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Quei 50 artisti troppo avanzati per il loro tempo

Quei 50 artisti troppo avanzati per il loro tempo

Erano eccentrici, originali e geniali. Quindi furono ignorati dai critici. Nel seguito del suo liibro di successo, Outsider 2, Alfredo Accatino restituisce la legittima grandezza a una cinquantina di outsider dal talento assoluto.


È notevole l’impresa di Alfredo Accatino di raccontare la storia di artisti geniali che non si trovano nei manuali di storia dell’arte. Dopo avere selezionato, in modo rapsodico, personaggi curiosi e bizzarri, soprattutto nell’ambito del decadentismo e delle avanguardie, in una prima serie, Accatino si spinge in Outsider 2 (Giunti editore), il seguito del suo libro di successo, a integrare la sua scelta secondo principi estremi e catastrofici: «Se dovessi definire una mappa degli autori parlerei di: Quelli che non ce l’hanno fatta. Quelli che ce l’hanno fatta e si sono distrutti. Quelli che potevano farcela e la storia li ha annientati. Quelli che erano troppo avanti o troppo diversi per poter essere assimilati. Quelli che sono rimasti soli».

C’erano disordine e sregolatezza nei primi outsider, fuori dalle regole per motivi diversi ma soprattutto stravaganti, originali. Tra gli italiani alcuni che, oggi, sono ritenuti maestri, come Cagnaccio di San Pietro, Gino Rossi, Rembrandt Bugatti, ma anche veri solitari, pur nelle esperienze di gruppo (nel caso, il movimento di Corrente), come Arnaldo Badodi. Un pittore di sensibilità estrema, afflitto da una naturale malinconia che si esprime in forme lacerate, con una pittura calda, di tocco, densa di umori. La pittura di Badodi è dominata dalla precarietà, in una visione intimistica. Nato nel 1913, muore di tifo in Russia nel ’43, a 30 anni. Nel suo dipinto Il suicidio del pittore si avverte il presagio di un destino ineluttabile: non è un’allucinazione, è una ossessione, se non una previsione.

Alfredo Accatino è affascinato dalle esistenze incompiute, disperate. Lo ispira una storia personale, entro cui si agita la sua inquietudine: quella del padre. «Enrico Accatino era mio padre e l’ho messo tra i miei outsider, alla fine, perché tutti gli altri posti erano occupati. Perché per tutta la vita ha voluto essere un artista, non fare l’artista, come se non ci fosse un domani. E l’ho capito dopo, ma l’ho compreso. Non condiviso, ma compreso sì». Accatino è stato uno dei tanti artisti solitari, ignorati dalla critica e dai mercanti, travolti dalla loro stessa incapacità di misurarsi con il mondo e di dare una risposta non richiesta, in quello spazio di libertà che è l’arte (fino a quando essa non viene ignorata e considerata irrilevante): gli esclusi, gli emarginati, i marginali. Alla fine, gli invisibili.

In alcuni casi è stato sufficiente aspettare. Il tempo ha restituito ad alcuni di questi artisti lo spazio che era stato loro negato. È il caso, oltre agli italiani, del lituano Mikalojus Konstantinas Ciurlionis, la cui forza espressiva nel primo decennio del secolo scorso, tra simbolismo e avanguardie, è pari alla musica di Skrjabin e di Mahler. Un’ansia di assoluto, il desiderio di sentire il palpito del mondo: «Vorrei scrivere una poesia sul mormorio delle onde, con il linguaggio segreto delle foreste millenarie, con il luccichio delle stelle, con le nostre canzoncine e con la mia tristezza infinita. Vorrei salire sulle vette più alte, irraggiungibili per i mortali». Oggi quel ruolo è riconosciuto a Ciurlionis.

Un altro revenant, tra gli outsider registrati da Accatino, è Adolf Wölfli. Guidato dalla follia, Wölfli dipinge la grammatica delle sue ossessioni, tra carcere e manicomio. Nessuno prima e meglio di lui aveva sondato l’inconscio. Rainer Maria Rilke scriverà: «Il caso di Wölfli farà scoprire nuovi assetti sull’origine della creatività perché la sua arte, dipendente dalla malattia, è in realtà uno sforzo di ritornare alla natura in una nuova, congruente, melodia». Migliaia di pagine di quaderni, come un diario dell’inconscio, disegni, collage, quaderni, composizioni musicali, per circa 25 mila pagine, dove l’ossessione si placa. André Breton, il padre del surrealismo, dichiarerà: «L’insieme della sua opera è una delle tre o quattro più importanti realizzazioni del Novecento».

La vera scoperta della prima ricognizione di Accatino è Dick Ket, dimenticato e isolato olandese che persegue un realismo magico fortemente analitico, variante della Nuova oggettività tedesca, tradotta nella dimensione visionaria, ossessiva, spavalda eppure antiretorica. Il suo realismo è carico di mistero, di simboli, di allusioni. È un realismo così radicale da farsi visionario, senza deformazioni, senza intepretazioni.

Nella nuova serie Accatino dà spazio ad artisti eccentrici, fuori anche dalle linee prevalenti dell’arte occidentale. È il caso del giapponese Harue Koga, che a inizio Novecento scopre l’arte occidentale, e anziché fare il monaco, come vorrebbe il padre, capo di un importante santuario, corre di nascosto al porto di Tokyo per comprare dai marinai le riviste europee, che legge e ritaglia. Ma anche di Eric Hebborn. Il re dei falsari della seconda metà del XX secolo, trovato morto a Roma in circostanze misteriose. Perché solleva chiaramente il tema del nostro tempo, tra vero, falso, verosimile. Ma nessuna ragione di merito o di censo induce Accatino a una gerarchia di giudizi e preferenze. Anche quando intercetta talenti veri come Hannah Höch, la più ragionevole dadaista, gli interessa metterla a confronto, senza rivalità, con altri solitari eccentrici. Ma la Höch è una capofila del movimento dadaista, l’unica donna inclusa nella prima fiera internazionale Dada.

I materiali utilizzati dalla Höch, sia pittorici che testuali, provenivano in parte da opuscoli tecnici e fotografie private, ma soprattutto da riviste illustrate. Molti dei suoi amici artisti lasciarono il Paese dopo la presa di potere dei nazisti, ma Hanna, pur essendo stata bollata come «culturalmente bolscevica» e nonostante il divieto di esporre, rimase in Germania in un sorta di autoemarginazione. Rischiando la vita, nella sua casa di Berlino, realizzò l’archivio dell’opera dei dadaisti. Una impresa fondamentale che rese possibile la scoperta di questo gruppo dopo la fine della Seconda guerra mondiale.

Accatino fa lentamente coincidere le sue predilezioni con una storia dell’arte da riscrivere. Sara allora il tempo di Pietro Ghizzardi, Antonio Ligabue, Gianfilippo Usellini, Lorenzo Alessandri, Astolfo de Maria, Pietro Gaudenzi, Enrico Colombotto Rosso, Gustavo Foppiani, Riccardo Tommasi Ferroni, Carlo Guarienti, Arturo Nathan e tanti altri, rimossi e dimenticati.

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