Un Paese come l’Italia non può continuare ad avere il 42 per cento delle persone che pagano il 91 per cento delle tasse, con il 54 che dichiara redditi inferiori a 10 mila euro lordi l’anno.
Commentando il mio editoriale sul tema delle pensioni, Gianni Cemin, abbonato a Panorama da lungo tempo, mi ha scritto raccontandomi la sua storia. Operaio e poi impiegato, ha versato contributi per quarant’anni. Sua moglie, avendo fatto la mamma, di contributi ne ha accumulati molti meno e per raggiungere il minimo previdenziale ha dovuto pagare i cosiddetti versamenti volontari. Risultato, oggi la signora riceve un assegno che è inferiore a quello di chi ha la pensione sociale perché, sostiene Cemin, il reddito della consorte si cumula con il suo e dunque la moglie è esclusa dal beneficio di cui gode chi non ha nemmeno raggiunto il minimo contributivo.
A lui, ma anche a me, la faccenda sembra paradossale, perché in questo modo, invece di restituire sotto forma di assegno previdenziale ciò che un lavoratore ha pagato nel corso di una vita, si premia chi non è riuscito, in cinquant’anni, neppure a raggiungerne 15 di versamenti. Tutte persone sfortunate, che non sono state in grado di avere un rapporto di lavoro regolare, oppure tanti furbi che per anni sono riusciti a vivere una vita da evasore? Il sospetto è legittimo, soprattutto quando, come spiegavo nel mio editoriale della scorsa settimana, si scopre che su 16 milioni di trattamenti Inps, più di un terzo sono corrisposti a persone che non hanno una pensione coperta da contributi.
Nei giorni scorsi, Itinerari previdenziali, istituto di ricerca che studia le condizioni del nostro sistema pensionistico, ha presentato uno studio che mette in evidenza come a gravare sui conti dell’Inps non siano gli assegni di chi dopo una vita di sacrifici è uscito dal mercato del lavoro, ma l’assistenza concessa a coloro che non hanno maturato il diritto a riceverla. Infatti, mentre la spesa previdenziale è cresciuta negli ultimi anni del 17 per cento, ossia meno di quanto è aumentato il Pil, quella assistenziale ha avuto un balzo del 126 per cento. Oggi, a fronte di ogni pensionato, c’è quasi un lavoratore e mezzo attivo e il sistema risulta sostenibile. Ciò che rischia però di portarlo al tracollo sono i sussidi, ovvero gli assegni sociali concessi a coloro che non hanno pagato.
Nei giorni in cui veniva resa pubblica la ricerca di Itinerari previdenziali, sul Corriere della Sera sono stati pubblicati un paio di articoli che riguardavano proprio il tema dei molti italiani che non versano contributi e tasse. Rispondendo a un lettore che metteva a confronto il numero di italiani che afferma di vivere con redditi minimi e le cifre record delle vacanze di Natale, Aldo Cazzullo scriveva che circa 17 milioni di italiani, ossia il 41 per cento dei contribuenti, dichiara un reddito minore di 15 mila euro lordi l’anno, con una media di settemila, ben al di sotto della no tax area. Questo significa che la maggioranza dei nostri connazionali non paga le tasse: fruisce della sanità e dell’istruzione pubblica, del sistema di welfare e dei servizi che lo Stato mette a disposizione dei cittadini, ma senza versare un euro. E quando andrà in pensione, provate a immaginare che cosa succederà. La risposta è semplice: riceveranno l’assegno sociale e poi magari li ritroveremo in televisione, nei servizi dedicati alle persone che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese.
Anche Ferruccio De Bortoli, sempre sul Corriere della Sera, si è occupato di recente di chi non paga le tasse (e anche i contributi), segnalando che per ogni contribuente che versa un euro ce ne sono due che non pagano nulla. Rifaccio la domanda: secondo voi sono tutte persone sfortunate, che non riescono a ottenere neppure uno straccio di busta paga? Io non credo. Soprattutto, non penso che un Paese normale possa continuare ad avere il 42 per cento delle persone che pagano il 91 per cento delle tasse, con il 54 che dichiara redditi inferiori a 10 mila euro lordi l’anno.
Spesso sui giornali si parla di evasione fiscale e sicuramente ci sono i grandi evasori, multinazionali che trovano il modo di aggirare la legislazione per trasferire all’estero i guadagni o grandi truffatori che riescono a nascondere il proprio business all’Agenzia delle entrate. Tuttavia, io penso che ci sia una quantità di italiani che si dichiara povera e non lo è, continuando a percepire compensi e stipendi in nero che sfuggono ai controlli. Di sicuro, il reddito di cittadinanza non ha aiutato, perché ho la sensazione che molti abbiano deciso di incassare il sussidio e di farsi retribuire in contanti. Sarà un caso: ma da quando il governo Meloni ha annunciato l’abolizione del Reddito di cittadinanza, i posti di lavoro sono aumentati di alcune centinaia di migliaia di unità. Strano, ma vero.
