In due anni di pandemia non è stato fatto nulla e la scuola, come sempre, si è rivelata la Cenerentola del sistema e degli investimenti pubblici.
Giorni fa ho messo a confronto Lucia Azzolina con Patrizio Bianchi, concludendo che il secondo rischia, se non di far rimpiangere, almeno di eguagliare la prima, con i suoi inutili banchi a rotelle. Non lo avessi mai scritto. In capo a qualche ora mi è comparso sul telefonino un piccato messaggio. Non del ministro in carica, per contestare l’offensivo accostamento, ma dell’onorevole a 5 stelle che lo ha preceduto, la quale lamentava un accanimento nei suoi confronti, accusandomi di «dimostrare ancora una volta di non conoscere la scuola e di scriverne solo per ragioni politiche». Il messaggio si concludeva con l’invito ad aggiornarmi ed era accompagnato da un’intervista ad Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi, il quale sul Fatto quotidiano sosteneva che i banchi a rotelle consentono una didattica innovativa.
Come siano stati utili questi strumenti introdotti per combattere il Covid e tenere separati gli alunni lo abbiamo visto tutti. In rete circolano immagini di corse a rotelle in aula, con i banchi trasformati in bolidi da competizione. Per non dire delle fotografie pubblicate da diverse testate in cui si poteva vedere questo straordinario investimento per consentire «una didattica innovativa» accatastato in magazzino. Ho in mente addirittura una chiatta, credo di ricordare nei canali di Venezia, carica di banchi a rotelle da smaltire. So che per Lucia Azzolina questa è una ferita aperta, ma per la maggioranza degli italiani rimane uno spreco che hanno contribuito a finanziare con le tasse prelevate dal loro reddito.
Se ho citato la questione, non è per riaprire il dibattito sui banchi a rotelle, vecchio di almeno due anni fa. E neppure per rimettere nel mirino una parlamentare che non credo lascerà un particolare segno nella storia politica italiana e la cui carriera parlamentare credo sia prossima alla conclusione, visto che fra un anno o forse meno si concluderà la legislatura. No, ho scritto della piccola querelle con l’ex ministro per un solo motivo. Nonostante le rassicurazioni di Patrizio Bianchi, oggi sono molte le classi in Dad, ovvero costrette a seguire le lezioni da casa.
Sebbene sia il presidente del Consiglio Mario Draghi, sia il ministro si fossero dichiarati contrari alla didattica a distanza, ritenendola una sconfitta e anche un danno per gli studenti, i contagi hanno costretto i presidi a disporre la sospensione di molte lezioni in presenza. Il dato complessivo non è noto, anche perché in continua evoluzione, ma dal 10 gennaio scorso, a seguire i professori sul monitor del loro computer, secondo i dati dello stesso ministero, sono state (in modo totale o parziale) il 19,7% delle classi, cioè una su cinque.
Tralascio il pasticcio delle differenze di trattamento tra alunni vaccinati e non vaccinati, che a norma di legge dovrebbe imporre lezioni in presenza per i primi e a distanza per gli altri, quasi che un docente si possa sdoppiare. E dimentico anche il fatto che i presidi siano stati lasciati soli a gestire una situazione di emergenza, senza chiare direttive neppure per ciò che riguarda la sostituzione degli insegnanti non in possesso di green pass.
No, ciò che mi preme è mettere in luce che in due anni di pandemia non è stato fatto nulla e la scuola, come sempre, si è rivelata la Cenerentola del sistema e degli investimenti pubblici. Fin dall’inizio della pandemia, un professore esperto come Luca Ricolfi (i lettori lo conoscono bene in quanto per anni ha tenuto una rubrica su Panorama) aveva messo in luce la necessità di creare un sistema di ricircolo dell’aria, per evitare che le aule divenissero luogo di contagio, con il rischio che gli studenti poi portassero a casa il virus. Ma gli appelli a intervenire sono caduti nel vuoto.
Giovanni Buonanno, docente dell’Università di Cassino e del Lazio, ma anche della Queensland University of Technology di Brisbane, Australia, ha scritto che è dalla fine dell’Ottocento che si conoscono i rischi di diffusione dei virus negli ambienti chiusi, rimproverando alle autorità sanitarie di aver confidato nella vaccinazione come unica soluzione del problema della pandemia, senza affrontare il tema della trasmissione aerea. «A nulla è valsa la ricerca di ingegneri e studiosi iniziata cento anni fa, né le misurazioni di aerosol emesso da un soggetto durante l’attività respiratoria cominciate nel lontano 1946, né gli strumenti attuali che misurano numero e dimensioni di particelle nanometriche. Tutta la nostra scienza è soffocata da un dogma delle nostre autorità sanitarie cristallizzato dalla fine dell’Ottocento. E nel nome di questo dogma, non abbiamo affrontato i rischi degli ambienti chiusi, il vero tallone d’Achille delle nostre società, là dove trascorriamo il 90% del nostro tempo e dove avviene la quasi totalità delle infezioni».
In pratica, abbiamo buttato milioni per comprare i banchi a rotelle e tempo a imporre limitazioni, senza preoccuparci di sanificare gli ambienti in cui gli studenti passano ore e si possono contagiare. Il discorso vale anche per i luoghi di lavoro, ma pure per i ristoranti e i locali pubblici che, come abbiamo visto, sono diventati spesso incubatori di focolai Covid. Ma come dice Buonanno (e anche Ricolfi) i dogmi sono difficili da scalfire.
