Nessuna diplomazia per i paradisi fiscali che gestiscono il patrimonio del terrorista. Anche a costo di usare i servizi segreti.
Articolo pubblicato il 4/10/2001
Come fermare Osama Bin Laden e la sua rete terroristica? Combattendolo su più fronti come ha ammonito George Bush: quello giudiziario, militare, politico, culturale, religioso, economico, finanziario. Ecco, quest’ ultimo aspetto è, a mio avviso, un punto nodale per la lotta al terrorismo. Bin Laden ha potuto agire grazie ai suoi soldi. Soldi che non tiene certo a Kabul. Li tiene, depositati o investiti, nelle banche dei soliti paradisi fiscali: Cipro, Panama, Isole Cayman ma soprattutto a Vaduz nel Liechtenstein, a Nassau nelle Bahamas e a Riyadh in Arabia Saudita. Per renderlo impotente bisogna scovare, sequestrare e bloccare le sue risorse finanziarie.
Come fare? Indagando su di lui, ovviamente, e su chi gli è stato e gli sta più vicino. Bisogna ricostruire la sua vita, individuare i suoi legami, i suoi amici, ripercorrere i luoghi che ha frequentato, analizzare le sue attività. Sembrano cose scontate, ma spesso è proprio su queste bucce di banana che inciampano gli investigatori; e il guaio è che ci inciampano non tanto per difetto (di investigazione, intendo dire) quanto per eccesso, immaginando, prima di averne le prove, soluzioni fantascientifiche e poi perdendo tempo e risorse per dimostrare l’indimostrabile (per rendercene conto basti pensare alla tragedia del mostro di Firenze trasformata in una telenovela o al sequestro di Aldo Moro che secondo alcuni bisognava risolvere ricorrendo alla cartomante).
Ecco, cominciamo allora con il ripulire la storia personale di Bin Laden dal romanzo che se ne è fatto. Negli anni Ottanta è stato un alleato degli Usa per fermare i sovietici in Afghanistan. Di più: l’ intera famiglia Bin Laden ha fatto fortuna proprio in America (ironia della sorte, in alcuni casi proprio facendo affari con la famiglia Bush). I suoi parenti e amici sono titolari di un impero economico. Da questi e su questi bisogna cominciare le indagini bancarie e finanziarie, per trovare il patrimonio di Bin Laden.
Insomma, appunterei le prime indagini in Arabia Saudita. È questo un paese davvero strano, con potentati finanziari e governanti reali che vanno a braccetto con gli Stati Uniti ma con l’ integralismo islamico nel cuore. Probabilmente è proprio da lì, oltre che dall’Iraq di Saddam Hussein, che partono i finanziamenti più cospicui e occulti a favore dei terroristi, magari sotto forma di donazioni ed elargizioni umanitarie e di beneficenza. Purtroppo manca una qualsiasi normativa sul controllo dei flussi di miliardi che entrano ed escono.
Eppure, le connessioni saudite di Bin Laden sono l’ inizio della catena dell’ indagine da cui non si può prescindere. Anche a costo di imporre con la forza della persuasione (politica, diplomatica, economica e militare) ai regnanti sauditi di rivedere e rendere più trasparente la propria legislazione societaria, bancaria e finanziaria interna. Cosa questa che solo gli Usa hanno la forza e la possibilità di fare. Il canale terminale della rete finanziaria di Bin Laden va invece ricercato in alcuni specifici paradisi fiscali, in particolare delle Bahamas e del Liechtenstein, ove vanno cercati i suoi collegamenti con esponenti della mafia russa (già, proprio di quella Russia tanto odiata e combattuta da Osama).
A Vaduz e a Nassau ancora oggi esistono e proliferano alcuni studi legali e fiduciari di comodo, conosciuti e conoscibilissimi (anch’io ho avuto modo di individuarli ai tempi di Mani pulite), che fanno da schermo impenetrabile alle più smaccate operazioni di riciclaggio del denaro proveniente dalla droga e destinato al commercio delle armi. Perché bisognerebbe indagare su costoro? Ma perché Bin Laden deve tutti i giorni comprare armi e munizioni e in Afghanistan l’unica cosa che ha a disposizione per farvi fronte è l’oppio e l’eroina. E perché la mafia russa? Perché è l’ unica organizzazione vicina territorialmente all’ Afghanistan in grado di fornire ogni tipo di armi a Bin Laden.
Che fare allora, in concreto? Bisogna setacciare e acquisire ogni documentazione esistente presso gli studi legali e finanziari sospetti con sede nei predetti paradisi fiscali, con operazioni non giudiziarie ma dei servizi segreti. Non è possibile, infatti, ricorrere alla magistratura di quei Paesi per avere regolari mandati perché è troppo ingessata da una legislazione di favore e di copertura, dovuta al fatto che quei paradisi fiscali si mantengono e ingrassano proprio e solo per questo particolare tipo di economia. Lo so, i puristi del diritto inorridiranno di fronte a questa proposta e anche a me, da ex magistrato, ripugna; ma, come ha detto il presidente degli Stati Uniti, siamo in guerra e questa guerra va combattuta anche con «armi non convenzionali».
Tra queste può e deve rientrarci l’apertura, anche forzata e occulta, dei forzieri e dei documenti depositati nei paradisi fiscali, al di là e al di fuori dei «conniventi» vincoli di legge di quei Paesi. D’ altronde, trattasi, per ammissione di Bush, di una «guerra sporca» e individuare e sequestrare la contabilità occulta degli «gnomi» (i fiduciari che operano nei «paradisi») è un atto necessitato per tagliare i rifornimenti economici ai terroristi. Ovviamente va reciso il cordone con alcuni rais del Medio Oriente (Saddam in testa) che consente a Bin Laden di armarsi e guerreggiare ed è necessaria una indagine mirata sulla compravendita di alcuni titoli nei giorni a cavallo della strage che potrebbe portare a scoprire il «terzo livello» dell’organizzazione (e magari, ed è probabile che così sia, individuando insospettabili magnati dell’odiato Occidente in combutta con i fondamentalisti di Bin Laden).
