raggiungere perché i vaccini non garantiscono un’immunità totale, ma solo parziale. Prova ne sia che, raggiunto l’85% di vaccinati, si è dovuto ricominciare da capo con la terza dose e, come sta succedendo in Israele, probabilmente presto ne occorrerà una quarta.

Erano sbagliate anche le certezze manifestate dal sottosegretario alla Salute, il grillino Pierpaolo Sileri, il quale il 15 di settembre in Parlamento sentenziò senza appello che era una bugia, anzi una falsità, la tesi secondo cui «i vaccinati si prendono il virus e lo trasmettono». In realtà, la falsità vera era quella pronunciata da Franco Locatelli, presidente del Comitato tecnico scientifico, il quale il 5 novembre in conferenza stampa annunciò che fino a 59 anni nessun vaccinato era finito in terapia intensiva. Già all’epoca, di ricoverati in rianimazione nonostante la puntura se ne contavano a decine.

Per non parlare poi dei cosiddetti «competenti», i quali hanno dimostrato di essere esperti solo nell’auto smentirsi. Roberto Burioni, virologo di pronto intervento sia sui social che in tv, il 29 agosto dichiarava che «gli unici per cui non ha senso il vaccino sono i bambini sotto i 12 anni», salvo poi rettificare di lì a un paio di mesi, per sostenere la vaccinazione a tappeto perfino degli infanti.

E che dire di Massimo Galli, sempre pronto a bacchettare i giornalisti impertinenti? Il 30 luglio, in tv, spiegava al pubblico che la terza dose interessava esclusivamente alla multinazionale titolare del brevetto: «Mi pare che parli molto di terza dose solo la casa farmaceutica che produce il vaccino sulla base di un numero limitato di dati scientifici» disse a Morning news, la trasmissione in onda su Canale 5.

Sì, avevamo ragione. Punto. Non dubitavamo della scienza, ma dei presunti scienziati e dei cosiddetti esperti, oltre che dei politici, i quali sulla base dei comitati tecnici scientifici prendono decisioni che poi devono essere rimangiate o contraddette dai fatti.
Sono passati due anni e il numero di contagi e di decessi è in aumento nonostante tutto. O forse proprio a causa di tutto, ovvero delle certezze diffuse che ci hanno portato ad abbassare la guardia insieme alla mascherina e a mettere da parte il tracciamento e i tamponi, oltre a non predisporre un aumento delle terapie intensive.

Pensavamo che con il Green pass e il vaccino avremmo risolto ogni cosa. Credevamo che il problema fossero solo i non immunizzati. Risultato, le parole tranquillizzanti dette dal presidente del Consiglio nella conferenza prima di Natale, ovvero che tre quarti dei decessi sono tra i non vaccinati, non possono smentire la realtà. Nell’ultimo mese, le vittime del virus non sottoposte alle dosi anti Covid sono stati 722, mentre i decessi tra i vaccinati sono stati 1.004. Punto.

© Riproduzione Riservata