La strage del Mottarone, insieme alle altre, è la rappresentazione di un’Italia che, per ragioni economiche, viola le principali norme di sicurezza.
Un filo rosso sangue lega la strage del Mottarone, dove 14 persone sono morte a causa della disattivazione dei freni che dovevano impedire alla cabina della funivia di correre all’indietro, e la morte di Luana D’Orazio, la giovanissima operaia di Prato risucchiata da un orditoio di una fabbrica tessile. Il filo rosso si chiama manutenzione, una parola che ricorre spesso nelle cronache dei disastri.
Bisognava far funzionare la funivia, senza fermare l’impianto per i controlli necessari a metterlo in sicurezza. Dunque, qualcuno – il titolare della concessione, il tecnico addetto alle verifiche, l’operaio incaricato di azionare il sistema: le responsabilità le verificherà la magistratura – ha deciso di mettere i forchettoni, cioè un dispositivo che impedisse ai freni di fare il loro mestiere: frenare. Così sono morti in 14, perché il sistema di sicurezza era disabilitato.
Da ciò che si è capito, anche Luana, 22 anni e un figlio da crescere, è stata stritolata perché qualcuno ha disattivato la saracinesca che doveva evitare alla ragazza di entrare in contatto con gli ingranaggi. La procura ipotizza una manomissione del macchinario: forse bisognava fare in fretta, evitando il fermo dell’attività e così la saracinesca è rimasta alzata e si è portava via la vita di quella che era poco più di una bambina.
La storia, con il suo filo rosso di manomissioni e mancate manutenzioni, si può ripetere uguale in mille altri casi. Il Ponte Morandi è venuto giù perché, nonostante le verifiche fatte sulla struttura, non c’era tempo di bloccare l’autostrada, chiudere il traffico e realizzare gli interventi necessari. Sul Mottarone il titolare non voleva fermare la funivia perché non avrebbe incassato il biglietto dei turisti. Sul Ponte Morandi non si poteva lavorare perché, con lo stop alla circolazione, la società non avrebbe potuto pretendere il pagamento del pedaggio. E Luana? Anche in questo caso, lasciare abbassata la saracinesca probabilmente avrebbe fatto perdere tempo e fatturato. La storia dei disastri da mancata manutenzione, da violazione delle norme di sicurezza, può continuare con decine di altri esempi.
Il bus finito giù da un viadotto sulla Napoli-Canosa, un incidente in cui 40 persone persero la vita, non era in grado di viaggiare e quando si ruppero i freni precipitò, sfondando le barriere dell’autostrada, che per risparmiare non erano nelle condizioni di reggere l’urto. E il disastro ferroviario di Pioltello, Milano, in cui perirono tre persone e 46 rimasero ferite? Per il deragliamento dovuto alla rottura di un giunto riparato con una tavoletta di legno, la procura ha di recente chiesto il rinvio a giudizio di una serie di manager di Rfi, la società che gestisce la rete su cui corrono i treni. «L’incidente era prevedibile ed evitabile, se solo si fossero prese in seria considerazione le segnalazioni degli addetti alla manutenzione. E se non vi fosse stata una lunga serie di “omissioni” nella sicurezza, che avevano solo il fine di risparmiare».
Ecco, si torna sempre lì, a un’Italia in manutenzione, dove per ragioni economiche, di interesse, sia che si tratti di aziende pubbliche, sia che l’impresa abbia una gestione familiare come quella della funivia del Mottarone o la fabbrica tessile in cui è morta Luana, si va al risparmio. Anzi, alla violazione delle principali norme di sicurezza. Abbiamo migliaia di leggi e direttive che impongono misure di tutela e interventi di manutenzione. Tuttavia, nessuno le rispetta: sono talmente tante, infatti, che non ci sono nemmeno le persone per fare i controlli. E quando le cronache devono registrare l’ennesimo disastro, si scopre che a mancare sono state la sorveglianza e le verifiche che lo Stato dovrebbe fare.
La strage di Mottarone, insieme alle altre che periodicamente dobbiamo raccontare, sono la rappresentazione di un Paese che sulla carta vuole regolare tutto e tutto controlla, ma nella pratica non è in grado di verificare neppure se i tiranti del Ponte Morandi, dopo mezzo secolo, sono ancora sicuri e se la fune della cabinovia è danneggiata oppure no. Certo, c’è un comportamento criminale di manager e imprenditori, di quella che in una copertina di Panorama abbiamo definito la «Razza predona», pronta a sacrificare qualsiasi cosa, anche la vita degli altri, pur di realizzare il massimo profitto.
Ma c’è anche uno Stato in disarmo, che non sa mantenere strade e ponti, treni e funivie e non sa imporre regole di sicurezza sul lavoro. Di Luana si è parlato a lungo perché era una bella ragazza e aveva un figlio piccolo da mantenere, ma di tutti gli altri che sono morti per una saracinesca alzata o un dispositivo disattivato si parla al massimo nell’aula di un tribunale.
Questo numero di Panorama dedica provocatoriamente la copertina a Francesco Paolo Figliuolo, con il titolo Vogliamo i generali, non perché ci piacciano le giunte militari o i colpi di Stato (si tranquillizzi Michela Murgia, che dice di provare disagio nel vedere la divisa del commissario all’emergenza Covid), ma perché ci piacciono l’ordine, il rispetto delle regole, l’efficienza dello Stato, la manutenzione del Paese. Sia che si tratti di strade che di salute. Sì, vogliamo i generali, nella speranza che sappiano mettere fine alla Repubblica dei criminali.
