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Come l’occidente può bloccare Putin

Come l’occidente può bloccare Putin

L’editoriale del direttore

O l’Occidente è in grado di fermare Putin, con le sanzioni o con le armi (ma non regalando mitragliatrici degli anni Sessanta), oppure l’unica concreta via per evitare una guerra che minaccia di insanguinare l’Europa nei prossimi anni è una trattativa.


Ho ritrovato un vecchio numero di Panorama con sbattuta in copertina la faccia del presidente russo. Il titolo era il seguente: «Enigma Putin. Quest’uomo è davvero il diavolo?». L’edizione porta la data del 26 ottobre 2016 e i temi trattati ruotavano intorno ai rapporti tesissimi fra Mosca e Occidente. L’articolo si apriva con le parole di Joe Biden, all’epoca vice presidente degli Stati Uniti. Alla Casa Bianca, Barack Obama era al suo secondo mandato e il numero due dell’America accusava lo zar del Cremlino di manipolare le elezioni presidenziali statunitensi, minacciando addirittura di reagire con un cyber-attacco. «È un dittatore, ma Vladimir Putin sa di che cosa siamo capaci» disse un furibondo Biden. Ad avercela con il leader russo però non era solo il futuro presidente. Boris Johnson, a quel tempo ministro degli Esteri di sua Maestà, lo definì «un tiranno manipolatore», mentre Madeleine Albright, già segretario di Stato americano con Bill Clinton, disse che era «un uomo davvero cattivo». Mosca aveva già annesso la Crimea e nel Donbass era in corso quella che in genere si definisce una guerra a bassa intensità, ma pur sempre una guerra, con migliaia di morti, e il mondo, come si vede, sapeva. L’inchiesta del nostro settimanale dava voce a diversi osservatori, tra i quali giornalisti, professori universitari, ex ambasciatori come Sergio Romano, che a Mosca assistette al crollo dell’Unione Sovietica. Beh, in quei servizi e in quelle opinioni pubblicate sei anni fa si possono rintracciare tutte le ragioni di ciò a cui stiamo assistendo ora. In particolare, mi hanno colpito le osservazioni di Romano, il quale all’epoca metteva in guardia da un’escalation che rischiava di scatenare una nuova guerra fredda. Anzi, secondo lui il nuovo conflitto fra Est e Ovest era già in atto ed egli avvertiva che quando si entra «nella fase del confronto militare e delle provocazioni reciproche i governi delegano ai militari, e il pericolo di un incidente esiste sempre». L’ex ambasciatore si riferiva in particolare all’attivismo della Nato. «Sta certamente sbagliando. E questo è il tipo di provocazione peggiore. In giugno è stata organizzata una grande esercitazione in Polonia con 30 mila uomini: si chiamava “Anaconda”, un serpente che stritola. Se decidiamo di presidiare una frontiera, seppure con un numero di soldati simbolico, il gesto rimane lo stesso».

Il senso del discorso era chiaro: occhio, che di questo passo, ci può scappare un incidente o, peggio, una guerra vera, non più solo «fredda», dove i nemici si guardano in cagnesco mostrando i muscoli. Ribadisco: si tratta di ragionamenti e osservazioni di sei anni fa. Putin, oltre ai muscoli, aveva già mostrato le armi, in Georgia, in Crimea e in Siria. Pressato al confine con l’Europa, con uno schieramento militare come quello raccontato da Romano, dava segni di nervosismo e se non voleva ripristinare l’impero russo, di certo aveva intenzione di espandere la propria sfera d’influenza. «A qualsiasi prezzo» spiegava Vittorio Emanuele Parsi, docente di relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano. I segnali di ciò che stava accadendo, a quali rischi noi europei stessimo andando incontro, di quanto fosse pericolosa la situazione e azzardato il progetto di estendere il perimetro della Nato, erano dunque già sotto gli occhi di tutti, America e Ue, diversi anni fa. E tuttavia non è stato fatto nulla, ma si sono ignorati anche i segnali successivi che avrebbero dovuto indurci a reagire, se non a cambiare strategia. Non so se quelle della Nato fossero davvero delle provocazioni, come le definisce Romano, ma con il senno di poi si può dire che l’Occidente stava scherzando con il fuoco e a pagarne il prezzo presto sarebbero stati dei civili incolpevoli. Forse un rinvio di certi progetti, come l’ingresso dell’Ucraina nel Patto atlantico, avrebbe contribuito a raffreddare gli animi, scongiurando una guerra sulla porta di casa. Di certo, pensare che a fermare le mire guerrafondaie di Putin bastino le sanzioni e le armi che i Paesi europei stanno facendo arrivare a Kiev per sostenere i volontari che lottano contro i russi, mi pare un’illusione. L’Ucraina può diventare il Vietnam o, meglio, l’Afghanistan, dello zar del Cremlino. Ma questo significa una guerriglia, con attentati e morti negli anni a venire, il tutto sempre sulla porta di casa.

Per tornare alla copertina di Panorama di sei anni fa, non so se Putin sia il diavolo. Posso dire che sta facendo di tutto per sembrarlo. Ma per fermare il diavolo o qualcuno che si sente tale non si può combattere la guerra per procura, svuotando gli arsenali di vecchi armamenti e farli arrivare per vie traverse a chi è sul campo. O l’Occidente è in grado di fermare Putin, con le sanzioni o con le armi (ma non regalando mitragliatrici degli anni Sessanta), oppure l’unica concreta via per evitare una guerra che minaccia di insanguinare l’Europa nei prossimi anni è una trattativa. La terza via è eliminare Putin con un colpo di Stato, ma probabilmente Biden, Johnson e Albright ci dovevano pensare anni fa, quando lo descrivevano come «un uomo davvero cattivo» e si dicevano capaci di qualsiasi cosa, cioè pronti. Forse sono stati distratti da altro, dalla cancel culture o dalla Brexit, sta di fatto che hanno lasciato che la Russia ci portasse sull’orlo dell’abisso.

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