L’ex presidente della Bce ha la la possibilità di chiudere una stagione di follia per aprirne una di buonsenso.
Parecchi anni fa, quando era governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi mi fece un discorso su ciò che, secondo lui, era indispensabile fare per l’Italia. Eravamo nel suo ufficio di Palazzo Koch, senza che vi fosse un portavoce o qualche altro consigliere. L’elenco di cose necessarie è quello che sappiamo tutti da secoli: la riforma della giustizia civile, quella dell’istruzione, le modifiche al mercato del lavoro per renderlo flessibile, i tagli alla burocrazia. Insomma, nulla di trascendentale, ma tutto di grande buonsenso.
A un certo punto, mentre eravamo seduti sul divanetto, Draghi però aggiunse un’osservazione. «Per fare questo» disse «ci vorrebbe un politico che non fosse condizionato dal consenso». Tradotto: servirebbe qualcuno che non pensi alle elezioni e non speri di capitalizzare le sue decisioni al più presto. «Qualcuno» continuò il governatore «che fa quello che serve e poi esca di scena, senza null’altro a pretendere». Io, dopo averlo ascoltato, gli dissi: «Mario, fallo tu. Un politico che non pensi ai voti non c’è, ma un civil servant che abbia voglia di impegnarsi per il Paese c’è: sei tu». Draghi scosse la testa e cominciò a dire: «No, no». «Non sono adatto» mi spiegò. «Per fare una cosa del genere sono necessari i numeri in Parlamento, cioè bisogna avere il supporto delle forze politiche. E mi ci vedi a negoziare con questo e con quello?».
Il discorso si chiuse lì, ma io uscii dalla sede della Banca d’Italia con la certezza che il governatore stesse pensando a un suo ruolo politico e che prima o poi la questione si sarebbe riproposta. Da allora è passato del tempo e Draghi ha lasciato il posto di governatore per assumere la presidenza della Bce, ossia della Banca centrale europea. Tuttavia, ogni volta che ho avuto occasione di parlare con lui ho sempre colto una sensibilità verso la situazione politica italiana. Dal suo ufficio di Francoforte, a me pareva che Mario tenesse un occhio attento sui fatti di casa nostra, badando a quello che facevano Silvio Berlusconi, Matteo Renzi, Matteo Salvini, i Cinque stelle.
Nel corso degli anni non ha mai smesso di interessarsi a ciò che succedeva in Italia, cercando di capire le possibili evoluzioni dei partiti. A volte mi pareva in cerca di notizie o di chiavi di interpretazione. Non voleva sapere come andavano le imprese o le banche: quello lo sapeva benissimo e non aveva bisogno di qualcuno che gli fornisse informazioni di seconda mano. No, Draghi voleva conoscere che cosa avesse in mente il Cavaliere e quanto contassero Salvini e Meloni e, da ultimo, che cosa stesse combinando Giuseppe Conte.
Personalmente, ho sempre ritenuto che in testa avesse il Quirinale. Dopo l’esperienza della Banca centrale europea, pur avendo la possibilità di accasarsi ottimamente nel board di qualche istituzione finanziaria o di incassare lauti emolumenti come consigliere di questo o quel Paese – per intenderci quello che fa Romano Prodi – credevo che avesse in testa altro. Ho sempre pensato che i suoi modelli fossero Luigi Einaudi e Carlo Azeglio Ciampi, che da governatori conclusero la carriera divenendo presidenti della Repubblica.
Ecco, credo che Draghi punti ad arrivare al Quirinale e che la variabile di accettare un incarico da premier, all’inizio non l’avesse neppure presa in considerazione, proprio per quel ragionamento che mi fece anni fa, a proposito dell’instabilità delle forze politiche. Ma forse la situazione attuale lo ha indotto a cambiare opinione: oggi i partiti sono un’accozzaglia di interessi senza capo né coda, dove ognuno dice la sua e pensa a se stesso, ma sono anche deboli e dunque incapaci di dettare una linea. In più, la maggioranza di quelli che siedono in Parlamento rifugge dalle elezioni come dalla peste, perché in molti sanno che con il voto finirà la pacchia e si dovranno trovare un lavoro.
Dunque, l’ex governatore ha a disposizione il tempo necessario per fare ciò che serve, riformare la pubblica amministrazione, la giustizia, investire dove serve, migliorare l’istruzione. E, oltre ad avere il tempo, ha anche i soldi. Liberati dal problema di rispettare i parametri imposti dall’Europa, oggi si può fare debito, purché il debito sia buono e non quello inutile dei sussidi, del reddito di cittadinanza e di tutte le altre bubbole che si sono inventati i Cinque stelle.
Draghi ha cioè la possibilità di far finire un’epoca, di chiudere una stagione di follia per aprirne una di buonsenso. Nessuno gli chiede di fare miracoli, ma di fare le cose necessarie. Anni fa mi spiegò che spesso, nel nostro Paese, i progetti non vanno avanti perché nei ministeri ci sono dieci burocrati che difendono il loro orto, ossia il loro potere personale. Beh, è arrivato il momento di mandare questi funzionari in pensione, giovani o vecchi che siano, perché l’Italia ha bisogno di ritornare a correre. Dopo, se vorrà, Draghi si potrà anche riposare sul Colle.
