Sarebbe bene che i test fossero la regola, cioè costassero poco e fossero una pratica semplice da fare in ogni farmacia. E anche a casa, da soli.
Martedì scorso sul telefono mi è comparso un messaggio del Servizio sanitario nazionale. Senza dirmi né dove né quando, mi avvisava di essere entrato in contatto con una persona positiva al Covid e dunque mi sollecitava a mettermi in quarantena per 10 giorni, connettendomi a un sito internet tramite una password. Siccome ero da solo in ufficio e dovevo scrivere e correggere alcune pagine di Panorama, nonostante l’avviso ho continuato a fare il mio lavoro.
Un’ora dopo, un secondo messaggio mi segnalava che non mi ero ancora connesso al sito e mi sollecitava a farlo, aggiungendo una serie di ammonimenti. Così, mi sono rassegnato e ho cliccato sul link indicato, ho messo la password che mi era stata inviata e ho risposto a tutti i quesiti che mi venivano sottoposti, precisando di essere già stato vaccinato con doppia dose. Alla fine, ecco spuntare un nuovo messaggio: non ero più tenuto a mettermi in quarantena per 10 giorni, ma dovevo sottopormi a un tampone. Il tono non ammetteva repliche e perciò ho deciso di andare alla farmacia all’angolo e di mettermi in fila per il test. Un quarto d’ora dopo avevo il responso: negativo. Così, mi sono messo alle spalle la faccenda e sono tornato in redazione, a lavorare.
Questione chiusa? Niente affatto. Verso sera ho ricevuto una telefonata da un numero sconosciuto: un tizio che si è presentato come un addetto del Servizio sanitario nazionale prima mi ha chiesto se avessi fatto il tampone a cui mi era stato chiesto di sottopormi e poi dove fossi in quel momento. Ho risposto che sì, avevo fatto il test, era risultato negativo e quanto a dove fossi, non avendo nulla da nascondere, ho detto che stavo a casa mia. Alla fine, il tizio mi ha ringraziato e salutato. Vi state chiedendo se sono stato vittima di un raggiro, di uno di quei tanti trabocchetti con cui ti costringono a fornire informazioni riservate, coperte dalla privacy oppure si informano se siete a casa o in vacanza? Niente di tutto questo.
Il Servizio sanitario in questione era quello inglese e il tizio che mi ha chiamato era un funzionario pubblico che stava facendo il proprio mestiere, tracciando le persone che erano entrate potenzialmente in contatto con un positivo al Covid. Nei miei quattro giorni in Gran Bretagna, evidentemente avevo incrociato qualcuno che poi era risultato contagiato e gli uomini del Servizio sanitario si davano da fare per evitare che le persone che avevano incrociato il malato diventassero involontari untori.
Dopo aver parlato con il funzionario inglese e riagganciato il telefono, tra me e me ho pensato: chissà quante volte, in questo anno e mezzo, ho incontrato persone che poi si sono rivelate positive. Tuttavia, mai nessun addetto del ministero guidato da Roberto Speranza mi ha mai chiamato. Da noi si sono inventati l’app Immuni, che ogni italiano avrebbe dovuto scaricarsi, ma quelli che lo hanno fatto si sono accorti subito che non serviva a nulla, perché non segnalava alcunché. Il governo di Boris Johnson invece non si è inventato niente: semplicemente ha fatto uso dei vecchi sms e delle ancor più anti diluviane telefonate, chiamando chiunque fosse ritenuto potenzialmente a rischio.
Non solo: in un anno e mezzo, è capitato che mia figlia, la quale vive in Inghilterra, andasse e venisse più volte da Londra, costretta dunque a mettersi in quarantena perché i vaccini ancora non erano disponibili. Beh, ogni volta che è tornata in Italia si è dovuta chiudere in casa per due settimane e la sua clausura era volontaria, cioè non sottoposta ad alcun controllo. In Gran Bretagna no. L’isolamento era controllato, perché non solo la chiamavano al telefono per verificare dove fosse in quel momento, ma ogni due giorni un poliziotto suonava senza preavviso alla porta di casa per essere certo che rispettasse il periodo di quarantena. Insomma, i controlli e pure l’isolamento erano una cosa seria, non affidata al caso e neppure alla buona volontà delle persone.
Aggiungo di più, a Londra e dintorni non esiste il green pass, l’unica regola che vige è il tampone. Se arrivi nel Paese non devi esibire un certificato vaccinale, ti devi sottoporre a un controllo, perché il tampone, secondo gli inglesi, è la sola cosa che può dimostrare che non sei malato e non sei contagioso. Sbagliano i sudditi di sua Maestà o sbagliamo noi, a non tracciare i positivi e le persone che sono entrate in contatto con chi è infetto e a confidare solo nel passaporto «verde»? Non lo so.
So però una cosa, e cioè che a prescindere dai green pass e dalle regole un po’ assurde che impongono il certificato sui treni (solo se sono ad alta velocità) e nei musei (ma non in chiesa), io vorrei che i tamponi fossero la regola, cioè costassero poco e fossero dunque una pratica semplice da fare in ogni farmacia e anche, proprio come accade in Gran Bretagna, a casa, da soli, per assicurarsi di non essere positivi e poter continuare una vita normale. In Inghilterra le scuole forniscono ai propri studenti appositi kit per farsi il test. Da noi si sono preferiti i banchi a rotelle. Ho il sospetto che a qualche funzionario del nostro ministero dell’Istruzione manchi qualche rotella.
