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Cinque stelle comete

Cinque stelle comete

L’editoriale del direttore

Doveva essere un movimento anti sistema. Invece i suoi esponenti al sistema si sono adattati benissimo. Divenendone parte.


Che cosa resta del grillismo dopo l’ultima conversione sulla via di Mario Draghi? Praticamente nulla, perché il programma che un tempo era considerato irrinunciabile dagli aderenti al Movimento ha via via perso i pezzi e oggi si riduce a quasi niente. O, per lo meno, niente di diverso da quello che dicono tutti gli altri: l’ambiente, i giovani, l’Europa, lo sviluppo, la cultura, la ricerca scientifica e tecnica eccetera. Un bla bla che può essere condiviso a partire da sinistra per finire a destra.

Chi può realisticamente dichiararsi contro l’ambiente sostenendo un programma che punti ad aumentare le emissioni di CO2? E c’è forse qualcuno che osi sfidare l’opinione pubblica sostenendo che si devono penalizzare i giovani e che è indispensabile ignorare la cultura, oppure ridurre la ricerca scientifica e tecnica? La realtà è che il grillismo ha lasciato campo al luogo comunismo, una melassa di buoni propositi, tutti assolutamente condivisibili, ma proprio per questo semplici intenzioni che non impegnano nessuno. Come quei vestiti di colore indefinito, che stanno bene su tutto e che possono adattarsi a qualsiasi occasione, matrimoni e funerali.

Lo sviluppo sostenibile (ma chi mai potrebbe presentarsi dicendo di volere lo sviluppo insostenibile? Sarebbe come se qualcuno, invece di promuovere la lotta all’evasione, annunciasse di voler aumentare il numero di evasori) ha preso il posto della decrescita felice. Ve la ricordate? Era uno dei cardini del programma di Beppe Grillo, il quale agli esordi immaginava un mondo sempre meno attento ai consumi, ma più concentrato sui bisogni essenziali. Niente auto, ma più libri e meno iPad, senza cemento ma con case di legno, dove il Pil e la produzione non sono importanti. «Questo Paese è fallito» diceva da Michele Santoro l’Elevato, «e facendo a modo nostro saremo più poveri per i prossimi quattro-conque anni, ma senza dubbio più contenti e più felici». A una televisione svedese rilanciò: «Il mercato racconta balle… la crescita non va aiutata, la crescita non porta posti di lavoro…non porta ricchezza, perché crea divario tra chi ha e chi non ha, e questa è la crescita».

Oggi, tre anni dopo aver conquistato Palazzo Chigi e centinaia di migliaia di disoccupati in più, quasi nessuno dei quali felice nonostante il Reddito di cittadinanza, dell’allegra decrescita non si parla più, ma il nuovo cavallo di battaglia è la transizione ecologica. Da gialli che erano (ammesso e non concesso che siano mai stati gialli), i grillini sono diventati verdi. Ma l’idea che si potesse diventare poveri e al tempo stesso contenti non è il solo baluardo lasciato per strada. Ricordate quando, tra i concetti del Movimento c’era l’assoluta certezza di essere soli contro tutti? Una solida convinzione che avrebbe dovuto impedire qualsiasi alleanza, a cominciare da quella con il partito di Bibbiano?

Beh, dopo mille giorni al governo, i grillini hanno dimostrato di essere disposti ad allearsi con tutti pur di non andare a casa. Prima la Lega, poi il Pd, quindi Italia viva. Quando Matteo Renzi ha fatto cadere il governo, i leader pentastellati hanno giurato che mai avrebbero rifatto un’alleanza con il Rottamatore di Giuseppe Conte. Ma poi, per tentare di salvare lo stesso Conte, si sono seduti al tavolo con l’ex sindaco di Firenze e pure con quello di Benevento, leader di una minuscola pattuglia di responsabili etichettata con il non lusinghiero nome di truppe Mastellate.

E i rimborsi? Come dimenticare il certificato di diversità biologica da sempre esibito dai grillini per distinguersi dalla marmaglia di poltronari degli altri partiti? Noi restituiamo, dicevano in coro. Ma poi, quando qualcuno si è preso la briga di fare i conti, ha scoperto che così non era e che molti si erano scordati i versamenti. Anzi, in qualche caso, dopo aver versato e fotografato il bonifico lo avevano revocato in fretta. E il mandato zero, magica invenzione per aggirare il divieto di superare il tetto dei due mandati in Parlamento, in Consiglio regionale o comunale? Una pensata straordinaria, capace di togliere dall’imbarazzo un sacco di gente, diventata politico di professione, ma appena appena, come la mitica fidanzata incinta che Enzo Biagi citava ogni anno nei suoi elzeviri per ricordare le soluzioni all’italiana.

Sì, la macchina grillina ha perso le ruote, i parafanghi, ma piano piano sta lasciando lungo la strada anche il resto, a cominciare dalla marmitta. Prima c’è stato il Tap, il gasdotto trans-adriatico simbolo di una transizione poco ecologica, ma al quale i grillini hanno detto sì nonostante in Puglia avessero preso i voti di tutti quelli che volevano dire no. Poi c’è stata la Tav, un traforo che con i pentastellati al governo avrebbe dovuto essere fermato ad alta velocità, ma al contrario ha continuato a procedere spedito. Quindi l’Europa, quella «nave di folli» che nel 2017 secondo Grillo non aveva futuro, «perché pilotata da un regolamento di tipo bancario», ma alla quale il Movimento si è adeguato nel luglio del 2019, contribuendo a eleggere Ursula von der Leyen. Infine, è arrivata la riforma del Mes, cioè di quel fondo salvastati che i grillini avevano promesso di smantellare, ma di cui, a gennaio di quest’anno, insieme al Pd hanno approvato l’impianto, più rigido del precedente.

Ripensando alle bandiere di quello che doveva essere un movimento anti sistema, si capisce che in pochi anni invece i suoi esponenti al sistema si sono adattati benissimo, divenendone parte. Qualcuno ha accolto questi cambiamenti con un titolo ironico, liquidando il fenomeno della disgregazione del partito con «Polvere di 5 stelle». Ma forse il titolo più adatto sarebbe «5 stelle comete».

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