Qualora i sì trionfassero e si arrivasse all’abrogazione delle norme oggetto del plebiscito, la Giustizia non cambierebbe. Perché, pur cancellando alcune norme, non si cancellerebbero i mali di cui soffrono i nostri tribunali. Il cappio che stringe al collo il sistema giudiziario è costituito dalla sezione disciplinare del Csm insieme al meccanismo delle nomine ai vertici delle Procure.
La Corte costituzionale ha bocciato i referendum sulla legalizzazione dell’eutanasia e della cannabis proposti dal comitato Luca Coscioni e da una serie di sigle della sinistra. Al contempo, la Consulta ha promosso cinque quesiti sulla giustizia per cui avevano raccolto le firme i radicali e la Lega.
Per quanto mi riguarda, si tratta di un ottimo risultato, in quanto gli italiani non saranno chiamati a introdurre nel nostro ordinamento l’omicidio del consenziente (questo, infatti, sarebbe stato il risultato dell’abrogazione delle norme proposta da Marco Cappato e compagni e a spiegarlo sono fior di giuristi non certo di destra, come per esempio Luciano Violante e Giovanni Maria Flick) e neppure invitati a legalizzare il consumo e lo spaccio di stupefacenti.
A differenza di quanto hanno raccontato i promotori della raccolta di firme pro-droga, depenalizzare la circolazione della cannabis non colpisce il narcotraffico, ma spinge gli spacciatori a trovare nuove droghe per continuare a fare affari sulla pelle di intere generazioni. Lo ha spiegato benissimo Don Winslow, lo scrittore che meglio di chiunque altro ha scandagliato l’ascesa dei narcos messicani.
Dopo la liberalizzazione introdotta da alcuni Stati americani, il cartello di Sinaloa ha trovato nuovi modi per fare una montagna di soldi, sostituendo il consumo degli oppioidi con allucinogeni sintetici, prodotti a basso prezzo e, purtroppo, molto più letali. Infatti, la scia di morti, anche famosi, si allunga di giorno in giorno, al punto che in uno dei suoi ultimi libri, Winslow sostiene che la guerra allo spaccio è finita. E l’hanno vinta i narcos.
È questo ciò che si voleva con la legalizzazione della cannabis? Spingere le organizzazioni criminali a trovare nuove forme di profitto? Be’, per come la penso io, meglio continuare a considerare illegale lo spaccio e contrastare con ogni mezzo il consumo di stupefacenti, anche se si tratta di una battaglia difficile, dove ogni giorno o quasi si riparte da zero, a cominciare dall’esecrazione sociale della diffusione delle droghe.
Per quanto riguarda il resto, cioè la giustizia, confesso che, di passaggio per Pistoia, la scorsa estate un gruppo di radicali mi ha convinto a firmare tutti i quesiti. Dei sei proposti, alcuni non mi convincevano e quando si voterà sulla carcerazione preventiva e sulla «Severino», probabilmente voterò contro l’abrogazione. Non perché gli arresti prima del processo, che spesso danno luogo all’incarcerazione di innocenti, mi piacciano, ma in quanto, impedendo la detenzione sempre e comunque, si rischia di lasciare in libertà pericolosi delinquenti e, conoscendo i tempi della giustizia, si rischia che costoro non solo rimangano impuniti, ma continuino a commettere reati. Furti, delitti contro la persona e abusi sarebbero ancora più difficili da fermare.
Già oggi sono rimesse in circolazione persone che hanno un curriculum da malviventi che fa paura, figuratevi che cosa succederebbe se non ci fosse più la possibilità dell’arresto preventivo. Per quanto riguarda la «Severino», alcuni eccessi sono evidenti. Non si può destituire da un incarico politico un amministratore riconosciuto colpevole in primo grado, perché la legge stabilisce che si è innocenti fino a che non sia intervenuta una sentenza definitiva di condanna.
Dunque, come si fa ad applicare la decadenza di una persona eletta quando forse fra un po’ si scoprirà che è innocente? Chi risarcirà l’elettore privato ingiustamente del proprio rappresentante, oltre che il soggetto in questione che avrà visto la propria carriera politica azzerata? Purtroppo, lo strumento del referendum non consente di cambiare una legge, migliorandola, ma solo di abolirla. Quindi, se la carcerazione preventiva così com’è concepita è sbagliata, cancellando tutto si rischia di incorrere in un altro errore e lo stesso dicasi per la legge Severino, lasciando in carica anche condannati con sentenza definitiva.
Mi trovano d’accordo gli altri quesiti, anche se la Corte costituzionale ha affossato quello sulla responsabilità dei magistrati che sbagliano. Separare le carriere di giudici e pm è giusto, così come alcune modifiche ai meccanismi che riguardano la valutazione della professionalità dei magistrati e le candidature del Csm. Tuttavia, a differenza di alcuni miei colleghi, io non penso che, qualora i sì trionfassero e si arrivasse all’abrogazione delle norme oggetto del plebiscito, la Giustizia cambierebbe.
Purtroppo, cancellando alcune norme, non si cancellerebbero i mali di cui soffrono i nostri tribunali. Il cappio che stringe al collo il nostro sistema giudiziario è costituito dalla sezione disciplinare del Csm insieme al meccanismo delle nomine dei vertici delle Procure, due questioni che non sono neppure scalfite dal referendum. Il giudizio sui reati e i comportamenti delle toghe rimangono nelle mani delle toghe stesse le quali, come ormai sanno tutti, per ragioni di corrente e di protezione corporativa, tendono a essere molto indulgenti e dunque, a meno che un giudice o un pm abbiano ammazzato qualcuno, alla peggio ricevono una sanzione lieve, talmente lieve da essere impercettibile.
Per quanto riguarda poi le nomine, credo che ci sia poco da dire. Da Luca Palamara in poi, tutti abbiamo capito come funziona la spartizione. Non si va per merito. Non si procede secondo logica e competenza. Si piazza l’amico dell’amico, nel più puro stile consociativo. E questo, fino a che al Csm non saranno tolte tali funzioni, nessun referendum potrà cambiarlo. Qualcuno ha scritto che dopo l’approvazione dei quesiti da parte della Consulta, la Casta (delle toghe, ndr) trema. Sì, dal ridere.
