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Bettini: «Voglio che la sinistra sia strabica»

Bettini: «Voglio che la sinistra sia strabica»

L’ascoltato consigliere di Nicola Zingaretti, bloccato in quarantena nella sua casa in Thailandia, giudica il governo Conte
in questa emergenza. Ma soprattutto fa un’autocritica. E lancia una formula visionaria: «Dobbiamo essere attualissimi e inattuali al tempo stesso. Agire nel presente, ma rompere lo status quo».


Onorevole Bettini, dove ha passato la quarantena forzata della fase uno?
(Sospiro). «Non ne parliamo».

Cioè?
«Sono ancora letteralmente bloccato in Thailandia sull’isola di Ko Samui, dove da tanti anni ho una casa».

«Bloccato» in senso metaforico?
«No, concretissimo. Qui il governo – per combattere il Covid – ha superato il modello cinese».

Cioè?
«Coprifuoco e chiusura totale. Fino a qualche giorno fa, non si poteva uscire di casa».

E se ti sorprendono in giro?
«Ti becchi due anni di carcere. Va detto che però ci sono solo cinque contagi».

Solo cinque sull’isola?
«No. In tutto il Paese!»

E a Ko Samui?
«Non c’è alcun contagio. Non entra e non esce nessuno. Frequento l’isola dal 1981: non c’erano né strade né elettricità. Ma oggi la mia casa è un piacevole isolamento, perché attorno a me ci sono tutti i servizi che occorrono».

Ma il «modello thailandese» l’attrae o la respinge?
«Trovo sproporzionato il rapporto tra le restrizioni e la necessaria prevenzione. Meglio il… “modello Conte”».

Possibile, solo cinque contagiati?
«In questo Paese c’è un vantaggio, non si danno baci e abbracci. Persino nel saluto si rimane distanziati, si uniscono le mani in segno di preghiera e si fa un piccolo inchino senza toccarsi. A me che vengo da una vecchia tradizione, torna in mente Palmiro Togliatti».

Il segretario del Pci?
«Sì, era nota la sua insofferenza per i bagni di folla ai Castelli romani. Diceva: “Queste smancerie non mi piacciono”. Insomma: togliattismo alla thailandese».

E che cosa cambia per il governo e per il mondo dopo il Covid?
(Pausa. Sorriso). «Quante ore abbiamo?»

Nonostante la condizione di isolamento forzato, se chiami Goffredo Bettini, anche in Thailandia, puoi avere la certezza che è informato sull’ultimo sussurro di Palazzo. Ministri e premier di questo governo, segretari di partito di maggioranza (e non) lo consultano. Lui, il padre nobile del Pd zingarettiano, con una punta di autoironia dice che tutto questo gli importa molto poco: «Il mondo sta vivendo un cataclisma: io ho passato il tempo pandemico a leggere, a scrivere e a cercare di capire».

Lei ha lanciato la parola d’ordine «correggere il capitalismo, renderlo più umano». Ha ricevuto diverse critiche dal centrosinistra.
«Non mi stupiscono. La cultura dei liberal-liberisti è in parte entrata dentro di noi. Ed è completamente acritica».

In che senso?
«Per alcuni di questi pensatori, se auspichi un intervento dello Stato (peraltro oggi indispensabile per finanziare le aziende) e vuoi verificare che i soldi siano spesi bene e nell’interesse della comunità, significa “sovietizzare” il Paese!»

Addirittura.
«Peggio. Se parli di dimensione morale nella politica, allora vuoi lo Stato etico».

E poi?
«Se parli di utopia, ti accusano di fumisterie».

Forse sorprende una critica così netta al capitalismo di un esponente riformista e del Pd? «Io sono sempre lo stesso, e non vedo contraddizioni. Ma oggi mi preme un punto, un’urgenza nell’affastellarsi
delle mie riflessioni».

Cioè?
«Il capitalismo lasciato alle sue dinamiche spontanee esprime la sola vocazione che conosce: il massimo profitto. Di per sé non è né buono né cattivo: è così. È la politica che lo deve mettere sui binari giusti, affinché la sua dirompente creatività non si trasformi in una anarchia autodistruttiva».

Lei vede il Covid come uno «stress test» che rivela i punti deboli nella tenuta del Sistema.
«Sì. Manzonianamente, è una «provvida sventura» che indica la necessità di un cambiamento dei vecchi paradigmi che non hanno retto di fronte alla prova. Dobbiamo ripensare anche noi stessi a partire da ciò che è successo».

Non teme di ritrovarsi intruppato fra gli entusiasti della «decrescita felice»?
«Ciò di cui parlo non è la decrescita felice, che non fa parte della mia cultura. È una “crescita diversa”: più equilibrata e più giusta».

Perché rilancia proprio ora questa critica?
«È sotto i nostri occhi: il dominio della finanza ha minato le economie. Paesi come l’Italia, ma non solo, sono sempre più schiavi del debito. L’espansione delle rendite sta penalizzando i produttori».

In che senso?
«La crisi accentua le differenze e premia le forme meno sane di lavoro e di impresa. Sta colpendo molto di più chi investe
e produce, rispetto a chi ha le rendite e una liquidità (magari parassitaria)».

Allora perché il fuoco amico su di lei?
«Il campo democratico ha introiettato alcuni tabù imposti in questi anni dalla destra più liberista. Ogni pensiero che si azzardi a mettere in discussione lo status quo è un’eresia».

Non teme di volare troppo alto?
(Sorriso). «Magari. I pragmatici a tutti i costi sono così immersi nelle loro cose che spesso non vedono più in là del loro naso».

Pesa il fatto che lei sia così legato a Nicola Zingaretti?
«Sono un uomo libero. Felice di essere ascoltato da qualcuno, ovviamente».

Spieghiamo meglio la sua idea sulla crisi.
«Il Covid ci sta facendo pagare i tagli fatti alla sanità pubblica, che tutela i cittadini. Dove è saltata la medicina di prossimità
il virus ha trovato praterie. Le distanze economiche ma anche esistenziali nell’isolamento della quarantena hanno pesato tremendamente. Ora, le politiche pubbliche non sono una scelta ideologica ma una via obbligata».

Spesso la politica è sembrata un passo indietro rispetto alla velocità dei processi.
«Direi il contrario: dopo anni di continua svalutazione, abbiamo capito che – anche per discernere tra i diversi pareri degli esperti – serve la politica. Svilirla significa anche culturalmente colpire il cuore della tradizione europea, giudaico-cristiana».

Ci sono tre partiti riformisti nel centrosinistra, oltre al Pd.
«Il Pd è un partito «riformista». Quelli che si autoproclamano più riformisti, bacchettano e danno i voti, che hanno combinato?»

Azione, Italia viva e +Europa sono più riformisti di voi?
«Il Pd deve ridare un senso alla parola «riformismo», sottrarla all’uso gergale, ideologico e astratto di questi ultimi anni. Il riformismo non è estremismo, ma neppure accomodamento; è cambiamento passo dopo passo degli assetti della società».

Perché ha questo assillo?
«Se non c’è riformismo, nella crisi cresce l’estremismo. Sia a sinistra sia a destra».

A chi si riferisce?
«Pensi alla risposta della destra planetaria: Donald Trump, l’uomo più potente del mondo, voleva iniettare disinfettante nelle vene dei malati. Boris Johnson ha invocato l’immunità di gregge e ha invitato a congedarsi dai propri cari. Jair Bolsonaro voleva organizzare una grigliata da 3.000 persone, mentre in Brasile stava già dilagando il coronavirus».

Come lo spiega?
«Questa pandemia incontrollabile mette in discussione tutte le vecchie certezze. Il virus ha messo fine ai leader stile guerre stellari. E loro hanno reagito male».

Ne è felice.
«No. Abbiamo verificato, però, l’infimo livello delle odierne classi dirigenti liberiste. Se Conte avesse proposto un rave party, cosa sarebbe accaduto in Italia?»

E Salvini, inseguito dalla Meloni?
«È in difficoltà, “chiodo scaccia chiodo!».

In che senso?
«La paura più grande annichilisce quelle ingigantite artificialmente. Tante paure che Salvini ha gestito con sapienza in questi anni si sono disperse di fronte al virus».

Però, gli riconosce un’«abilità».
«Le paure amplificate da Salvini funzionavano perché alludevano a una precisa idea di società. Che a me non piace, ma che era un suo punto di forza: ha dato gerarchie, ha costruito il mito dell’uomo forte, ha dato una sua “forma” alla società liquida, rispondendo così alle incertezze e al disagio anche di tanti ceti popolari».

E perché non vale più?
«Il Covid impone altre priorità: l’accudimento della fragilità. Attenzione alla vita umana. Sobrietà nei comportamenti e negli stili di vita. È un fatto nuovo che ci impone di agire».

E la lezione del Covid?
«In un mondo che ostentava sicurezza e forza abbiamo riscoperto la precarietà: del potere e delle nostre esistenze».

Mi faccia un esempio.
«La scienza ha dimostrato, essendo essa stessa il frutto del pensiero umano, molti limiti. Non ci può salvare. Anche le ricchezze e i beni materiali non ci possono garantire. Si infettano re e capi di Stato. La fede aiuta, ma è un dono che non possiedono tutti. Solo la politica può dare una vera risposta».

Perché la popolarità del governo sale nei sondaggi ma – è un fatto – la sua maggioranza balla?
«Nel complesso la maggioranza ha tenuto. Chi insegue le beghe compie un atto insensato. Siamo tutti nella stessa barca».

Tuttavia si governa anche tenendo conto di tutto. «È vero. Ma inseguire tutti i dettagli in politica è fuorviante. Serve il colpo d’occhio».

E cosa le dice il suo?
«Che il governo è uscito dalla Fase 1 con dignità».

Ma non è entrato bene nella Fase 2?
«Vedremo. È giusto criticarlo, sottolinearne i limiti, le inefficienze, contrastare qualche improvvisazione».

Però?
«Susciterebbe riprovazione nei cittadini il tentativo di ribaltarlo».

E Conte?
«Comunica alla gente un impegno di lavoro. Ci siamo battuti bene in Europa. Lui e Gualtieri hanno portato a casa risultati concreti. Soldi e superamento di tanti vincoli. Si sono messe in campo risorse mai così grandi rispetto al passato: per i lavoratori, le famiglie, le imprese, il turismo, l’università e la cultura».

Nella maggioranza c’è un lavorio contro il premier.
«Sono forze marginali destinate a non avere successo».

Matteo Renzi propone al Pd: tiratelo giù e mettiamo un premier vostro, magari Dario Franceschini.
«La sua è una proposta strumentale».

Non la alletta un uomo del Pd a Palazzo Chigi?
«Per nulla. Cosa capirebbe la gente? Con quale maggioranza? E i Cinque stelle appoggerebbero un governo che caccia Conte? Fantascienza utile solo per i retroscena».

Ne è sicuro?
«Sì. Ha fatto bene Zingaretti a dire: “Se cade Conte si va al voto”. Questo messaggio l’hanno capito tutti».

Ma perché il tiro al bersaglio?
«Conte è nel mirino perché a una parte dell’establishment italiano non va giù l’idea che da quando si è formato questo governo il Pd, per esempio, si sia consolidato».

Dice?
«Profetizzavano che il Pd si sarebbe dissanguato, invece cresce. Non solo. I Cinque stelle hanno fermato il declino. Anche Speranza aumenta i suoi consensi».

Renzi invece cala.
«Non voglio fare polemiche. Ma chi è contro Conte non vuole che si stabilizzi il quadro, difficile ma positivo, maturato in questi mesi».

Sul virus il governo rischia?
«Dobbiamo fare in modo che non ci siano recrudescenze. E poi occorre prendere decisioni con effetti pratici».

Ovvero?
«Le risorse stanziate devono arrivare. E qui c’è anche il tema delle banche».

In che senso?
«Se non si sentono protette da una sorta di scudo penale, i direttori che erogano credito avranno paura di sbagliare e di pagare personalmente. Ma io guardo più avanti».

A cosa?
«Alla “terza fase”».

La terza?
«Bisogna immaginare un sviluppo che affronti le conseguenze delle manovre che abbiamo realizzato. Economiche e di bilancio».

Quali conseguenze?
«L’esplosione del debito, per esempio».

Per concludere ci manca un grande slogan.
«Potrebbe essere: voglio una sinistra che sia “strabica”».

Come come?
«Capace di un doppio sguardo, per mettere a fuoco un doppio movimento».

Quale?
«Da un lato essere “attualissimi” per sostenere qui e ora i mondi in crisi: i lavoratori, gli imprenditori, i produttori».

E dall’altro?
«Essere «inattuali». Stare nel presente, ma andarci contro quando esso persevera nello status quo che ci ha portato a troppi conflitti e a troppe crisi».

Ecco le fumisterie che le rimproverano.
«Dice? Ma i liberal liberisti che mi attaccano sull’altare dell’iper realismo, non capiscono che la visione dell’”oltre” è il motore che ha mosso la storia».

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