La vera sfida di Mario Draghi è l’abolizione del Reddito di cittadinanza, vero scoglio sulla strada della ripresa e autentico spreco di Stato.
Mario Draghi ha una Mission impossible da portare a compimento. Non si tratta di far digerire la riforma della Giustizia all’ex avvocato del popolo, il quale spera di usare la questione della prescrizione per scalzare il presidente del Consiglio da Palazzo Chigi e prenderne il posto. No, il problema non sono le ambizioni di Giuseppe Conte e nemmeno quelle di Enrico Letta, che da segretario del Pd è deciso ad andare fino in fondo sulla legge Zan, allo scopo di conquistare il consenso del movimento Lgbt e far risalire un po’ il suo partito nei sondaggi, ma così facendo rischia di far ballare i numeri della maggioranza.
No, non c’entrano né la Giustizia né l’omotransfobia. La vera Mission impossible dell’ex governatore della Bce è l’abolizione del Reddito di cittadinanza, vero scoglio sulla strada della ripresa e autentico spreco di Stato. Già, perché la misura che secondo i grillini doveva abolire la povertà, in realtà ha contribuito solo ad abolire un certo numero di posti di lavoro, spariti per consentire agli ex dipendenti di finire a ingrossare le fila dei lavoratori in nero.
Sì, lo so che l’occupazione è calata per effetto della pandemia, della crisi che ne è seguita, e per il fatto che molti esercizi commerciali sono stati costretti a chiudere e dunque a licenziare i propri dipendenti, soprattutto quelli con contratti a termine. Ma una volta passata l’emergenza e riaperte molte attività, quegli stessi lavoratori non si sono ripresentati al lavoro. O meglio: hanno risposto alla chiamata di titolari di ristoranti, bar e alberghi, ma chiedendo di poter lavorare in nero per non perdere il Reddito di cittadinanza.
Per rendersene conto, basta parlare con chi somministra alimenti e bevande o con chi gestisce una locanda. La maggior parte racconta di disperati tentativi di trovare personale. Un amico, proprietario di un hotel in una località di montagna della Lombardia, è stato costretto a rimettersi ai fornelli all’età di 73 anni perché non è riuscito a trovare un cuoco. Quelli che si presentano vogliono tutti lavorare, ma senza essere assunti, perché così uniscono il sussidio allo stipendio. Le stesse richieste che si è trovato davanti un altro amico, questa volta ristoratore ligure, il quale cerca camerieri, ma non li trova e quando li trova si sente proporre il patto che serve ad aggirare le regole.
Ciò che ho sentito con le mie orecchie è segnalato un po’ ovunque, dal Veneto alla Sicilia e parliamo sempre di bar, ristoranti e alberghi, cioè di settori dove la stagionalità ha un peso e il Reddito di cittadinanza è diventato per molti un introito fisso e sicuro che non si intende mollare neppure di fronte alla prospettiva di una regolare assunzione. Quando i grillini lo proposero, il sussidio aveva una finalità precisa, ovvero aiutare le persone rimaste senza occupazione e sostenerle fino a che ne avessero trovata un’altra. Infatti, al Reddito di cittadinanza dovevano affiancarsi i navigator, ovvero quella specie di consulenti inventati da Mimmo Parisi, il cow boy scovato da Luigi Di Maio nel profondo Sud degli Stati Uniti, i quali avrebbero dovuto orientare i disoccupati e percettori del sussidio verso nuovi lidi professionali.
In realtà, i navigator hanno navigato per un po’ nelle acque basse del pubblico impiego, senza cioè riuscire ad adempiere al proprio compito, precari a basso reddito, costati allo Stato qualche centinaio di milioni senza aver trovato lavoro a nessun altro che a sé stessi. Quanto ai percettori di Reddito di cittadinanza, non c’è procura d’Italia che non abbia scovato chi lo incassava illegalmente. Detenuti, mafiosi, ex brigatisti e semplici furbetti: da Caserta a Torino, passando per Bari e Firenze, le cronache sono piene di fascicoli aperti contro le truffe all’Inps. A Bologna hanno addirittura scoperto un gruppo di romeni che percepivano il Reddito di cittadinanza pur non essendo stabilmente residenti in Italia.
Insomma, che sia una misura sbagliata, che distorce non solo il mercato del lavoro, ma che alimenta ogni genere di raggiro è cosa ormai nota a cui un presidente del Consiglio che voglia far ripartire il Paese, eliminando inefficienze e sprechi, non può non mettere mano. Tuttavia, come dicevo, la sua è una Mission Impossible degna di Tom Cruise. Perché, dopo aver sacrificato in difesa della poltrona la Tav, il Tap, il Mes, la prescrizione, il divieto del triplo mandato, la restituzione dello stipendio, rinunciare anche al reddito di cittadinanza è davvero troppo.
Per di più, al momento i 5 Stelle resistono soprattutto al Sud, dove nel 2018 fecero man bassa riuscendo a espugnare collegi storicamente di sinistra. Le ragioni di un tale successo sono facilmente intuibili, anche perché nel Mezzogiorno si registra il maggior numero di richieste di reddito. Dunque, cancellare il sussidio equivale a cancellare parecchi voti, scendendo ancor più in basso nelle percentuali. Una cosa però mi pare certa. Comunque vada, uno dei primi provvedimenti che il Parlamento dovrà affrontare nella prossima legislatura sarà proprio il Reddito di cittadinanza. Il che non significa ripristinare la povertà (che a differenza di quanto annunciato da Di Maio dal balcone di Palazzo Chigi non è mai stata abolita), ma solo un po’ di normalità e, già che ci siamo, di legalità.
