Home » Le recensioni pericolose

Le recensioni pericolose

Le recensioni pericolose

I ristoratori dichiarano guerra a chi «posta» giudizi poco lusinghieri sui loro locali e si rivolgono all’autorità giudiziaria. Un limite al diritto di critica, anche quella gastronomica? Di sicuro, in parallelo, cresce il fenomeno dei commenti negativi a pagamento sulle varie piattaforme digitali…


Vostro onore, ecco il corpo del reato: è una “quattro stagioni”. Assaggi, prego… ne prenda un altro pezzo. E mi dica, vostro onore, se una pizza del genere merita davvero solo due stelle su cinque su Tripadvisor». Non ci vorrà molto tempo prima di assistere a scenette di questo tipo nei già sovraccarichi tribunali italiani dove i pubblici ministeri finiranno per destreggiarsi tra piatti, bottiglie e calici, e i giudici per immergersi nella lettura di ricette e tempi di cottura. Con i grembiuli al posto delle toghe, e il batticarne al posto del martelletto per dichiarare chiusa l’udienza: «La cucina è tolta».

È la guerra giudiziaria che i ristoratori hanno deciso di ingaggiare contro chi lascia sul web recensioni negative sui loro locali. De gustibus non est disputandum. Ma fino a un certo punto. Appena poche settimane fa, il proprietario di una pizzeria di Giovinazzo, in provincia di Bari, ha querelato per diffamazione aggravata gli autori di tre commenti tutt’altro che lusinghieri sulla sua arte ai fornelli. Ne è nata una baruffa social. «L’avversario si batte sul campo non con le infamità» ha scritto su Facebook il titolare. Aggiungendo: «Tolgo le denunce se mi telefonate e mi chiedete scusa». In calce, il numero di cellulare. Nessuno si è fatto sotto e lui ha minacciato di firmare un quarto esposto contro un malcapitato che aveva espresso solidarietà ai recensori. E non si tratta di un caso isolato. A Padova, un cliente è stato condannato a 5 mila euro, tra spese e risarcimento, per aver segnalato su Tripadvisor di aver trovato un verme nella sua pizza ai funghi. «Una cosa che può capitare» ha sentenziato il giudice. E lo ha stangato. A Pesaro, invece, per una frase sul «vino acido», un avventore ha dovuto sborsare 1.200 euro di indennizzo al padrone di un’osteria. Dalla guerra dei Roses alla guerra del rosé.

A un turista americano, in viaggio sull’isola di Koh Chang, in Thailandia, è andata decisamente peggio: ha trascorso due notti in carcere con l’accusa di aver danneggiato l’immagine di un hotel e, di conseguenza, delle autorità locali. Per evitare la condanna a due anni di detenzione ha dovuto pagare una salata cauzione e scrivere una lunga lettera di scuse alla struttura, ai politici e ai media.

Ma fino a che punto la difesa della propria reputazione diventa un’arma per zittire le critiche? E come si coniuga la libertà di espressione con la diversa percezione dei sapori? Oggi non esistono regole nel «far web» del cibo. Tanto che quello che era partito come un servizio gratuito per aiutare gli esercenti a farsi conoscere e i buongustai a trovare la locanda dei desideri, è degenerato in business. Tanti soldi, poca etica. Più di un ristoratore approfitta del caos per censurare i giudizi sfavorevoli (che invece dovrebbero essere a disposizione di tutti) e abbattere la concorrenza.

«Esistono società di comunicazione che fanno killeraggio a pagamento» spiega una fonte della polizia postale a Panorama. «L’ultima su cui abbiamo indagato aveva una squadretta di sei persone, un senior account, due coordinatori e tre stagisti, che ogni due settimane sfornavano una cinquantina di bocciature pilotate». Le stelline cadenti della ristorazione. «I costi vanno da 12 euro fino a 30 e oltre per una singola stroncatura». Poi c’è tutto un sottobosco di blogger e food influencer e giornalisti enogastronomici che fanno i sicari free lance su internet. L’ordine è uno: «terminate » quella pasta e patate.

«Senza un controllo sui portali, gli imprenditori sono in balia degli haters e di vere campagne denigratorie», commenta con Panorama Fabio Scotto di Vetta, avvocato e protagonista della nona edizione del programma televisivo MasterChef. «Spesso ci troviamo davanti ad account “fake” che rendono difficilissima l’identificazione. I social che si occupano di food dovrebbero cambiare le loro modalità, rendere sicura l’identità degli utenti e, di conseguenza, offrire maggiori garanzie anche ai consumatori. Oggi i ristoranti sono scelti per il 70 per cento guardando i giudizi sui portali. Basta veramente poco per distruggere commercialmente un’attività».

Se non è mafia, poco ci manca. Come dimostra il caso dei sette ristoranti più in vista di Genova che prima sono stati bersagliati da decine e decine di recensioni a una stella e poi, dopo qualche giorno, sono stati contattati da un’agenzia che offriva servizi di ricostruzione della reputazione. Sono partite le denunce. Parla di utilizzo «improprio» degli strumenti di recensione pure il maestro pizzaiolo Giuseppe Vesi, vittima di un attacco social sui suoi locali. «In poche ore mi è arrivata una raffica di critiche così palesemente false che lo stesso Tripadvisor ha bloccato i profili che condividevano tutti lo stesso messaggio» confida. «Il danno che possiamo subire è enorme. C’è tanta cattiveria in giro». Già, meglio non aprire quella sporta.

© Riproduzione Riservata