Anziché diventare uno strumento per aiutare le persone in cerca di lavoro, il sussidio è divenuto un incentivo a non cercarlo.
Ogni giorno ha la sua truffa. L’ultima l’ha scoperta la Procura di Milano, arrestando 16 persone tra Cremona, Novara, Lodi, Brescia e Pavia. Il gruppetto era riuscito a sottrarre alle casse dello Stato 15 milioni di euro, incassando per conto di 9.000 rumeni, la maggioranza dei quali non aveva mai messo piede in Italia, il reddito di cittadinanza e quello di emergenza. L’associazione a delinquere si presentava in alcuni centri di assistenza fiscale con centinaia di richieste ogni volta, e con l’aiuto di qualche complice dimostrava falsamente che i richiedenti erano residenti in Italia da 10 anni e avevano i requisiti per beneficiare del sussidio.
Qualche giorno prima, i carabinieri avevano scoperto un’altra banda del buco, i cui componenti, pur dichiarandosi nullatenenti, avevano la Ferrari in garage o la barca in porto, mentre altri possedevano decine di appartamenti o, addirittura, erano titolari di un autonoleggio con 27 auto. Risultato: hanno fatto sparire 20 milioni di euro.
Casi isolati? Mica tanto. In Campania, su 245.000 nuclei familiari che percepiscono il reddito di cittadinanza, i militari dell’Arma ne hanno controllati 9.327, scoprendo 2.806 irregolarità. In pratica, il 30% di chi incassava l’assegno non ne aveva diritto e per questo sono state denunciate 1.722 persone, 647 delle quali erano già note alle forze di polizia, alcuni «per gravi reati associativi», come recitano i comunicati delle procure. Vale a dire, che oltre a percepire il reddito illegalmente, decine di denunciati appartenevano a organizzazioni camorristiche o mafiose: «brave persone», dunque, che lo Stato aiutava a sua insaputa.
Ecco, se torno sulla questione del reddito di cittadinanza e delle molte truffe messe a segno da persone che tutto sono tranne che bisognose, è perché invece di abolire il sussidio il governo lo ha appena confermato, Anzi, già che c’era ha aggiunto un miliardo al fondo di dotazione, mettendolo a disposizione, temo, per altri imbrogli. Luigi Di Maio, ministro del Lavoro all’epoca in cui fu approvata la sciagurata legge che favorisce il furto annunciò dal balcone di Palazzo Chigi che la povertà era stata abolita per decreto, convinto evidentemente che bastasse pubblicare una norma sulla Gazzetta ufficiale per rifare l’Italia.
Ora dice che si devono combattere le truffe. Ma al tempo stesso, nel libro che ha dato recentemente alle stampe, sostiene che quella del reddito di cittadinanza è stata una legge di civiltà e abolirla sarebbe un rischio per tutto il Paese. Che cosa si rischi, se non di evitare che qualcuno se ne approfitti, francamente non si capisce. Per l’attuale responsabile della Farnesina non si deve buttare il bambino con l’acqua sporca.
Ma a mio modo di vedere, qui nessuno ha intenzione di gettare infanti, piuttosto si tratta di non far volare i soldi dalla finestra. Anzi, di non regalarli alle mafie, favorendo i manovali delle organizzazioni criminali i quali, oltre ai proventi che derivano loro da rapine, estorsioni, spaccio e prostituzione, da tre anni possono contare anche su un’altra fonte di finanziamento. Non tutte le persone che incassano il reddito di cittadinanza sono delinquenti? Beh, ma questo è ovvio. Io non credo che gli oltre 3 milioni di italiani che lo prendono siano tutti camorristi o mafiosi, però le truffe ci sono e nei primi 10 mesi del 2021 le forze dell’ordine avevano già accertato che l’ammontare del maltolto sfiorava i 200 milioni di euro: non bruscolini.
Tuttavia, oltre a chi lo percepisce illegalmente – il numero dei quali aumenta di anno in anno – il tema vero che dovrebbe indurre il governo ad abolire il reddito di cittadinanza è che invece di diventare uno strumento per aiutare le persone mentre sono in cerca di un lavoro, il sussidio tanto caro ai Cinque Stelle è divenuto un incentivo a non cercare il lavoro. Anzi, in qualche caso a rinunciarvi. Già, perché fatti due conti, a qualcuno conviene licenziarsi, continuare a fare lo stesso mestiere svolto in precedenza ma in nero, e poi passare alla cassa dell’Inps.
Non c’è albergatore o ristoratore – due delle categorie più colpite dal fenomeno – che non racconti ai cronisti di non riuscire a trovare personale e quando alla fine ci riesce si sente fare la proposta non di un’assunzione, ma del contrario. Una volta le persone cercavano il posto fisso. Ora, in certi settori, cercano il posto in nero per guadagnare due volte. Naturalmente ci sono anche molti che al lavoro preferiscono il riposo e si accontentano del sussidio: soprattutto in provincia, il costo della vita è più basso rispetto a quello delle città e dunque, senza fare fatica, si può bussare allo sportello dello Stato per sbarcare il lunario.
Sì, come avrete capito, io il reddito di cittadinanza lo abolirei proprio, al massimo lo trasformerei in un sussidio a tempo e poi gli cambierei nome: nessuno può avere diritto a uno stipendio solo per il fatto di essere cittadino. Non amo riempire gli articoli di citazioni, ma questa volta faccio un’eccezione. Quando John Fitzgerald Kennedy, il presidente icona della sinistra, si insediò alla Casa Bianca, pronunciò una famosa frase: «Non chiedetevi che cosa il Paese possa fare per voi, ma cosa voi potete fare per il Paese». Ecco, finché ci saranno forze politiche che per conquistare voti sono disposte a promettere che il Paese si occuperà di dare soldi a chi non lavora, i nostri guai non finiranno mai. In compenso, si allungheranno i nostri debiti.
