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Il dottor Sottile e quei 30.000 italiani

Il dottor Sottile e quei 30.000 italiani

L’editoriale del direttore

L’ultimo rapporto del centro studi Livatino rivela che, dal 1992 al 2020, 29.452 italiani sono stati sottoposti a ingiusta detenzione. E pensare che Piercamillo Davigo, da poco pensionato dopo una vita in magistratura, sosteneva che «non esistono innocenti, ma solo colpevoli non ancora scoperti».


Ai tempi di Mani pulite lo definirono il dottor Sottile del pool, per quel suo modo di trovare il cavillo che consentisse l’azione giudiziaria. Ma a dire il vero, di sottile Piercamillo Davigo, da poco pensionato dopo una vita in magistratura, ha poco. Basta leggere le sue grossolane dichiarazioni rese dal 1992 a oggi per rendersene conto. La più famosa resta «Rivolteremo l’Italia come un calzino», che non pare la missione di un pm, ma quella di un politico. La più incredibile, tuttavia, rimane quella in cui diede dei criminali a tutti gli italiani: «Non esistono innocenti, ma solo colpevoli non ancora scoperti».

Il florilegio non offre che l’imbarazzo della scelta. Una volta disse che all’estero ci voleva coraggio per commettere un reato, mentre in Italia ce ne voleva per rimanere onesti. Un’altra raccontò di invidiare i professori universitari, perché erano pagati per fare domande a gente che non sa niente e che fa di tutto pur di dire qualcosa, mentre a lui toccava interrogare persone che sapevano tutto, ma che facevano il possibile per non dire neanche una parola.

Eh sì, perché nonostante l’aria arcigna e il tono da giustiziere della notte, anzi del tribunale, Davigo è spiritoso e ama fare battute. Soprattutto adora finire sui giornali e in tv, e infatti ci finiva spessissimo quando faceva il magistrato e adesso che è stato costretto ad appendere la toga al chiodo per sopraggiunti limiti di età (memorabile la sua battaglia per non lasciare il Csm nonostante fosse in pensione) è praticamente una presenza fissa sul Fatto quotidiano e su La7, divenuti ormai organi ufficiali del Davigo pensiero.

Le sue sono metafore sempre originali, come quella che usò per spiegare Mani pulite a una delegazione di giuristi francesi: «Abbiamo selezionato la specie dei corrotti, come i leoni che prendono le gazzelle più lente, come gli antibiotici che creano i ceppi resistenti agli antibiotici. È andata così. Se si interrompe la cura a metà, questi sono i risultati. E noi purtroppo abbiamo dovuto interrompere la cura a metà». Quale antibiotico avesse intenzione di usare l’allora pm è chiaro, perché, come disse, «nessuno viene messo dentro per farlo parlare: viene messo fuori se parla».

Chiaro il concetto? Per renderlo ancora più lampante aggiunse: «In Italia non ci sono troppi prigionieri, ci sono troppe poche prigioni». Un campione di giustizialismo, che probabilmente vede candidati alla galera ovunque e che, temo, incontrando una persona soppesi più che le sue qualità, quanti anni di detenzione meriti e quali reati le si potrebbero contestare.

Se ho ripercorso la filosofia giudiziaria dell’ex magistrato non è però per celebrarlo ora che è uscito di scena (anche se l’addio alla toga è stato accompagnato da un’inchiesta che lo vede indagato per rivelazione di atti coperti da segreto istruttorio), ma per le sue più recenti dichiarazioni durante un dibattito che, neanche a dirlo, si è svolto alla festa del Fatto quotidiano. Secondo l’ex pm, il quesito referendario proposto da radicali e leghisti sulla responsabilità civile dei magistrati sarebbe una colossale sciocchezza, perché in nessun Paese al mondo ci si può rivalere sui giudici per gli errori che hanno commesso.

In Italia si può citare in giudizio chiunque, a partire dal medico per finire ai giornalisti: non si capisce perché una sola categoria debba essere esentata dal rispondere dei propri errori, che spesso sono marchiani e che, a differenza di quelli di un idraulico, possono rovinare una vita, sbattendo in cella un innocente.

E se l’altra settimana, a Pistoia, mi sono fermato a un banchetto dei radicali e ho firmato i sei quesiti sulla giustizia, è perché ho letto l’ultimo rapporto del centro studi Livatino. Forse alcuni lettori conoscono questo istituto, ma per chi non lo sa mi limito a dire che porta il nome di un giovane magistrato che 31 anni fa fu assassinato dalla mafia, il solo che sia venerato come beato dalla Chiesa cattolica (la proclamazione è avvenuta il 9 maggio di quest’anno, nella cattedrale di Agrigento, su autorizzazione di Papa Francesco). Ma che dice la ricerca dell’organismo che si ispira al martire con la toga? Che dal 1992 al 2020 – guarda caso l’anno coincide con l’inizio di Mani pulite, cioè dell’inchiesta che Davigo rivendica con orgoglio – 29.452 italiani sono stati sottoposti a ingiusta detenzione.

In pratica, in Italia, da 29 anni a questa parte ogni 12 mesi finiscono in cella 1.015 italiani innocenti, all’incirca tre al giorno. Queste persone, che vengono strappate all’affetto dei loro cari senza avere colpa, spesso, oltre alla famiglia, perdono la reputazione, il lavoro e i propri beni, riuscendo con fatica, una volta scarcerati, a tornare a una vita normale. A parte questo, che pure non è poco, per risarcire chi è stato ingiustamente incarcerato lo Stato in 29 anni ha pagato quasi 800 milioni di euro. Una cifra mostruosa, limitata dal fatto che, per legge, nessun cittadino può essere risarcito con più di 500 mila euro.

Siete stati in galera sette anni, avete perso moglie e pure azienda? Al massimo lo Stato vi liquida con mezzo milione, come se una cifra del genere bastasse a restituire sette anni di vita, la famiglia che si è sfasciata e pure l’attività che siete stati costretti a chiudere. Non cito a caso sette anni, perché ricordo la storia di un poveraccio che ha avuto il solo torto di essersi trovato a uno svincolo autostradale su un’automobile rossa uguale a quella di un trafficante di droga. Trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, senza un solo grammo di cocaina in tasca, gli costò sette anni, che scontò per intero prima che il suo avvocato riuscisse a convincere un giudice dell’errore.

Ecco, il Davigo che sostiene l’inesistenza di innocenti, ma solo di colpevoli che non sono stati scoperti e dice che in nessun Paese al mondo i magistrati vengono chiamati a rispondere dei loro errori, io non lo vorrei vedere alla festa del Fatto quotidiano fra tanti giustizialisti che lo applaudono. Lo vorrei vedere in un dibattito con quei quasi 30.000 italiani ingiustamente incarcerati. Lo spieghi a loro che le toghe debbono rimanere impunite anche se sbagliano e poi vedremo.

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