
Juno Temple è Carolina, la ragazza che crea scompiglio all’ombra della “Wonder Wheel”

Le effusioni tra Mickey (Justin Timberlake) e Ginny (Kate Winslet) sotto il pontile

Jim Belushi nei panni di Humpty, marito giostraio dell’inquieta Ginny

Difficile per Ginny resistere al fascino impetuoso del bagnino Mickey (Justin Timberlake)

Ginny (Kate Winslet) sogna di fare l’attrice ma è una cameriera triste e irrequieta nella “casa delle vongole” a Coney Island

Juno Temple è Carolina, occhi azzurri e molto fascino
Eccolo, il luna-park dei desiderii. La Coney Island della mente di Lawrence Ferlinghetti trascinata nella ribollente palude dei sentimenti di Tennessee Williams, gl’impeti di Eugene O’Neill, gli Amleto e Edipo di Ernest Jones.
O perfino il “Paese delle Fate da quattro soldi” che Ginny, una Kate Winslet, mai così liquida, torbida e incandescente, appioppa come uno spregiativo nickname al leggendario parco dei divertimenti dove vive e lavora a sud di Brooklyn, sito di desiderii e di follie, di bagni e palpiti on the beach negli acerbi, erranti e indulgenti anni Cinquanta d’America.
Quando un aitante bagnino spunta all’orizzonte
Sarà perché l’iconica Ginny-Winslet, all’ombra della Wonder Wheel, la grande Ruota delle Meraviglie che dà il titolo al quarantottesimo film da regista di Woody Allen (in uscita il 14 dicembre, durata 101’) e che fa il suo giro della vita, s’è ridotta a fare la cameriera appassita e insoddisfatta in un Oyster Bar senza troppe ostriche degradato a “casa delle vongole”; e dunque schifa il suo habitat dopo aver seppellito le velleità d’attrice nell’alcol e in un matrimonio di ripiego col modesto giostraio Humpty (Jim Belushi) che l’adora ma, per così dire, ha i suoi limiti d’aplomb e di charme.
Sarà perché d’improvvisto al suo orizzonte marino appare il gagliardo leggiadro bagnino Mickey (te credo – Justin Timberlake) il quale, anche scrittore di teatro, attizza in lei ambizioni di riscatto recitativo e, non da meno, sopite lascivie: tanto da farle vagheggiare un futuro diverso in ogni senso.
Tormento, disperazione e gelosia dopo l’illusione
Tutto questo sarà. Ma sta di fatto che – purtroppo per lei – la luce dell’illusione s’accende e quasi subito si spegne e deriva nell’ossessione quando la figliastra Carolina (Juno Temple) arriva dal nulla coi suoi occhi azzurri perennemente sgranati, braccata da gangster ma abbastanza sexy e zuccherosa da far cambiare direzione al bagnino e attivare in Ginny le dinamiche della gelosia e della disperazione verso un possibile, cupo e rovinoso lutto voluto dal Fato.
Ricercatezze di sceneggiatura, struggimento e humour
A Woody Allen abbiamo visto fare cose peggiori ma difficilmente migliori di questo melodramma principesco e incantatore, escogitato sull’impronta d’una tragedia (un po’ anche greca), roccioso e asciutto nei sentimenti eppur magnetico e passionnant, sceneggiato con meditate ricercatezze tra citazioni remote ma adesive di postini sonanti e tram desideranti, vertiginoso, torrido e struggente, carico di humour serpeggiante in zone inattese, circolare nel racconto – dove tutto, alla fine, ricomincia sull’altra sponda del giorno – come il lento, inesorabile rotante moto della Wonder Wheel.
I testi sono d’una aristocratica bellezza e la recitazione di tutti è sontuosa (da ricercare e consumare, là dove è possibile, il film nella sua versione originale con sottotitoli), le musiche jazz-pop con l’intrusione passionale di Kiss of Fire decretano ancora una volta la specifica inclinazione di Allen per il genere.
Pianeti, storie, vite e epoche diverse. Ma in quanto a suggestioni siamo nei paraggi di Match Point.
Le seduzioni della fotografia di Vittorio Storaro
Poi c’è l’altro film. Che incomincia là dove finisce quello che s’è appena narrato e ne rappresenta, in qualche maniera, una sorta di espansione visiva.
È il film di Vittorio Storaro, il quale guida una fotografia ipnoticamente seduttiva con tagli di luce, angolazioni prospettiche di valore narrativo, tonalità caldissime sul giallo, l’arancio e il rosso, colori oliati sulla spiaggia-caramella: in una specie di rapimento ottico che attraversa tutto il film come una rutilante macchina dell’attrazione e delle illusioni.
Dunque il cinema stesso. Con le sue emozioni e una certa sua voglia di tornare a stupire senza bordate digitali: come ogni tanto càpita con quel signore di 82 anni chiamato Woody.
