La classifica annuale dei guadagni dei top manager ispira pensieri che sono tutto fuorché natalizi.
Mike Manley, chi era costui? Se non lo conoscete, prendete nota: è di sicuro un «uomo d’oro». Infatti è riuscito a guadagnare in un anno la bellezza di 51.180.000 euro. Proprio così: 51 milioni e 180 mila euro. Ciò significa 140.129 euro per ogni giorno che il buon Dio ha mandato sulla Terra, sabato, domenica, Natale e Ferragosto compresi. Ciò significa 5.842 euro l’ora. All’incirca 700 volte più di quel salario minimo di 9 euro che da molti viene ritenuto insostenibile. Così va il mondo: 9 euro l’ora per molti lavoratori sono un sogno irraggiungibile. 5.842 euro l’ora sono invece una realtà per il buon Mike. Al quale, pertanto, basterebbe lavorare cinque o sei ore per guadagnare ciò che un operaio incassa in un anno in fonderia.
Mike Manley guida la classifica appena stilata dal Sole 24 Ore sulla base dei bilanci delle aziende quotate a Piazza Affari: con 51,18 milioni di euro vince la medaglia d’oro fra i top manager più pagati, lasciando la medaglia d’argento a Fulvio Montipò, fondatore e presidente di Intermpump che si ferma a 49,12 milioni l’anno (cioè 134.575 euro al giorno, cioè 5.607 all’ora) e la medaglia di bronzo all’intramontabile Marco Tronchetti Provera, che però è nettamente distaccato con «soli» 19,97 milioni l’anno (cioè «appena» 54.712 al giorno, cioè «appena» 2.280 l’ora: roba da chiedere l’elemosina ai bordi della strada). S’intende, fa notare il quotidiano economico, che da queste cifre «sono esclusi i fringe benefit come polizze d’assicurazione sanitarie e previdenziali, utilizzo di case, automobili o aerei pagati dall’azienda». In effetti: se uno guadagna 51,9 milioni l’anno, può forse prendere la metropolitana?
Sia chiaro: non sono invidioso, e sono sicuro che Mike Manley si è guadagnato quella barca di soldi fino all’ultimo centesimo. Come, non è dato sapere, ma di sicuro se li è meritati. Inglese di Edenbridge (sud di Londra), sessant’anni il prossimo 6 marzo, ingegnere, ha lavorato per Peugeot, Renault e soprattutto Chrysler. Quando nel 2018 Sergio Marchionne, allora a.d. della Fca, l’ex Fiat, si dimise per motivi di salute gli subentrò. È rimasto alla guida del colosso fino al 2021, quando Fca si è fusa con Peugeot, diventando Stellantis. Allora è stato prima emarginato in Nordamerica, poi messo alla porta con in mano un assegno da Paperoni. Ora guida il più grande gruppo di concessionarie degli Stati Uniti, ma con gli ultimi stipendi incassati potrebbe starsene in panciolle per il resto della vita.
Sono sicuro che a questo punto qualcuno si chiederà: dov’è il problema? Che cosa c’è di male se un’azienda privata strapaga i suoi manager, anche solo per metterli alla porta? Non può fare con i suoi soldi quello che vuole? Certo. Ma intanto bisogna vedere se quelli sono davvero tutti soldi suoi. La Fiat (ora diventata Stellantis) negli ultimi 37 anni ha incassato 220 miliardi di euro di denaro pubblico: erano destinati a tenere le fabbriche aperte in Italia e dare lavoro agli operai oppure a strapagare i manager che le hanno chiuse? Inoltre bisogna stare attenti anche ad aumentare oltre misura le differenze: un operaio di Stellantis oggi guadagna in media 1.689 euro al mese, cioè 56 euro al giorno. 2.500 volte meno di quello che ha preso il top manager. Duemilacinquecento. Non è troppo?
Vittorio Valletta, che non era un pericoloso bolscevico ma il duro capo della Fiat degli anni Cinquanta, guadagnava 12 volte più di un operaio. Adriano Olivetti diceva che la proporzione giusta fra lo stipendio di un capo azienda e quello di un dipendente dovrebbe essere al massimo 10 volte di più. Carlo Tavares, l’attuale capo di Stellantis (ex Fiat), prende 932 volte di più. Mike Manley è arrivato, a incassare 2.500 volte di più. Una società di questo tipo dove le differenze crescono, anziché ridursi, non è solo profondamente ingiusta. È anche insostenibile. Per far crescere un’economia, infatti, ci vogliono tante persone che stanno bene. Non pochi Paperoni e una massa di disperati in costante aumento.
Invece quello che stiamo creando è proprio una società dove pochi si arricchiscono sulle spalle dei più, che al contrario continuano a impoverirsi. Colpisce infatti, nella classifica del Sole 24 Ore, il fatto che i guadagni dei primi dieci top manager di Piazza Affari siano passati in un anno da 197,4 a 231,2 milioni di euro (+17 per cento). Nello stesso periodo il numero dei poveri in Italia è cresciuto di 357 mila unità (+7 per cento). La retribuzione del già citato Carlo Tavares, capo di Stellantis, ex Fiat, nell’ultimo anno è aumentata del 22 per cento. Ma negli ultimi tre anni gli operai delle fabbriche Stellantis in Italia sono diminuiti del 25 per cento. In altre parole: tanti più soldi nelle tasche dei top manager, tante più famiglie sul lastrico. Il problema è tutto qui: la ricchezza è una benedizione quando viene usata per produrre altra ricchezza. Diventa una sciagura quando produce soltanto lunghe code alla mensa dei poveri. Come succede oggi, ahinoi.