Un pensiero sulfureo, completamente libero dai conformismi, che si tratti di esercitarlo su un’egemonia culturale, su un maestro riconosciuto, sulle ipocrisie di un politico o sulle stupidità della religione… L’autore francese, ora celebrato da un’università siciliana, è al centro di un discorso in suo onore preparato per l’evento dal critico di Panorama. Che qui ne dà un’anticipazione.
Avete osservato che, invecchiando, Michel Houellebecq assomiglia a Gianna Nannini? La valutazione non è dispregiativa, né per l’una né per l’altro. Spiriti originali, fuori dalle regole, indifferenti al loro aspetto fisico volutamente disordinato. Vale la descrizione di Aurelio Picca: «Coi capelli strinciati, le dita ingiallite dal fumo, gli abiti gettati sul corpo come portasse un lacero pigiama, la sigaretta trattenuta tra il medio e l’anulare».
Titoli come Dispetto, affermazioni quali: «All’improvviso tutti si sono dimenticati della libertà e del diritto che ha ciascuno di noi di fare quello che vuole, quando e con chi vuole» sembrano consuonare con lo spirito dell’autore di Sottomissione. Sono due nichilisti euforici in cui il «cupio dissolvi» si risolve in un vitalismo radicale, ideologico ed erotico insieme. È singolare che il pensiero e le emozioni di Houellebecq abbiano la potenza dirompente che nel nostro tempo hanno solo le donne, rivendicando diritti e arbitri che sono stati solo degli uomini. Penso a Catherine Millet: «Nei suoi libri la sessualità è innocente, non è mai trasgressiva. In questo non mi sento molto lontano da Catherine Millet» afferma Houellebecq.
Siamo davanti a trasgressivi convinti e sereni, senza traumi, senza ribellioni, con assoluta naturalezza, sgualciti dalla vita. Il disordine è il loro ordine: un metodo. Il pensiero di Houellebecq è chiaro: «La letteratura non serve a niente. Se servisse a qualcosa, la marmaglia di estrema sinistra che ha monopolizzato il dibattito intellettuale durante tutto il XX secolo non sarebbe nemmeno potuta esistere. Per fortuna questo secolo si è concluso; è il momento di ritornare un’ultima volta (lo si può almeno sperare) sui misfatti degli “intellettuali di sinistra”… Marxisti, esistenzialisti, anarchici e gauchisti di ogni specie hanno potuto prosperare e infettare il mondo conosciuto proprio come se Dostoevskij non avesse mai scritto una riga. Hanno almeno apportato un’idea, un pensiero nuovo rispetto ai loro predecessori? Niente di niente. Secolo nullo, che non ha inventato nulla. Inoltre estremamente pomposo. Che amava porre con gravità le domande più stupide, del genere: “Si possono scrivere poesie dopo Auschwitz”?».
Fino a che punto si può arrivare nella dissacrazione! Fino a quale limite far prevalere la vita sulla forma? Fino a che limite «l’estensione del dominio della lotta»? È esilarante, in questo senso, il saggio su un mito di giovinezze romantiche e perdute: Jacques Prévert è un coglione. «Se Jacques Prévert è un cattivo poeta è soprattutto perché la sua visione del mondo è piatta, superficiale e falsa. Era già falsa ai suoi tempi. Oggi la sua nullità appare lampante al punto che la sua opera sembra un gigantesco luogo comune. Sul piano filosofico e politico è soprattutto un libertario, cioè fondamentalmente un imbecille… Se Prévert scrive significa che ha qualcosa da dire. Torna tutto in suo onore. Purtroppo ciò che ha da dire è di una stupidità senza limiti, talvolta nauseante».
Le affermazioni di Houellebecq sono così, disarmanti, disinibite, scatenate. Lo scrittore può dire ciò che vuole, non ha limiti. Si penserebbe a un decoro, a un freno. Non c’è. Houellebecq può scrivere che il presidente socialista François Hollande è «un insignificante opportunista occupante il posto di capo di Stato» e Manuel Valls, già primo ministro, è un «ritardato congenito». È giusto così. Pensate a Sartre, a Foucault, a Barthes. Non c’è rispetto per nulla. D’altra parte tutto è stato detto e pensato.
Michel Djerzinski, protagonista del romanzo Le particelle elementari, afferma che Auguste Comte fu l’unico a capire che «la religione è un’attività puramente sociale, basata sulla fissazione di riti, di regole e di cerimonie». Così Houellebecq si può permettere di dire, nonostante la merda che lo ha ricoperto, che Silvio Berlusconi ha ragione nel riconoscere la superiorità dell’Occidente: «Si dice subito che è da idioti classificare le civiltà secondo una scala di valori: no, non è da idioti. Ci si vuole dissuadere dal pensare che la civiltà occidentale possa essere superiore su certi punti; perciò essa si dissolve nel cinismo. Si è creduto a lungo che il bene delle generazioni future fosse una cosa importante».
Così si può permettere di dire: «La religione più stupida è l’Islam. La lettura del Corano lascia prostrati… prostrati». Dobbiamo fingere di scandalizzarci! È lo sguardo di intesa dell’amatissimo Charles Baudelaire: «Hypocrite lecteur, mon semblable, mon frère!» («Ipocrita lettore, mio simile, mio fratello!»). È euforico il gesto letterario di Houellebecq, euforica la sua parola, accesa, esaltata; ma intorno il corpo e il tempo sono vecchi: la senescenza è la nostra condizione; nostra, personale; nostra, della società in cui viviamo. È l’autunno del corpo ma anche delle idee.
È Baudelaire che rivive in Houellebecq: «La mia giovinezza non fu che una oscura tempesta, traversata qua e là da soli risplendenti; tuono e pioggia l’hanno talmente devastata che non rimane nel mio giardino altro che qualche fiore vermiglio. / Ecco, ho toccato ormai l’autunno delle idee».
