Ztl sempre più estese, ticket d’accesso sempre più costosi, guerra ideologica a tutti i motori che non sono elettrici. Ma traffico e qualità dell’aria non migliorano. Da Milano a Roma, da Firenze a Torino, viaggio nel girone infernale della mobilità.
C’è un «nemico» famigerato nelle grandi città a cui i sindaci, soprattutto della sinistra, hanno dichiarato guerra. È l’auto. Chi non è proprietario di un veicolo elettrico, ibrido o di ultimissima generazione è tagliato fuori, spinto ai margini dei nuclei urbani, in qualche modo ghettizzato. L’ossessione ambientalista sta creando un’inedita forma di emarginazione. Vittima principale è il ceto medio, già impoverito dall’inflazione. Ecco che per macchine anche con pochi anni di vita il destino segnato è quello dello sfasciacarrozze. Chi vuole circolare a Milano, Torino, Firenze, Roma, deve disporre di almeno 25-35 mila euro, ovvero il costo medio della più piccola utilitaria ecologica. Ma chi può poi permettersi questa spesa? Gli stipendi medi si aggirano sui 1.500 euro al mese. Quanto a precari e pensionati: può mai un settantenne affrontare un simile investimento, quando la sua priorità è avere risparmi disponibili per imprevisti della salute? In questo caso, però, gli saranno precluse attività ricreative e culturali – che di solito si concentrano in centro città – a meno di non accettare di barcamenare tra taxi introvabili o mezzi pubblici altrettanto scarsi e inaffidabili.
Un disagio concreto a fronte comunque dell’obbligo di continuare a pagare la tassa di possesso pur avendo una vettura «a mezzo servizio». Nelle Ztl di metropoli come Milano e Roma non si muovono soltanto le «sciure», le signore che fanno shopping, o i turisti. Ogni giorno i varchi sono attraversati da decine di migliaia di persone che raggiungono il posto di lavoro o svolgono servizi. Tra loro ci sono i «nuovi poveri», gli emarginati della transizione ecologica. «Le Ztl stanno allargando le fratture sociali» sintetizza Enrico Vizza, segretario generale della Uil Lombardia.
Invariabilmente, la giustificazione di questi provvedimenti è: servono a migliorare condizione ambientale. Ma davvero l’aria risulta più pulita? Uno studio dell’Istituto di bio-economia del Cnr, pubblicato sul media online Environmental Pollution, ha esaminato l’impatto del traffico stradale sulla qualità dell’aria in diverse città italiane (Milano, Bologna, Firenze, Roma, Napoli e Palermo) durante il lockdown da Covid. È stata registrata una riduzione dei livelli di biossido di azoto ma non della concentrazione di polveri sottili, le più pericolose per la salute, mentre l’ozono (gas altamente tossico che può causare anche edema polmonare) è addirittura aumentato. In particolare per Roma, dalla comparazione delle analisi del Cnr, il Consiglio nazionale delle ricerche, dell’Arpa, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale, dell’Agenzia europea per l’ambiente, relative ai tre mesi di lockdown nel 2020 confrontati con gli stessi mesi del 2016 e 2019, si evidenzia che le polveri sottili Pm10 sono diminuite solo del 9 per cento mentre per quelle Pm2,5 che sono le più tossiche, c’è stato addirittura un aumento del 3 per cento.
Quanto all’Ozono03, altamente dannoso, è salito del 7 per cento in area urbana e del 15 per cento in area suburbana. C’è una spiegazione scientifica per questo fenomeno, che è comunque una realtà. I dati Aci relativi alla città metropolitana di Roma rilevano che i veicoli commerciali più inquinati (da Euro 0 a Euro 3) sono ben il 47 per cento mentre quelli privati solo il 26 per cento. Il Cnr ha sempre sottolineato «la natura complessa che caratterizza l’inquinamento atmosferico anche nel momento in cui una delle principali fonti emissive è isolata e controllata». Un’analisi non contestata, che ha effettuato Il Sole 24 Ore sui dati forniti dal Parlamento europeo insieme a quelli dell’European environment agency e dell’International energy agency, segnala che la CO2 emessa dalle vetture europee è l’1 per cento del totale. Una quota limitatissima, irrisoria. Nonostante ciò, le amministrazioni comunali procedono a testa bassa, come se dal controllo di riduzioni e traffico dipendesse la fine del mondo.
A Milano, la giunta comunale continua a sfornare nuove regole. Dal 30 ottobre, il ticket per l’ingresso in Area C, il centro storico, passerà dai 5 euro attuali a 7,5 euro. E da gennaio sarà esteso anche nei fine settimana. Dal 1° ottobre i veicoli dei residenti a gasolio Euro 4 e 5, e a benzina Euro 2, hanno diritto a 25 giornate di accesso in Area B, che per i non residenti scendono a 5. L’Area B è la più estesa Ztl d’Italia, con 128,29 chilometri quadrati di superficie, pari al 72 per cento dell’intero territorio comunale. Eppure, a dispetto dei divieti, si è creata una situazione paradossale: le auto in Area B sono aumentate. In corso Buenos Aires, una delle arterie di accesso alla città, la corsia ristretta per far posto alle piste ciclabili provoca regolarmente ingorghi. E vale anche per altre strade, come via Marghera. «Con maggiore traffico sale anche l’inquinamento» commenta il coordinatore milanese della Lega Stefano Bolognini, che a novembre 2022 era alla manifestazione di protesta davanti a Palazzo Marino.
Stando ai dati del Comune, nel 2022, con 9 mesi su 12 ad accesso libero (lo stop è scattato da ottobre) gli ingressi nella zona sono stati in media 630 mila al giorno mentre da gennaio a luglio 2023 (con i divieti operativi), secondo i dati in possesso del consigliere di maggioranza, il Verde Carlo Monguzzi, gli ingressi quotidiani sono stati circa 632 mila. «È la dimostrazione che l’Area B non è un freno» ammette Monguzzi. Il sindacalista Uil Enrico Vizza, sottolinea che i cambiamenti continui disorientano i cittadini: «Prima i parcheggi limitrofi erano stati inclusi nell’Area B e non si potevano usare. Poi sono stati “riperimetrati” e lasciati al di fuori di essa. Significa che l’obiettivo primario dei provvedimenti è fare cassa». È notizia dei primi di ottobre che il «parlamentino» del Municipio 1, il centro storico, si è espresso per chiudere completamente al traffico, residenti esclusi, la zona entro la fine del 2024. Il Comune, spiazzato, ha preso tempo…
Le proibizioni spingono, parallelamente, il mercato dell’usato, veicoli con pochi anni di vita. Per chi non può permettersi una vettura di nuova generazione, e deve comunque circolare in città, il «second hand» diventa obbligato. A Milano, nei primi otto mesi 2023, l’Aci ha registrato una crescita di questo settore del 3,1 per cento rispetto allo stesso periodo del 2022, con 81.780 passaggi di proprietà. In ambito lombardo l’incremento è stato addirittura del 7 per cento. «C’è ancora diffidenza verso le nuove alimentazioni e l’usato è più disponibile oltre a essere più economico» affermano al centro studi dell’Aci. Nonostante i blocchi, non decolla l’acquisto di auto elettriche e resta ferma la sostituzione di quelle in circolazione. Secondo le rilevazioni a livello nazionale fatte a settembre dal Centro studi Promotor, il bilancio delle immatricolazioni rispetto al 2019 segna un – 19,8 per cento. La vendita delle elettriche è addirittura scesa del 2,2 per cento. «Abbiamo sempre più auto e sempre più vecchie» commenta il presidente del Centro Studi, Gian Primo Quagliano.
Avanti tutta con l’espansione della Ztl anche a Roma. La città è nel caos tra annunci, proroghe e ipotesi di misure alternative. Il sindaco Pd, Roberto Gualtieri, continua a fissare nuovi blocchi, come quello del prossimo primo novembre, sottoposto però al via libera della Regione Lazio. Certo è che il 2024 sarà un anno-capestro per i diesel Euro 4 e gli Euro 3 a benzina in un’area, la nuova Fascia Verde, che si allarga, in alcuni punti, fino al Grande raccordo anulare, con un’estensione di 205 chilometri quadrati, pari al 16 per cento del territorio urbano. Il perimetro verrà presidiato da 51 varchi elettronici pronti a far scattare le multe in automatico. Potranno circolare solo le auto elettriche, le ibride e le endotermiche di nuova generazione. Come conseguenza di tutto ciò, le proteste si moltiplicano. Il capogruppo municipale della Lega, Fabrizio Montanini e quello capitolino, Fabrizio Santori, hanno raccolto oltre 110 mila firme contro la delibera del sindaco. Comitati spontanei di cittadini contrari alle misure si sono costituiti ovunque in città. Il 21 ottobre saranno in piazza con un corteo di protesta e si attendono oltre 5 mila persone.
«NO ZTL» è tra i gruppi più attivi. Presieduto da Enrico Ingami, che di mestiere fa l’agente immobiliare, ha depositato una petizione popolare in Campidoglio con 31.337 firme. «Chiediamo il ritiro delibera della Fascia Verde» spiega. «Il prossimo passo sarà la discussione in aula consiliare e se la giunta continuerà ad andare avanti chiederemo il referendum civico». E incalza: «Roma vive di terziario, di professionisti costretti a spostarsi per lavoro e le restrizioni sono un suicido economico». Poi aggiunge che «secondo i dati dell’Arpa Lazio dal 2018 sono due volte sono stati superati i tetti dell’inquinamento atmosferico. La cosa assurda è che la delibera si basa sui dati Arpa del 2010». Entro il prossimo anno, circa mezzo milione di autoveicoli considerati inquinanti dovranno essere sostituiti con modelli ecologici. «Ma ammesso che all’improvviso i romani diventino ricchi da poter cambiare l’auto, ci saranno colonnine di ricarica per tutti coloro che possono scegliere l’elettrico?» ironizza Ingami. A Roma sono circa 1,8 milioni i mezzi circolanti (tra automobili, motocicli e camion), di cui 500 mila al di sotto dell’Euro 4, principali «indiziati» per l’inquinamento. Il Campidoglio si giustifica: le norme, sostiene, sono fatte per evitare sanzioni dell’Unione europea sugli sforamenti dei tetti dell’inquinamento. Bruxelles, però, prescrive di contenere le emissioni inquinanti e di predisporre un Piano con le misure da adottare fino al 2030, ma non indica alcuna modalità specifica. Ma a quanto pare i sindaci vogliono diventare campioni di ambientalismo. Con più di una contraddizione. A Roma continuano a circolare circa 200 autobus diesel Euro 3 che dovrebbero essere fermati entro dicembre.
La domanda scontata è se le nuove restrizioni alle auto saranno compensate dal potenziamento dei mezzi pubblici. Ad ora, una risposta è assai difficile. L’Atac ha un piano per il rinnovo della flotta ed entro il 2026 dovrebbero entrare in circolazione oltre 1.200 nuovi veicoli che prenderanno il posto di quelli obsoleti. Si tratta però di «sostituzione», non di «incremento». Il loro numero dipende da un contratto di servizio siglato con il Comune che per ora non prevede variazioni. A quanto pare l’amministrazione non si pone il problema che la l’area urbana, stretta fra divieti dell’amministrazione e necessità di chi ci vive, possa collassare. Vanno avanti anche altri primi cittadini, incuranti delle lementele dei loro amministrati. A Firenze è partito il 1° settembre lo stop ai diesel Euro 5. Lo scorso 1° giugno era entrato in vigore il divieto per i mezzi a gasolio immatricolati dal 2009 al 2011. E non finisce qui. Il protocollo del Comune di Firenze e della Regione Toscana, firmato a metà aprile, ha previsto ulteriori blocchi legati al monitoraggio dell’aria. Intanto le auto straniere ne approfittano per occupare gli spazi riservati ai fiorentini, sicuri di farla franca perché l’amministrazione comunale difficilmente riesce a riscuotere le multe. Inutili le proteste.
Più a nord, in Piemonte, all’interno di 76 comuni tra cui Torino, i diesel Euro 3 e Euro 4 non possono circolare dalle 8 alle 19. Tra queste e altre «interdizioni» sono 400 mila i veicoli bloccati. È dovuto intervenire il governo per far rinviare il divieto ai diesel Euro 5 al prossimo anno. Le Ztl non solo non riescono a far raggiungere gli obiettivi ecologici, come si è dimostrato, o addirittura hanno aumentato il traffico, ma rischiano di incentivare le demolizioni di auto vecchie. Un’attività molto inquinante se effettuata in modo incontrollato. Le cronache delle maggiori città sono affollate di casi di sfasciacarrozze sui quali sono intervenute le forze dell’ordine perché operavano senza il rispetto dei requisiti di sicurezza, per non parlare delle carcasse di auto incendiate che esalano fumi tossici. Se l’obiettivo è quello rappresentato nelle immagini di marketing delle città verdi, con alberi in fiore, uccellini che cinguettano, prati ben rasati e sorridenti ciclisti, la realtà è un’altra. I centri urbani rischiano di somigliare sempre più ai gironi danteschi. E l’auto è al centro di questa dannazione.
